Filippo Facci, Libero 2/10/2012, 2 ottobre 2012
TANTO PER SCIOPERARE
Tutto finisce, anche gli scioperi come invenzione. Nacquero come astensione dal lavoro per far pesare sul padronato le richieste che i lavoratori ritenevano irrinunciabili: erano l’unica maniera di condizionare i datori di lavoro e di sensibilizzare l’opinione pubblica. Lo sciopero colpiva quella produttività che proprio i lavoratori permettevano: ma che cosa ne è rimasto, nel 2012, alla luce dello sciopero dei trasporti di oggi? Rimane che gli amministratori, cioè i padroni, hanno tutt’altro per la testa (tagli, budget allo stremo) e rimane che il danno economico neppure li preoccupa: tanto i bilanci sono quasi sempre in perdita. Rimane che l’opinione pubblica subisce gli scioperi col fatalismo con cui accetta un accidente meteorologico (piove/c’è sciopero) e nel caso dei trasporti si spinge a odiare gli scioperanti, visti come prepotenti che in un periodo di crisi vogliono semplicemente più soldi (come tutti) con il dettaglio che l’astensione tuttavia pesa solo sulla cittadinanza: che del rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri, probabilmente, se ne frega. Rimane che i sindacati ogni tanto proclamano scioperi per disperazione (la loro, non quella dei lavoratori) mentre bastano dei tizi che non scendano da una gru o che non salgano da una miniera per ottenere più ascolto - televisivo, magari - di qualsivoglia «parte sociale».