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 2012  ottobre 01 Lunedì calendario

ASIA. SORPRESA, IL MONDO NON E’ PIU’ PIATTO - I

teorici del declino dello Stato-nazione faranno bene a tenere d’occhio l’Asia, di questi tempi. Quello che stiamo vivendo dovrebbe essere - secondo molti - il «Secolo Asiatico», l’emergere definitivo del continente come cuore dell’economia e poi della politica mondiale. Addirittura attorno a un centro di gravità chiamato Cindia, cioè Cina più India. Forse era l’illusione della globalizzazione piatta che avrebbe dovuto cancellare frontiere, catene montuose e dispute territoriali: fatto sta che era un’illusione. Oggi, la realtà è che l’Asia è sempre più divisa e nazionalista (caratteristica che in realtà non ha mai perso), e che questo nazionalismo rischia di rallentare, se non di bloccare, il miracolo economico degli ultimi decenni. Il Ventunesimo Secolo può ancora assumere caratteri asiatici, ma non se le divisioni non saranno tenute sotto controllo.
Tensioni
La disputa tra Pechino e Tokio sulle rocciose isole chiamate Senkaku dai giapponesi e Diaoyu dai cinesi non è per ora una questione militare e nemmeno solo politica. È vero che Xi Jinping, l’uomo che dovrebbe assumere la guida della Cina tra non molto, ha definito l’acquisto delle isole da parte del governo del Giappone «una farsa». Che navi cinesi (e anche di Taiwan) si sono mosse verso l’arcipelago. E che il primo ministro giapponese Yoshihiko Noda ha risposto per le rime. Soprattutto, però, lo scontro sta mettendo in crisi le relazioni tra le due maggiori economie del continente, sempre più integrate grazie a un decennio di commerci intensi e di delocalizzazioni giapponesi.
Le manifestazioni antinipponiche che si sono tenute in Cina hanno costretto multinazionali come Toyota e Nissan a fermare le attività in almeno cinque impianti. Ma questa è solo la manifestazione evidente dello scontro.
Visti a rilento
Pechino ritarda anche il rilascio di visti ai businessmen nipponici. Ha rallentato le procedure di dogana per una serie di merci del Sol Levante. In alcune città si sono avuti casi di boicottaggio dei prodotti giapponesi. A Tokio, d’altra parte, la retorica nazionalista prende piede. La stella nascente della politica nipponica è Toru Hashimoto, il sindaco di Osaka che ha fondato un partito — già significativo nei sondaggi — su basi nazionaliste. E il partito d’opposizione Liberal-Democratico — che potrebbe vincere le elezioni nei prossimi mesi — ha appena votato come nuovo leader l’ex premier Shinzo Abe, che oggi si dice pentito di avere favorito, nel 2006-2007, una politica di forte riconciliazione con Cina e Corea del Sud, e che assicura che «le Senkaku sono giapponesi». Abe ha anche alzato i toni su un altro gruppo di isolette, quelle che i nipponici chiamano Takeshima e i coreani Dokdo.
Pechino è nel pieno di un cambiamento politico-generazionale estremamente contrastato, come ha rivelato lo scandalo del leader Bo Xilai. E lo scontro interno al partito comunista crea un nervosismo che si nota in molte scelte politiche.
Rapporti di vicinato
Negli ultimi mesi, la Cina ha fatto sentire più del solito il suo peso politico ed economico sui vicini. I rapporti sono per esempio tesi con le Filippine per una disputa sui diritti di pesca (e sul controllo territoriale) delle Scarborough Shoal, un gruppo di rocce nel Mar Cinese del Sud. Singapore è preoccupata per la nuova assertività di Pechino in tutta la regione. Anche nelle scelte economiche, le divisioni interne al potere cinese si traducono in una minore capacità di rispondere al rallentamento dell’economia: rallentamento che a sua volta acuisce i problemi sociali e incoraggia diversivi nazionalistici.
Il risultato è che l’Asia è oggi un continente nel quale nessuno sembra disposto a far un passo indietro dai massimalismi nazionali. Anche l’India è guardinga su questo versante. Il primo ministro Manmohan Singh nelle ultime settimane sembra avere ritrovato una certa vena innovatrice e sta spingendo liberalizzazioni nei settori della grande distribuzione e dell’aviazione che potrebbero riportare investimenti dall’estero in un momento in cui l’economia sta rallentando pericolosamente. Ma allo stesso tempo Delhi porta avanti una politica di riarmo con pochi precedenti: oggi l’India è il maggiore acquirente di armamenti sul mercato internazionale.
Frenata pericolosa
Tutto ciò avviene in un quadro di economie in rallentamento. Non è una rotta, almeno per ora. Ma se si tiene conto che l’Asia è stata negli ultimi anni la regione che ha garantito la crescita di più di un settore produttivo — i beni di lusso, anche del Made in Italy, le auto tedesche, i treni e le macchine utensili europee e americane —, la contrazione può avere effetti piuttosto negativi a livello globale.
La società di analisi Oxford Economics nei giorni scorsi ha tagliato, per il 2012, le stime di crescita della Cina al 7,2%, di Hong Kong all’1,7, della Corea del Sud al 2,3, dell’India al 5,6 e del Giappone al 2%. La crescita della produzione industriale in India e nell’Asia non cinese è a zero (in Cina al 10%).
Dispute su arcipelaghi rocciosi, per quanto pescosi e forse ricchi di minerali, in questo quadro non è ciò che serve all’Asia. I riverberi economici dei nazionalismi possono troppo in fretta diventare guerre commerciali, in un mondo non piatto.
Danilo Taino