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 2012  ottobre 02 Martedì calendario

CORRENTISTA DEPRESSO? PAGA L’ISTITUTO

Il correntista è ansioso? Magari insonne o depresso? O con tratti di megalomania? Può meritare un risarcimento dalla banca per gli investimenti effettuati in Borsa, dai risultati questi sì certamente deprimenti. A sancirlo è la Corte di cassazione con la sentenza n. 16674 della Prima sezione civile depositata ieri. I giudici si sono trovati a fare i conti con la richiesta di indennizzo avanzata da un correntista di Banca Popolare dell’Adriatico che lamentava le pesanti perdite subìte per effetto dei contratti di acquisto di futures su bund e notionel. Operazioni per effetto delle quali aveva visto estinguersi l’intero patrimonio mobiliare detenuto.
Una situazione forse comune, ahimè, ad altri risparmiatori alle prese con l’altalena degli andamenti di borsa, ma alla quale l’investitore sfortunato aggiungeva una peculiarità, quella di reclamare nei confronti del responsabile della sim una condanna per circonvenzione di incapace. Dove l’incapace era il medesimo correntista che, sosteneva, proprio nel periodo di effettuazione degli acquisti più rischiosi, lamentava una «sintomatologia psichicamente rilevante». I sintomi? Appunto ansia, insonnia, depressione e megalomania.
La Corte d’appello di Milano (in questo confermando la sentenza del giudici di primo grado) condannò la banca al pagamento di oltre 15 miliardi di lire. Una decisione maturata per effetto di tutta una serie di argomentazioni. Tra le quali però trova anche posto una forte inadempienza dell’istituto di credito rispetto alle scelte del cliente. Invitando, tra le righe ma neppure troppo, la banca a svolgere un ruolo di fiancheggiamento psicologico. Perché la situazione era sicuramente anormale, visto che il cliente a febbraio del 2004 perdeva 4 miliardi e solo 3 mesi più tardi era in rosso di oltre 14 miliardi.
La banca avrebbe allora dovuto mettere il patrimonio di esperienza tecnica a disposizione del correntista. Con l’obiettivo di renderlo più consapevole dei rischi delle operazioni assunte e a limitare il pericolo di perdite. Insomma, la banca avrebbe dovuto una sorta di funzione maieutica nello stimolare condotte virtuose da parte del risparmiatore, invitandolo a tenere condotte più adeguate al profilo di rischio. Troppo fumoso? Può darsi, ma poi i giudici provano anche a precisare, sottolineando come il cliente avrebbe dovuto essere "costretto" a sottoscrivere moduli di conferimento di incarico e specifiche autorizzazioni per ogni singola operazione.
È vero che le operazioni in derivati non sono di per sè stesse inadeguate, ma il giudizio va effettuato sempre in concreto con riferimento anche, traspare, alla personalità del correntista stesso.