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 2012  settembre 29 Sabato calendario

DOPO IL TEST RIMANE LO STRESS

Ancora uno stress test per le banche spagnole, ancora un risultato che apre più interrogativi di quanti ne risolva. Il governo di Rajoy ha scelto una procedura insolita nel tentativo (finora vano) di tranquillizzare i mercati. A giugno, ha affidato a due consulenti privati il compito di valutare separatamente il deficit di capitale delle banche spagnole, a partire per così dire dall’alto, cioè in base a ipotesi particolarmente negative sull’evoluzione dello scenario macroeconomico. Adesso pubblica i risultati di un esercizio "dal basso" guardando alle condizioni specifiche di 14 gruppi che rappresentano il 90 per cento del sistema bancario. A giugno i due consulenti avevano fornito una stima che nello scenario negativo (ma solo quello va considerato, altrimenti è un test, ma senza stress) era compresa fra 52 e 62 miliardi di euro, mentre il Fondo monetario si era fermato a 37. Oggi annuncia trionfalmente che "bastano" 53,7 miliardi (59,3 prima delle integrazioni bancarie), ben al di sotto dei 100 miliardi messi a disposizione dall’Europa. Ma è difficile che questo stress test passi alla storia per l’evento che ha segnato una svolta nella crisi bancaria, per motivi che vanno cercati non solo a Madrid, ma anche a Bruxelles, cioè nella politica ondivaga con cui l’Europa sta affrontando la sua crisi più difficile. Il problema spagnolo è legato alla scarsa credibilità di un governo che a febbraio ha dichiarato che le banche del Paese non avevano bisogno "neppure di un euro" e a giugno rivelava che Bankia, costituita trionfalmente (e con cospicuo ricorso al risparmio dei cittadini) per superare la crisi delle casse di risparmio, aveva bisogno di ben 19 miliardi. E nei giorni scorsi ha allegramente anticipato le conclusioni del test (con molti saluti all’indipendenza dei consulenti) affermando che il deficit finale sarebbe stato di circa 60 miliardi e che nessuna banca quotata avrebbe accusato un deficit di capitale, eccetto Bankia ovviamente. Il risultato è esattamente quello annunciato; le banche grandi e in particolare i due campioni nazionali sono salvi. Si odono in sottofondo squilli di tromba trionfali, come alla corrida. Ma, ahinoi, è difficile che questo possa bastare per superare la crisi. In primo luogo perché non si può considerare sano un sistema bancario composto da due giganti in salute e una miriade di istituti medi e piccoli che insieme hanno un buco di 54 miliardi. Non a caso, come ricordava ieri Di Donfrancesco su queste colonne, questa è la quarta ristrutturazione in tre anni. Ma soprattutto perché il quadro congiunturale continua a peggiorare e inevitabilmente scarica nuovi pesi sui già traballanti bilanci bancari, giganti compresi. Le previsioni di crescita del governo per il 2013 (-1,5 quest’anno e -0,5 il prossimo) sono ormai lontane da quelle di molti analisti, che parlano di -1,8 in entrambi gli anni. E con il peggioramento macroeconomico, le perdite su crediti rischiano di crescere ben oltre il livello attuale, che è già di guardia. Le sofferenze sono arrivate al 10 per cento del portafoglio prestiti; nel settore delle costruzioni sono raddoppiate in 4 anni passando dal 14 al 27,4 per cento, mentre sono assai basse nel settore del credito alle famiglie e alle imprese escluse quelle edilizie. Ma è difficile che possano mantenersi su questi livelli se continua la caduta del reddito, soprattutto considerando l’effetto depressivo delle nuove misure che saranno necessarie per portare il deficit pubblico, che era all’8,9 per cento nel 2011 al 4,5 per cento nel 2013, come annunciato l’altro giorno dal Governo. Non solo: poiché il fabbisogno di capitale è concentrato nelle banche già oggetto di interventi di salvataggio da parte del fondo costituito dal governo, è molto probabile che aumenteranno le resistenze dei tedeschi e dei loro alleati ad utilizzare i miliardi dell’Esm per la Spagna. Qualcuno a Berlino ha già dichiarato che il fondo europeo non si dovrebbe far carico delle perdite pregresse. Geniale: come aprire un ospedale e curare solo le malattie che verranno, disinteressandosi di quelle già contratte. Più in generale, anche questo stress test dimostra l’incapacità europea di ripercorrere la strada aperta con successo dagli Stati Uniti ben tre anni fa. Quella soluzione si è rivelata vincente per quattro motivi: riguardava la parte più a rischio del sistema bancario; era condotta dalle autorità di vigilanza sottoponendo i dati forniti dalle banche ad un meticoloso scrutinio; imponeva alle banche un termine ristretto entro cui colmare eventuali deficit; garantiva che se non fosse stato sufficiente il ricorso al mercato, sarebbe intervenuto il bilancio pubblico. L’Europa ha cercato di imitare questa ricetta, semplice come la torta di mele, ma ogni volta omettendo un ingrediente. L’esempio più clamoroso è stato lo stress test svolto dall’Eba nel novembre scorso su mandato del Consiglio europeo, che formulava raccomandazioni ai vigilanti nazionali (non vincoli espliciti) ed era soprattutto privo di un meccanismo di intervento sovranazionale per le banche che non avessero potuto far ricorso al mercato. Un autentico pasticcio in cui la parte del cuoco non va attribuita all’Eba, ma ai governi europei. Il problema vero è che gli stress test non bastano più, perché sono basati sull’ipotesi che è sufficiente riportare il livello di capitale ai livelli ideali previsti dalla vigilanza prudenziale (più un margine di sicurezza) per tranquillizzare i mercati. Purtroppo non è più così, perché più la crisi si avvita su se stessa, più la situazione delle banche peggiora sia sul lato patrimoniale (l’effetto delle posizioni a rischio) sia su quello economico (la riduzione della redditività dovuta all’aumento dei costi di raccolta). E dunque il capitale da un lato viene distrutto e dall’altro non si alimenta più in via interna sotto forma di utili non distribuiti. Ma se è così, il fabbisogno di capitale non si misura più in miliardi di euro e le misure da prendere, non solo in Spagna, sono ben più drastiche di uno stress test indipendente. È tempo di medicine amare, altro che torta di mele.