Luigi Zingales, Il Sole 24 Ore 30/9/2012, 30 settembre 2012
L’AGENDA IMPOSSIBILE DEL MONTI-BIS
Le agenzie non fanno in tempo a trasmettere il riluttante «se serve sono pronto a restare», che già in Italia l’establishment esulta. Poco importa che lo stesso Monti abbia detto a chiare lettere: «Spero che dopo le elezioni ci sia un risultato chiaro, con una chiara possibilità di formare una maggioranza e un governo guidato dal leader di questa maggioranza». Poco importa come si voti, quando si voti, e per chi il popolo italiano voti. Il risultato è oramai già deciso: sarà un Monti bis. Ma quale è l’agenda economica di questo fantomatico governo? Quella del Monti-1 era chiara. Monti fu chiamato al capezzale dell’Italia come Bondi viene chiamato al capezzale delle imprese sull’orlo della bancarotta: per risanare i conti ed evitare il default. E, come Bondi, Monti ha egregiamente eseguito questo compito. Certo, si può discutere sulle liberalizzazioni abortite, la riforma peggiorativa dell’articolo 18, e l’eccessivo uso dell’imposizione a scapito dei tagli di spesa. Ma cosa si poteva fare in nove mesi senza una chiara maggioranza politica? Grazie anche alla sponda di Mario Draghi, Monti è riuscito a tamponare la crisi dell’euro che rischiava di distruggere la nostra economia. Se non portasse sfortuna, potrebbe dichiarare, come fece George W Bush nel maggio 2003: «Missione compiuta». Come Bush scoprì a sue spese, però, una cosa è sconfiggere sul campo l’esercito di Saddam Hussein, altro è debellare la guerriglia casa per casa. Lo stesso vale per Monti. Una cosa è evitare temporaneamente il baratro, altro gettare le basi per una crescita solida e sostenuta. Se questo è l’obiettivo, quale dovrebbe essere l’agenda economica di un Monti bis, con una maggioranza che va da Berlusconi a Casini e Bersani? L’unico punto su cui tutti tre i grandi partiti sembrano d’accordo è nel lanciare un’attiva «politica industriale» ovvero spendere i nostri soldi per cercare di stimolare la crescita. Il problema è che i soldi non ci sono e se questa politica industriale viene finanziata con ulteriori tasse certamente causa più danni che benefici. E poi, siamo seri, uno stato che non è in grado di mettere i delinquenti in galera, nè costruire le prigioni per tenerli dentro, uno stato che non è in grado di amministrare la giustizia civile in tempi civili, ed evitare che i soldi pubblici vengano usati per baccanali privati, questo stato sarebbe in grado di individuare i settori trainanti per far crescere il paese? Come gli imprenditori più avveduti capiscono e chiedono, l’unica politica industriale questo stato può effettuare è ridurre le imposte a chi lavora e produce. L’altro capitolo su cui Berlusconi e Casini (ma non Bersani) potrebbero essere d’accordo è di rendere più competitiva l’Italia attraverso una riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto, che da noi è più elevato degli altri paesi dell’area auro. La ricetta, almeno stando alle uscite di Monti sullo statuto dei lavoratori, sembra essere quello di una compressione dei salari. Se l’Italia ha il costo del lavoro così elevato, però, non è perché i nostri lavoratori percepiscano stipendi da favola: sono tra i bassi dell’area euro. Ma come è possibile che il nostro costo del lavoro sia così elevato, quando i nostri salari così bassi? Il primo motivo è il cuneo fiscale. Il nostro stato si appropria di una quota maggiore del prodotto per pagare gli sprechi del sistema politico, le pensioni regalate, etc. Il primo punto di un Monti-bis dovrebbe essere la riduzione del cuneo fiscale ottenuto riducendo la spesa, non aumentando le tasse da altre parti. Il secondo motivo è una bassa produttività. Le cause di questo gap produttivo sono molte, dagli scarsi investimenti a un sistema scolastico che non prepara adeguatamente i nostri ragazzi al mercato del lavoro. Ma una grossa fetta di responsabilità spetta al nostro management, che - in studi internazionali - sembra essere uno dei peggiori dei paesi avanzati. Se FonSai è arrivata sull’orlo del fallimento, non è perchè i sui dipendenti guadagnavano troppo, erano troppo poco flessibili, o troppo protetti dallo statuto dei lavoratori. È perchè la società era gestita male, da manager incompetenti. Da liberista non vorrei mai un’agenda politica che miri a «licenziare i padroni», ma vorrei assicurarmi che ci fosse un mercato competitivo che lo facesse, almeno quando questi "padroni" sono incompetenti. Senza le violazioni dell’antiturst, delle regole sulle parti correlate, sul divieto di incroci azionari, e senza autorità di vigilanza catturate dai (peggiori) operatori, questi manager non resterebbero a lungo. Se vogliamo un aumento della produttività ed una riduzione del costo del lavoro, questa è la via che l’agenda del Monti bis dovrebbe perseguire. Monti sarebbe certamente capace di una tale agenda. Ha sfidato Microsoft, non teme certo i nostri boiardi nazionali. Ma potrebbe farlo con questa maggioranza? Certamente no. Anche se con gradi diversi di responsabilità, Berlusconi, Casini e Bersani sono parte di questo sistema. Sono loro che hanno nominato le autorità che non intervengono e non hanno approvato le leggi necessarie per introdurre maggior trasparenza e competitività nel sistema: non tanto nei taxi e nelle farmacie, ma nelle banche, nelle assicurazioni, e soprattutto nel controllo societario. Affidare a loro il risanamento, sarebbe come affidare a delle volpi la protezione di un pollaio. L’unica speranza di cambiamento nasce da una maggioranza nuova che può solo affermarsi attraverso un voto. Monti questo lo sa. Per questo auspica un governo politico. Ma non basta auspicare, occorre creare le condizioni perché questo avvenga. Se la presente legge elettorale ha enormi difetti, una sua riforma in senso proporzionale sarebbe cadere dalla padella alla brace e renderebbe impossibile realizzare quello che il nostro premier si augura: un risultato chiaro. Abbiamo bisogno di un’uninominale secca in cui ogni eletto rischi la sua faccia davanti agli elettori. Solo così si può sperare in una maggioranza politica chiara in grado di guidare il Paese nella sola direzione che può portare alla crescita: il rinnovamento nella nostra classe politica e dirigenziale.