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 2012  settembre 29 Sabato calendario

LA VELOCITÀ AMERICANA LA TIMIDEZZA UE

Le banche spagnole, travolte dalla bolla immobiliare, necessitano di 53,7 miliardi di nuovo capitale. Il verdetto dello stress test è chiaro. Altrettanto lapalissiana è la conseguenza: gran parte di questa montagna di soldi (probabilmente 40 miliardi) dovrà arrivare dall’Unione europea, perché né lo Stato né il mercato sono in grado di dare alle banche spagnole l’intera cifra. Il problema è che gli istituti iberici hanno già incassato aiuti pubblici per 36,9 miliardi di euro: il conto per i contribuenti del boom immobiliare dell’ultimo decennio, che aveva fatto della Spagna il miracolo economico europeo, è dunque destinato a salire fino a 77 miliardi. Si tratta del 7% del Pil.
Ma il vero problema è un altro ancora: il caso spagnolo riflette il modus operandi dell’Europa intera. La politica e le autorità nel Vecchio continente tendono infatti ad affrontare i problemi troppo tardi, e questo rende i loro interventi (realizzati con i soldi dei contribuenti) poco efficaci e molto costosi. Per mesi le autorità raccontano che non ci sono problemi, poi – quando diventa impossibile nasconderli – è costosissimo risolverli. E a pagare è sempre lui: il contribuente.
Meglio tardi che mai?
Sono i dati che confrontano Stati Uniti ed Europa, elaborati da R&S Mediobanca nell’ultimo studio sugli interventi governativi a sostegno delle banche, a dimostrarlo. Il Governo Usa ha "sparato" tutte le cartucce per salvare le banche americane nei primissimi anni della crisi: il risultato è che dal 2009 lo Stato non ha più dovuto mettere mano al portafoglio e, anzi, ha in buona parte recuperato i soldi spesi. Nel dicembre 2009 Washington aveva già impiegato 2.794 miliardi di dollari per salvare le sue banche (la cifra comprende le ricapitalizzazioni, le garanzie e tutti i tipi di interventi pubblici) e a giugno 2012 questa cifra non era molto maggiore: attualmente l’esborso lordo risulta di 2.853 miliardi di dollari (2.213 miliardi di euro). Insomma: dal 2009 a oggi l’aumento è stato di appena il 2%. A fronte di questa spesa, il Governo Usa ha già recuperato 1.678 miliardi: questo riduce la sua esposizione netta attuale sulle banche a 1.175 miliardi.
In Europa l’approccio è stato ben diverso. Nel dicembre 2009 gli Stati del Vecchio continente avevano speso, per salvare le banche, 2.071 miliardi di euro. La cifra, anche in questo caso, include ricapitalizzazioni, garanzie e altri interventi. Ma da allora l’esborso è aumentato del 30%, arrivando ai 2.696 miliardi del giugno 2012. Ed è ovvio che la cifra salirà ancora, anche solo per il nuovo salvagente da lanciare per le banche spagnole. Anche in Europa i recuperi sono stati tanti: attualmente il 59% di quanto è stato speso per salvare le banche è già tornato nelle casse degli Stati. Quello che preoccupa, però, è la dinamica: stabile negli Usa, in forte crescita in Europa. Perché oltreoceano i problemi li prendono per le corna. In Europa no. Lo dimostrano, oltre al settore bancario, anche i salvataggi degli Stati: centellinati, limitati, iper-condizionati. Dunque spesso inefficaci.
Gli Stati più interventisti
Il Governo più attivo, in Europa, è stato quello inglese: per salvare le banche (alcune delle quali nazionalizzate) la Corona ha impegnato 1.206 miliardi di euro. A oggi, però, ne ha recuperati 804. Il secondo Stato più attivo è la Germania. Il Governo tedesco, dal 2008 a oggi, ha preso 419,6 miliardi di euro dalle tasche dei contribuenti per salvare 13 banche in crisi. Ha aiutato anche istituti come Ikb, che si erano fatti sedurre troppo facilmente dalle sirene della finanza anglosassone. E che forse non meritavano tanta grazia. Eppure lo stesso Governo non intende impiegare altrettanta generosità e misericordia per aiutare i Paesi europei in crisi. Dei 419 miliardi impiegati per le sue banche, Berlino ne ha già recuperati 314: questo significa che interventi tempestivi danno i frutti sperati. Se questa logica fosse stata applicata anche agli Stati, forse oggi l’Europa sarebbe meno in crisi. Oggi la Germania risulta esposta verso le proprie banche per 105,5 miliardi di euro, pari al 4,1% del Pil.
In relazione al Pil è invece l’Irlanda il Paese in cui lo Stato è più esposto verso il settore creditizio: il Governo ha tutt’ora investiti 131 miliardi nelle sue banche, che equivalgono all’83,9% del Pil. E infatti è proprio a causa delle banche che Dublino ha dovuto chiedere aiuti a Europa e Fondo monetario. Meno attiva l’Italia, dove comunque il contribuente ha messo sul piatto, principalmente sotto forma di garanzie, 124,6 miliardi. Questa cifra comprende i Tremonti-bond, utilizzati nel 2009 dal Monte dei Paschi, Bpm, Banco Popolare e Creval, ma anche le innumerevoli obbligazioni garantite dallo Stato emesse da quasi tutte le banche italiane per potersi finanziare in Bce. L’ultimo intervento dello Stato italiano è tutt’ora in corso: il Monte dei Paschi sta infatti percorrendo l’iter per emettere 3,4 miliardi di obbligazioni destinate allo Stato italiano. Infine c’è la Spagna, vero tasto dolente. Fino ad ora il Governo ha impiegato 36,9 miliardi. Ma si tratta solo dell’antipasto.