Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 02/10/2012, 2 ottobre 2012
LE MOLTE VITE DI MALAGODI BANCHIERE, POLITICO, AGRICOLTORE
Tutti sembrano ormai avere dimenticato Giovanni Malagodi. Eppure come segretario del Pli è stato al centro della politica italiana per parecchi decenni. Sono un vecchio liberale e vorrei che lei ne ricordasse la figura e l’azione.
Mario Gentili
Legnano (Mi)
Caro Gentili, suo padre, Olindo Malagodi, fu giornalista, direttore di un giornale liberale (La Tribuna), corrispondente da Londra negli anni in cui la Gran Bretagna era la più alta cattedra liberale d’Europa, deputato e grande amico di Giovanni Giolitti con cui collaborò quando il vecchio uomo di Stato decise di scrivere le sue memorie. Giovanni, quindi, nacque «liberale». Ma il suo liberalismo fu sempre realistico e pragmatico. Negli anni in cui lavorava per la Banca Commerciale dovette constatare che l’Italia era uscita dalla grande crisi dei primi anni Trenta grazie a un’operazione dirigistica (la creazione dell’Iri) suggerita dal suo amministratore delegato, Raffaele Mattioli. Negli anni in cui fu membro della delegazione italiana all’Oece (l’Organizzazione europea per la collaborazione economica, creata per la gestione degli aiuti americani), fu testimone dell’efficacia con cui il Piano Marshall (un’operazione keynesiana) aveva rimesso in piedi, nel giro di pochi anni, l’industria e l’agricoltura europee.
Non era quindi dogmaticamente «mercatista» e non era pregiudizialmente contrario, quando prese la guida del Partito liberale, alla collaborazione politica con la Democrazia cristiana e l’ala riformista del socialismo italiano. Ma la nascita del centrosinistra, nel 1963, non lo convinse. Temeva, con ragione, che il Partito socialista di Nenni avrebbe rafforzato le tendenze dirigistiche della sinistra cattolica e decise di stare all’opposizione. Sperava di riunire intorno al suo partito gli imprenditori, i risparmiatori, la borghesia delle professioni, la componente liberale della società nazionale. Le elezioni del 1963 sembrarono confermare la bontà della sua scelta. Il 7% non bastava per governare, ma poteva essere l’inizio di una fase ascendente. Nelle elezioni del 1968, tuttavia, la percentuale scese al 5,3% e in quelle del 1972 al 3,9%. Piuttosto che credere nelle virtù dell’alternanza e aspettare pazientemente che il pendolo oscillasse verso il loro campo, i borghesi «liberali» preferirono mantenere un piede nei Palazzi per trattare, negoziare, spartire, lottizzare. Il fatto che Giovanni Agnelli preferisse votare per i repubblicani di Ugo La Malfa piuttosto che per i liberali di Giovanni Malagodi dimostra quanto sia difficile essere liberali in Italia.
Da allora Malagodi rimase nella politica come padre nobile di un esperimento fallito. Il suo maggiore impegno negli ultimi anni della sua vita (morì nel 1991) fu l’Internazionale liberale, di cui divenne nuovamente segretario nel 1982, e una bella fattoria a Gaiole nel Chianti. Il nostro ultimo incontro fu nella libreria Bassi di Siena (ora scomparsa) di fronte alla Loggia dei mercanti. Non so se la politica gli mancasse, ma la gestione della fattoria era impeccabile e il suo vino eccellente.
Sergio Romano