Eugenio Bruno, Il Sole 24 Ore 30/9/2012, 30 settembre 2012
BOOM DI CONFLITTI, +56% IN 10 ANNI
Tu mi tagli e io ricorro. È il refrain che ha accompagnato tutte le manovre di finanza pubblica che negli ultimi anni hanno provato a intervenire, dal centro, per bloccare le spese "pazze" della periferia. Specie quando l’obiettivo erano i costi della politica. A confermarlo è l’andamento del contenzioso tra Stato e Regioni nell’ultimo quinquennio. Se nel 2002 i ricorsi davanti alla Corte costituzionale presentati dalla Stato contro le Regioni o viceversa erano 107, nel 2011 erano 167; quindi, + 56% in un decennio. Non solo: delle oltre 1.000 istanze davanti alla Consulta dall’introduzione del titolo V sono 625 quelle presentati da entrambe le parti nell’ultimo quinquennio. Una tendenza che neanche il passaggio dai "tagli lineari" di tremontiana memoria alla spending review del Governo Monti è riuscito a modificare.
Lo spartiacque può essere considerato il 2008. Da allora la Consulta è stata tirata in ballo almeno 100 volte l’anno. Per la precisione in 118 casi, a fronte dei 50 del 2007. E anche nel 2009 si è rimasti più o meno sullo stesso livello (114). È difficile allora non vederci un collegamento con le due strette in sei mesi sul comparto delle autonomie (il Dl 112 di luglio e la finanziaria di dicembre) messi in campo dal tandem Tremonti-Berlusconi. Il contenzioso che ne è seguito si è andato ad aggiungere a un tasso di litigiosità già elevato per i tanti problemi generati dal lungo elenco di competenze concorrenti (in base al quale la normativa statale disegna la cornice mentre quella regionale scende nel dettaglio) introdotto in Costituzione con la riforma del titolo V e che, fino a quel momento, faceva registrare un calo quasi fisiologico in coincidenza con le tornate elettorali, sia centrali che regionali.
Dal 2008 in poi anche questa tendenza si è però arrestata. Si pensi ai 130 ricorsi del 2010 (83 dello Stato contro le Regioni e 47 provenienti dalla direzione opposta). E ciò nonostante nel maggio di quell’anno si sia tornati alle urne in 13 amministrazioni regionali. Ma il 2010 è anche l’anno del decreto 78 che ha dedicato un intero capo alla «riduzione del costo degli apparati politici ed amministrativi». Inclusa la previsione di abbattere del 10% l’importo dei contributi elettorali per il rinnovo della Camera, del Senato, del parlamento europeo e dei consigli regionali. Una norma che la Consulta ha dichiarato costituzionalmente legittima giudicando infondato il ricorso presentato dalla Puglia.
Ancora più elevato il contenzioso del 2011 con 167 ricorsi, così suddivisi: 95 dello Stato contro leggi regionali e 72 dei governatori contro le leggi statali. Un boom determinato anche dalle due manovre d’estate messe in campo dal Governo Berlusconi: il Dl 98 e il Dl 138. Contro quest’ultimo – che all’articolo 14 prevedeva la sfoltita dei consiglieri e degli assessori regionali – si sono schierati 14 governatori che hanno chiesto l’intervento della Consulta per una presunta violazione delle loro prerogative costituzionali. Vedendosi però respingere il ricorso.
Con l’arrivo a Palazzo Chigi di Mario Monti il trend non è cambiato. A tre mesi dalla fine del 2012 sono già 96 i ricorsi avanzati. Del resto Salva-Italia e spending review non potevano passare inosservati dalle parti dei governatori. Soprattutto nella parte che mette nel mirino le Province. Contro l’articolo 23 della manovra del Natale scorso, che elimina le giunte e trasforma i consigli provinciali in organi di secondo livello eletti dai Comuni, si sono scagliate in 8: Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Lazio, Molise e Campania. La pronuncia è attesa per il 6 novembre ma nel frattempo il Governo ha messo in stand-by il Ddl che riforma il sistema elettorale delle Province. Senza dimenticare la presa di posizione del Lazio che, nonostante le dimissioni della presidente Polverini dopo lo scandalo sui fondi ai gruppi consiliari, ha impugnato l’articolo 17 con cui il ministro Filippo Patroni Griffi spera di eliminare gli enti di area vasta con meno di 350mila abitanti e un’estensione inferiore ai 2.500 chilometri quadrati.
In un contesto del genere non è un caso che tra i propositi di fine legislatura del titolare di Palazzo Vidoni ci sia quello di rimettere mano all’articolo 117 che tanto contenzioso ha provocato. In arrivo c’è un Ddl costituzionale. E, se non lo si riuscirà ad approvare perché non ci sarà il tempo per una doppia lettura in entrambe le Camere a tre mesi di distanza l’una dall’altra, quell’articolato potrà comunque rappresentare uno dei "compiti a casa" affidati al Parlamento che verrà.