Andrea Brenta, Italia Oggi 2/10/2012, 2 ottobre 2012
MONNA LISA AVEVA UNA SORELLA?
L’ultima, in ordine di tempo, è stata presentata la settimana scorsa a Ginevra. I suoi proprietari (un consorzio elvetico) affermano che l’opera è anteriore a quella esposta al Louvre.
Monna Lisa, il ritratto più celebre del mondo, continua a far parlare di sé, attraverso falsi, plagi, copie o variazioni sul tema.
Proprio nei giorni scorsi è rispuntata questa versione dell’opera leonardesca che, secondo i proprietari, sarebbe addirittura stata realizzata dieci anni prima della Gioconda ben più nota, di cui sarebbe nientemeno che l’originale.
Leggermente più grande, più sorridente, dipinta su tela e non su legno, la «sorella maggiore» di Monna Lisa comparve per la prima volta nei documenti ufficiali nel 1914, quando fu acquistata dall’artista e critico britannico (viveva a Isleworth, presso Londra) Hugh Blaker, il quale affermava che l’opera proveniva da un castello del Somerset. La tela fu documentata nel 1966 da un successivo acquirente, il collezionista britannico Henry Pulitzer, che, sei anni più tardi, posò accanto all’opera per la rivista Paris Match, affermando di essere il fortunato possessore della prima versione della Gioconda, da lui ritenuta più seducente della «sorella minore»: in effetti la Monna Lisa di Isleworth mostra un viso più giovanile.
E allora quest’opera potrebbe essere quella consegnata da Leonardo al committente, Francesco del Giocondo, il ricco mercante fiorentino marito di Lisa Gherardini? Questa ipotesi è sostenuta da Alessandro Vezzosi, direttore del museo comunale di Vinci, il quale ha fornito come argomento il fatto che lo storico Giovanni Lomazzo citò nei suoi scritti pubblicati nel 1584 due Gioconde. Ma ciò non convince affatto l’eminente Martin Kemp, uno dei maggiori esperti mondiali di Leonardo, suo biografo e professore emerito al Trinity College di Oxford, né tantomeno Jacques Franck, consulente permanente ai centri studi vinciani delle università di Urbino e Los Angeles, secondo il quale non si tratterebbe neanche di una copia eseguita dalla cerchia degli allievi di Leonardo. Ma soprattutto nella Monna Lisa di Isleworth manca del tutto il famoso sfumato leonardesco, un segno di riconoscimento essenziale dell’opera del genio fiorentino, il quale, finché fu in vita, non si separò mai dal dipinto. Anzi, quest’ultimo, al quale Leonardo lavorò in continuazione, rappresentò la quintessenza della propria arte e delle sue ricerche filosofiche. Alla sua morte, nel 1519, la Gioconda fu acquistata dal re di Francia Francesco I.
Da allora si moltiplicarono copie, plagi e versioni. Già nel XVI secolo il capolavoro di Leonardo ispirò, tra gli altri, un gigante dell’arte come Raffaello, che creò sulla sua scia due ritratti famosi: quello di Maddalena Doni e quello della Dama con il liocorno.Dopo di che gli emuli del genio di Vinci non si contarono più. Da Baltimora a Madrid, un centinaio di copie che datano tra il XVII e il XIX secolo sono catalogate nel mondo. Il XX secolo, poi, si è divertito a dissacrare la celebre icona: Duchamp, Léger, Magritte, Rauschenberg, Warhol, Basquiat, Botero ne hanno realizzato innumerevoli (e arcinote) variazioni. Per non parlare di pubblicitari e professionisti del marketing, che hanno sfruttato fino in fondo il ricchissimo filone: dalle scatole di cioccolatini alla carta igienica, dai preservativi alle bottiglie di champagne, la Gioconda è finita un po’ dappertutto. Lo sa bene Jean Margat, un ottuagenario «giocondomaniaco», che, con la sua incredibile collezione e con le opere da lui dedicate al tema, è diventato un punto di riferimento imprescindibile per gli amanti della Monna Lisa.