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 2012  settembre 29 Sabato calendario

MAXI ROSSO PER LE PARTECIPATE

«La società è nata con la mission di stabilizzare dipendenti già assunti con contratto a termine»; di assunzione in assunzione, «l’obiettivo è stato pienamente realizzato». Nessuno può contestare la mancata trasparenza sul proprio codice genetico a Lazio Service, che oggi conta quasi 1.400 dipendenti e fin dal proprio sito Internet dichiara le ragioni per cui è nata e nel tempo ha assorbito una serie di servizi prima gestiti dalla Regione (tra cui la formazione del personale: solo il consiglio regionale ha speso l’anno scorso 3,4 milioni di euro, il triplo rispetto al 2009).
Nel mondo delle partecipate regionali, però, l’opacità è la regola. La Corte dei conti, che per la prima volta ne ha fornito quest’estate il primo censimento nazionale, ne ha messe in fila 445, fra quelle registrate dalla Sezione autonomie e quelle individuate dalle Sezioni di Sicilia e Sardegna. Se però si estende il campo alle "indirette", cioè alle società partecipate da altre realtà controllate dalla Regione, i numeri si moltiplicano e la nebbia si infittisce. Un’indagine realizzata da FinLombarda, la società finanziaria di Regione Lombardia, ne ha contate 1.400 (la stessa FinLombarda, per esempio, è nella compagine di nove altre società).
Al di là dei numeri, comunque, è sui risultati economici di queste società a dominare l’ombra. Anche in questo caso, i primi dati sono quelli appena forniti dalla Corte dei conti, e non sono incoraggianti: l’analisi dei bilanci si è concentrata su Spa ed Srl interamente regionali (e naturalmente più "pesanti" dal punto di vista economico rispetto a consorzi e fondazioni), e ha scoperto che il sistema delle Spa dei governatori è in perdita. A livello consolidato, il rosso del 2010 è stato di 92,6 milioni, ma sono altri due i numeri preoccupanti. Il costo della produzione supera i 2 miliardi all’anno, e sfiora di conseguenza il valore complessivo del patrimonio netto (2,36 miliardi), e in un anno i Governatori staccano assegni pronta cassa che sfiorano gli 800 milioni: in aggiunta alle perdite, le società sono costate 900 milioni nel 2010, e il peggioramento congiunturale porta probabilmente vicino al miliardo il costo attuale. In Lombardia, Veneto e Puglia i contributi regionali sono quasi pari al valore della produzione, e nella Provincia Autonoma di Bolzano arrivano addirittura a superarli.
Come sempre quando si parla di enti territoriali, dietro ai numeri complessivi si nascondono realtà molto diverse. Le uniche realtà a raggiungere nel loro insieme un utile di qualche peso sono quelle di Lombardia (con forte spinta dal Pirellone, appunto), Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta. La maggioranza delle Regioni oscilla fra utili ultraleggeri, dallo 0,2% del valore della produzione in Toscana al 6,98% del Veneto, o inciampano in perdite che in Campania si trasformano in una voragine. Nonostante i 94 milioni erogati dalla Regione, il bilancio complessivo ha perso nel 2010 più di 107 milioni: di fronte ai mini-utili raggiunti da qualche società, l’elenco delle perdite è sterminato fino ai picchi dell’Ente Autonomo Volturno (che a sua volta gestisce partecipazioni azionarie, soprattutto in aziende di mobilità, e ha perso 82 milioni nel 2010) e della Circumvesuviana (44,6 milioni).
E il personale? Difficile da stimare: le sole Spa ed Srl interamente regionali contano in media 100 dipendenti ciascuna: ipotizzando dimensioni analoghe nelle società dove le quote dei Governatori non sono totalitarie, si arriverebbe a 30mila dipendenti, a cui vanno sommati gli organici di consorzi e fondazioni. Proprio su questo ostacolo è inciampata sul nascere la razionalizzazione ipotizzata dal Governo nel decreto originario sulla revisione di spesa, che aveva sancito la chiusura o la vendita di tutte le società strumentali entro il 2013. Subito "corretta" in Parlamento, la regola ora esclude le società che fatturano per almeno il 10% con realtà diverse dalla loro Pa proprietaria e quelle che svolgono servizi «di interesse generale»: una definizione fumosa che rischia di aprire la porta a una maxi-deroga.