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 2012  ottobre 02 Martedì calendario

ROMA —

Non è ancora un rassemblement ma è già un rompicapo di ingegneria politica: tra nodi irrisolti, alcune incognite e un non detto, i leader che lavorano alla costruzione della Lista civica nazionale devono anzitutto risolvere un’equazione, che si porta appresso un grande equivoco. Se è vero che tutti, da Casini a Montezemolo — passando per Fini e Passera — puntano sul bis di Monti a Palazzo Chigi nel 2013, e se è vero che il premier super partes non intende trasformarsi in un premier di parte, allora i sostenitori del Professore, ancor prima delle urne, dovrebbero pubblicamente dire che il loro obiettivo all’indomani del voto sarebbe quello di riproporre la stessa maggioranza che oggi sostiene il governo tecnico: cioè una grande coalizione che va da Berlusconi a Bersani. L’operazione elettoralmente è complicata, se il solo cenno di Montezemolo all’ipotesi ha provocato una reazione nel popolo internettiano di Italia Futura.
Ma c’è di più: con Monti che è pronto a servire ancora il Paese senza però candidarsi, con il presidente della Ferrari che è pronto a sostenere Monti ma non svela ancora se si candiderà, con Casini e Fini che sono pronti a sostenere Monti e ad allearsi con Montezemolo, sebbene il primo di sicuro non si candidi mentre il secondo ancora non si sa, il rischio è quello di un corto circuito politico e mediatico. Non a caso ieri il primo effetto determinato dall’annuncio della Lista è stata la reazione del Professore, che — conoscendo i delicati equilibri della sua «strana maggioranza» — è tornato ad auspicare dopo le elezioni la nascita di un governo figlio delle elezioni. E non c’è dubbio che il premier, sempre attento a muoversi in sintonia con Napolitano, abbia operato anche stavolta di concerto con il Quirinale.
Monti ha voluto allontanare da sé i sospetti che albergano in Bersani e ha inteso tenersi a distanza da un’operazione in cui non vuole essere coinvolto, essendo peraltro un potenziale candidato al Colle. Come aveva previsto l’altro ieri Passera, «se Monti è stato generoso con il Paese, non è utile poi usarlo come sigla elettorale». In realtà la sortita del superministro è stata vissuta dai leader della futura Lista come un gesto di reazione, perché Passera si sarebbe sentito scavalcato dall’uno-due di Montezemolo con Fini e Casini. Ma nonostante antiche e nuove gelosie, tutti sono consapevoli che per realizzare il progetto dovranno accantonare le rivalità e stare insieme, pena l’irrilevanza politica. L’obiettivo è chiaro: costruire un centro che impedisca a Bersani di conquistare Palazzo Chigi.
Certo, permane l’incognita della legge elettorale, ma secondo alcuni sondaggi anche con il Porcellum il leader del Pd otterrebbe una maggioranza così risicata al Senato, tra 5 e 15 parlamentari, che ricorderebbe tanto la vittoria mutilata di Prodi del 2006. La Lista civica — nei rilevamenti — avrebbe un bacino potenziale del 20%, «a patto — come spiegò Montezemolo a Casini prima della loro lite di un mese fa — che non si tratti di una versione aggiornata dell’Udc», e che non sia nemmeno il frutto di una fusione a freddo delle attuali sigle, con l’aggiunta di tecnici del governo e di qualche personalità esterna alla politica.
Qualcosa dev’essere accaduta dall’inizio di settembre se domenica scorsa il capo dei centristi ha aperto alla prospettiva di un rassemblement che non abbia più come baricentro il suo partito. La verità sta nei sondaggi riservati di Ipsos, secondo cui — dopo la kermesse di Chianciano — l’Udc ha avuto un picco nell’indice di fiducia, che lo ha portato al 12,8%. Da allora però il trend — negativo già dall’inizio dell’estate — è proseguito, fino all’ultimo fixing di ieri: 9,4%. Casini aveva notato la parabola nelle passate settimane: «Questi tecnici non portano mica granché di valore aggiunto». E quando gli era stato ricordato che «dovremo farci carico anche dei vari Pisanu», il capo dei centristi ha risposto con un fil di voce: «Ragassi...», come a chiedere di soprassedere.
Il problema è noto fin dalle amministrative e dal fallimento del Terzo polo, che non è riuscito a drenare i voti di un Pdl in crisi. Anche l’ultimo rilevamento Ipsos lo testimonia. Il partito di Berlusconi, dopo la scandalosa vicenda del Lazio, non è crollato ma ha ceduto appena un punto (dal 20% al 18,9%), che si è riversato nell’astensionismo (salito dal 37,5% al 39%). E mentre Udc e Fli sono rimasti fermi al 6,7% e al 2,3%, il Pd è salito dal 26,7% al 27,4%. Di questo passo non ci sarebbe storia.
Ecco cosa ha indotto Casini ad aprire al rassemblement della Lista civica nazionale, sebbene l’opzione si porti appresso alcuni problemi di non poco conto. Cosa ne sarebbe del simbolo dell’Udc, che il leader centrista aveva appena «ritoccato» e di cui non voleva fare a meno? Lo scudocrociato è un brand elettorale che le sentenze hanno inibito agli altri eredi democristiani: che accadrebbe se l’Udc non lo utilizzasse? Per non parlare del valore politico che i dirigenti locali attribuiscono alla questione. Perché la Lista (e l’alleanza) con Montezemolo, non prevederebbe solo l’accantonamento dello storico simbolo... Sono tante le incognite e i nodi da sciogliere. Poi c’è un non detto: e se anche Berlusconi dicesse formalmente sì al Monti-bis?
Francesco Verderami