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 2012  ottobre 01 Lunedì calendario

LE BANCHE DEL PORTOGALLO PAGANO IL CONTO PIÙ SALATO

Un piccolo Paese, con un Pil che vale il 2,2% appena dell’intera area euro. Ma che può diventare un tassello decisivo nel domino economico e finanziario della moneta unica. Con il tempo, infatti, i Diciassette sono diventati sempre più interconnessi. Per Atene il legame è a doppio filo – come rivelano le elaborazioni del Servizio studi di Intesa Sanpaolo per Il Sole 24 Ore – soprattutto con i "vicini" Cipro e Malta sul fronte commerciale e con il Portogallo, l’altro malato di Eurolandia, su quello finanziario. «Prevedere l’impatto dell’aggravarsi della crisi greca – sottolinea Sara Molinari, economista di Intesa Sanpaolo – è difficile, ma le interconnessioni offrono già alcuni indizi sui possibili rischi di contagio».
La cronistoria dei rapporti commerciali della Grecia con l’area euro ne mette in luce la forte dipendenza. Dagli anni 90 l’export verso i partner si è dimezzato e nel 2011 il valore è stato di 11 miliardi. L’altra faccia della medaglia mostra che Atene ha bisogno degli altri 16 partner per sopravvivere: il 40,5% delle sue importazioni – pari a 25 miliardi alla fine dello scorso anno – provengono infatti dall’area. Soprattutto manufatti (25% del totale), prodotti chimici (26,4%), alimentari e tabacco (20,1%), ma anche carburanti (6,1%) e materie prime (3,3 per cento). «I dati – spiega Molinari – fotografano la costante perdita di competitività di un Paese che non può nemmeno affidarsi a un sistema industriale per risalire la china, perché oggi è inesistente. Di qui la necessità di misure drastiche per il rilancio».
Metà degli scambi avvengono con Italia e Germania. Sono infatti made in Italy il 20,5% delle importazioni greche dall’area euro, mentre il 26,7% proviene da Berlino. Così il 24,7% dell’export ellenico nell’eurozona vanno in direzione dell’Italia e il 22,7% della Germania. Percentuali importanti che diventano però piccole gocce rispetto all’economia dei due Paesi, perché le esportazioni verso la Grecia rappresentano lo 0,4% per l’Italia e lo 0,2% appena per la Germania.
Il discorso cambia per i vicini di casa di Atene, che al mercato di sbocco greco devono una parte significativa della loro ricchezza. Le esportazioni cipriote verso il partner greco sono ben lontane da quelle di Italia e Germania, ma pesano per il 10,3% del suo Pil. Così come per Malta valgono l’8,2% del benessere nazionale. «Questo significa – aggiunge Molinari – che in caso di un aggravarsi della crisi greca il contraccolpo maggiore si sentirebbe proprio lì con il rischio di un possibile effetto contagio verso le due economie. E a preoccupare maggioramente è il fatto che Cipro già oggi viva un momento di particolari difficoltà, che quest’estate hanno costretto il governo a bussare alla porta della Ue».
L’altro nervo scoperto sono le esposizioni delle banche europee verso la Grecia. I dati della Banca dei regolamenti internazionali mostrano che dal 2009 al 2011 gli istituti europei hanno dimezzato il loro portafoglio sulla Grecia e detengono oggi complessivamente 90,4 miliardi di dollari in prestiti, depositi collocati, disponibilità di titoli di debito, azioni. È il caso di Italia e Germania, che hanno ridotto la loro esposizione. Le interconnessioni di Atene arrivano piuttosto fino a Lisbona e a Parigi. Le banche più esposte sono quelle francesi, che hanno in pancia 39,9 miliardi di dollari in titoli e obbligazioni elleniche, che rappresentano però solo l’1,39% del portafoglio estero. Sopra il livello d’allarme è invece il dato relativo al Portogallo: qui le banche detengono 7,6 miliardi di dollari in asset ellenici, pari al 6% del loro portafoglio estero, qualcosa come il 4,4% del Pil del Paese. «Un dato preoccupante – conclude Molinari –, perché il Portogallo è già sotto pressione in seguito alle cure della comunità internazionale. Un colpo di coda della crisi greca potrebbe avere forti ripercussioni». Con un effetto-domino che metterebbe a rischio la fiducia nell’euro.