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 2012  settembre 30 Domenica calendario

COSA SI PROVA CON IL «CAMASTRÓN»

Nel 2003 Massimo Piattelli Palmarini (MPP) esortava «gli psicologi, i linguisti, gli scienziati cognitivi a proseguire e perfezionare la loro indagine naturalistica» degli eventi mentali. Le neuroscienze dimostrano che ogni evento mentale è preceduto da un evento elettrochimico della corteccia associativa, senza il quale l’evento mentale non esiste. Studiando il cervello di una persona con elettroencefalografie e risonanze magnetiche, lo scienziato sa prima di lei quale movimento vorrà fare. Si conoscono i correlati elettrochimici degli eventi mentali ma non come essi diventino contenuti della coscienza. La scienza, sin dalle sue origini, ha ripetuto che l’uomo è estraneo alla verità. Nonostante tutto questo sia per scienziati e avveduti filosofi della scienza pacifico, MPP rispolvera (con cautela) l’accusa di «una sorta di scientismo» delle neuroscienze nella forma della neuromania, secondo la quale esisterebbe scienza solo visualizzando il cervello.
L’accusa di scientismo alla scienza è sempre stata infondata. Essa vale per la caricatura della scienza, cara a tanti filosofi, ma non per la «vera» scienza, come la chiama MPP. Anche gli «Stati generali» della psicologia, riunitisi poco fa a Londra, hanno riconosciuto come «grande novità metodologica la possibilità di individuare le zone del cervello attivate quando si compie uno specifico ragionamento» (Paolo Legrenzi, Domenica del 22 luglio scorso). Già quindici anni fa Goel e Coll. (NeuroReport 8, 1305-1310, 1997) mostrarono con la neuroimaging che sono attive regioni diverse della corteccia frontale a seconda che si ragioni in modo deduttivo (tutti gli uomini sono mortali, Socrate è un uomo eccetera) o induttivo (Socrate era un grande uomo, Socrate aveva moglie eccetera). MPP si discosta dall’esortazione del 2003 sostenendo che è «evidente che non siamo "solo" il nostro cervello, il pensiero non è "solo" una raffica di impulsi neurali» senza indicare che cosa altrimenti saremmo noi e i nostri pensieri e dove l’autocoscienza dovrebbe cercarli.
L’affermazione è corroborata dal biologo Richard Lewontin, che avrebbe «imparato più sulla natura umana da Tolstoj che grazie alla sequenza del Dna del nostro genoma». Se Lewontin ha detto una cosa del genere, vuol dire che anche i cervelli sommi ogni tanto vanno in vacanza: letteratura e poesia (come i meravigliosi versi di Montale citati da MPP) sono state create dal cervello per dar voce alle pieghe della coscienza che la razionalità non afferra e non esprime. Leggendo Tolstoj si viene a conoscere ciò che il suo cervello, sviluppatosi secondo il genoma, è stato in grado di creare. Il naturalismo è una metodologia tutto o nulla: o si accetta che noi siamo ciò che il cervello ci fa essere, o si accetta una concezione dualistica, secondo la quale accanto, sopra o dentro il cervello c’è qualcosa d’altro (l’Io, l’anima, lo spirito). Se il confine diventa incerto, l’indagine dei correlati nervosi della coscienza è impraticabile.
MPP si sofferma a lungo sulle «esperienze prossime alla morte», vale a dire su ciò che talora sarebbe vissuto da chi è stato in punto di morte e poi si è ripreso (lampi di luce, lunghi tunnel, riepilogo dell’intera esistenza eccetera). La condizione è indefinibile: che una persona fosse near to death, prossima a morire, si può dire con certezza solo dopo che è morto. Se sopravvive, ha passato un brutto momento, al quale si aggregano superstizioni e fantasie, che non si capisce come abbiano potuto indurre l’ateo filosofo Alfred Ayer a dubitare che la morte non sia la fine della persona (testimonianza di MPP). Nel capitolo sui sogni gli esempi (anche quelli personali, anche quelli raccontati da Freud e da altri)) sono neuroscientificamente inabbordabili, fin quando non sarà risolto il problema di come l’esperienza (a volte emotivamente molto intensa) del sogno avvenga nello stato d’incoscienza del sonno, vale a dire in uno stato nervoso opposto a quello dell’esperienza normale.
L’autore rivela una prodigiosa capacità narrativa con aneddoti e intermezzi che, non sempre attinenti al tema, sono spesso gustosi, come i trattatelli sull’uso dell’articolo inglese the e sul significato della parola spagnola camastròn. La fantasia lo porta ad attribuire il libro del biologo e filosofo Richard Dawkins, The God Delusion, a suo tempo molto discusso, al «filosofo Daniel Dennett», la cui «sicumera» lo fa sentire imbarazzato di appartenere allo stesso club di atei. Daniel Dennett intervenne a favore di Dawkins («New York Review of Books» March 1, 2007) dopo che questo era stato irriso dal biologo Allen Orr (Ibidem, January 11, 2007) di essere «an amateur, not professional atheist». MPP intreccia dati ed eventi spesso ben scelti della ricerca neuropsicologica anche più sofisticata, a speculazioni, fantasie, superstizioni. Questo suscita nel lettore il camastrón, che, l’abbiamo appena appreso, è l’imbarazzo non per se stessi, ma per quel che ha fatto qualcun altro.