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 2012  ottobre 02 Martedì calendario

Com’è virtuoso far gol con lo stampo / com’è ignorante da centrocampo. Il terzo sigillo di Fabrizio Miccoli al Barbera chiude una partita e dischiude una categoria filosofico sportiva, quella del “gol da ignorante”

Com’è virtuoso far gol con lo stampo / com’è ignorante da centrocampo. Il terzo sigillo di Fabrizio Miccoli al Barbera chiude una partita e dischiude una categoria filosofico sportiva, quella del “gol da ignorante”. Nel “segue dibattito” su Sky gli porge l’assist il dottor Massimo Mauro e il solista del Palermo infila la parola d’ordine della giornata: «Un gol da ignorante, a tutti gli effetti». Segnato e rivendicato. Nella circostanza Miccoli vede scendere un pallone verso il suo piede poco al di là del cerchio di centrocampo, si inarca, colpisce di collo al volo e scavalca il portiere che si trova qualche metro oltre la riga. Dove sta l’ignoranza? Nell’apparente elusione di tutte le regole, dell’esperienza e del buon senso. Il gesto tende all’insulso: ha molte più possibilità di generare un fiasco che un successo. La palla può finire sugli spalti o tra le braccia di un portiere che la prende senza neppure distogliere uno sguardo sottotitolato: «Embè?». Contiene una quantità non modica di presunzione, una hybris balistica che gli dei tendono a punire con il ridicolo. A tentarlo è chi ha di sé una considerazione tale da pensare che la sua reputazione non sarà scalfita dall’esito negativo, resterà comunque una di quelle velleità che gli sono concesse perché gli si riconosce il tocco magico e quindi la riuscita non era da escludere a priori. Evoca la categoria del possibile, per quanto non arrivi al probabile. Parenti stretti del tiro da centrocampo e dunque gesti altrettanto ignoranti sono il rigore eseguito col cucchiaio, il colpo di tacco sotto porta e la rovesciata dal limite. Se riescono è cineteca, sennò ciofeca. Occorrono tipi di calciatore e d’uomo particolare per cimentarsi: gente come Maradona e Totti, ma anche Osvaldo e Mascara. Li accomuna una visione liberatoria del pensiero, un’idea confusa dell’acconciatura, una propensione al tatuaggio e all’eresia. Sebbene sia stato Adriano Celentano a proclamarsi “re degli ignoranti”, il vero cantore della specie è Giorgio Gaber. L’inno è “Il corpo stupido”. Strofa chiave: «Com’è corretta l’ideologia / com’è ignorante la simpatia». Correttezza e ideologia avrebbero voluto che Miccoli stoppasse elegantemente quel pallone. Dopo averlo portato a terra si guardasse intorno e cercasse la strategia migliore: servire un compagno smarcato e chiedergli triangolo, avanzare palla al piede. C’è molta più simpatia nell’ignoranza che cancella una possibile catena di cause ed effetti, riduce una partita a scacchi a uno schiaffo assestato allo sfidante: palla? Tiro, gol. Ancora più lapidaria è la strofa finale di Gaber: «Com’è corretta l’introspezione / com’è ignorante la mia erezione». Dove si chiarisce che certe scelte annullano ogni mediazione del cervello e prendono ordini direttamente dal comandante supremo nel basso ventre. Come un’improvvisa passione, così è quell’impulso. Il cervello? Dopo, eventualmente, per razionalizzare quel che razionale non è, e sta tanto meglio così. Resta da chiarire un elemento non secondario. Perché poi certe cose riescono ad alcuni giocatori e ad altri no. Di qui l’aggettivo “apparente” usato all’inizio per definire l’elusione delle regole. Il cucchiaio riesce a Pirlo ma non a Maicosuel dell’Udinese. Un motivo ci sarà? Se a tentare il gesto di Miccoli fosse stato, con tutto il rispetto, Morganella, quante probabilità di riuscita avrebbe avuto? Nella presunta ignoranza di Miccoli (e di Maradona, e di Totti) si nasconde in realtà una sapienza. Non è soltanto nel dna, è nell’accumulazione di senso, percezione, consapevolezza. Malcolm Gladwell in “Outliers” racconta come i fuoriclasse siano diventati tali. Prova e riprova. I Beatles furono i Beatles dopo diecimila ore di concerti in localini di Amburgo. A quel punto, potevano suonare qualsiasi cosa, inventarsela, tentare e riuscire. Da ignoranti, da eruditi. Michael Jordan, a chi gli chiedeva come avesse acquisito la confidenza per tentare l’impossibile sul parquet rispondeva: «Ho sbagliato novemila tiri ». Dietro quella parabola non studiata che Miccoli trova sul campo di Palermo c’è, punto dopo punto, la linea che ha costruito in tutti questi anni, riuscendo e fallendo, stando nell’ombra, riprendendosi il sole, infortunandosi e avendo fortuna. È ben possibile che la sua testa non sapesse che cosa stava facendo, ma il suo piede sì. C’è un trattato di trigonometria applicata tatuato sulla sua caviglia. Pensare con i piedi non è roba da ignoranti, è una forma di sapienza accumulata. Un calcio all’ortodossia, un’esaudita preghiera di felicità.