Valerio Maccari, Affari & Finanza, La Repubblica 1/10/2012, 1 ottobre 2012
NELL’AUTUNNO ARABO DI AHMADINEJAD L’AUTARCHIA IRANIANA PASSA PER IL WEB
L’isolamento di un Paese si misura anche con il parametro di Internet. Ma non è detto che questo Paese lo consideri un male, l’isolamento del web, anzi. L’Iran si appresta a lanciare Halal Internet, un network sotto controllo dello Stato, alternativo all’Internet “ufficiale”, cui si potrà accedere solo dai territori della repubblica islamica, sotto pressione internazionale ed embargo sia americano che europeo per l’irrisolta questione dei test nucleari che sta svolgendo al suo interno. E proprio dalla vicenda nucleare prende spunto l’iniziativa. La nuova rete nazionale, il cui lancio è stato annunciato dal ministero delle Comunicazioni, dovrebbe diventare operativa proprio in questi giorni, fra la fine di settembre e l’inizio di ottobre. In prima battuta Halal collegherà fra loro ministeri, agenzie governative, laboratori di ricerca nucleari ritenuti obiettivi sensibili dalle autorità iraniane: un obiettivo confermato da fonti di sicurezza Usa, che hanno riscontrato già a metà settembre, e per la prima volta, la piena operatività in Iran di una rete alternativa e la presenza di versioni “ad hoc” dei siti web dello Stato ad essa collegati. Un’operazione che inquieta non poco gli americani (e Israele): isolandosi dal resto del mondo l’Iran perde sì la possibilità di accedere all’informazione globale, ma acquisisce la libertà di far circolare al suo interno le notizie e i commenti che vuole, quando e
come decide il governo. In una fase successiva, la cui tempistica non è stata ancora comunicata, le autorità dovrebbero estendere l’uso di Halal anche ai cittadini, offrendo un’alternativa “protetta” e veloce alla normale connessione Internet, cui gli iraniani al momento si collegano continuamente anche se non propriamente con dispositivi ultramoderni bensì con i vecchi modem telefonici. Per ora non si prevede l’obbligo di utilizzo, ma le organizzazioni per i diritti umani e la libertà di espressione danno per sicuro che sia in corso un processo di switch off, che porterà Halal a diventare l’unica infrastruttura di accesso al web da suolo iraniano. La transizione anzi, secondo alcuni osservatori internazionali, è già iniziata: approfittando del montante clima pro-censura che ha investito il mondo islamico, il 20 settembre le autorità iraniane hanno iniziato a restringere l’accesso a due prodotti chiave di Google: il servizio di posta elettronica Gmail e il motore di ricerca, che verrà limitato sia nella sua versione normale che in quella “protetta” da protocollo sicuro, di più difficile controllo statale. Le limitazioni sono state annunciate via sms da un consigliere della Procura iraniana, e giustificate tirando in ballo la volontà popolare: «A causa delle continue richieste del popolo - si spiega nel messaggio - l’accesso a Google e Gmail verrà filtrato a livello nazionale. Saranno filtrati fino a ulteriore comunicazione ». Ed è proprio l’indefinitezza dei termini temporali di azione del provvedimento a far temere che si tratti di una soluzione definitiva, e non di un’azione protempore di oscuramento, cui l’Iran non è nuovo. Già questo febbraio, alla vigilia delle elezioni parlamentari, le autorità avevano bloccato l’accesso a Google e Gmail. E a metà 2009 YouTube è stato censurato diverse volte, sulla scia delle proteste e delle accuse di frode elettorale esplose dopo la rielezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Stesso destino tocca, periodicamente, anche ai social network Facebook e Twitter. E anche l’i-Tunes Store di Apple è stato chiuso. L’idea una rete nazionale, ovviamente, non nasce in queste settimane. Il piano ha origne nel 2005, ma il suo sviluppo è stato rallentato dagli ingenti costi di realizzazione. Negli ultimi anni, però, il progetto ha ricevuto nuovo impulso, complice il cyberattacco portato da Stuxnet, il virus worm che tra il 2010 e il 2011 ha infettato più di 60mila computer industriali nei centri nucleari iraniani, e la cui origine israeliana e statunitense è stata ormai accertata. Sotto l’amministrazione Obama, infatti, gli sforzi dei servizi si sono concentrati sullo sviluppo nei territori ostili della libera Internet, ritenuta un’efficace testa di ponte per la democratizzazione dell’opinione pubblica e per il sostegno dei gruppi di opposizione. L’attività Usa ha portato ad identificare nella digitalizzazione un processo nascosto di occidentalizzazione, che ha spinto molti paesi – tra cui l’Iran – a istituire controlli più severi sul web. Anche in Egitto, durante la rivoluzione che ha portato alla caduta di Mubarak, il regime ha spento l’accesso ad Internet, visto come il veicolo di trasmissione delle informazioni usato dai “rivoltosi”, una misura che come si è visto si è rivelata del tutto inutile. Dopo l’attacco di Stuxnet, la questione in Iran si è estesa dal fronte interno anche alla sfera della sicurezza militare esterna. Per questo il progetto Halal è stato rifinanziato, con l’aiuto – sostengono i servizi di sicurezza Usa – del gigante cinese della tecnologia Huawei, che ha fornito le tecnologie di base per i collegamenti e per un’efficace sorveglianza del traffico online. Una ricostruzione confutata da Huawei, che in una nota ufficiale ha sottolineato di non aver preso parte alla costruzione del-l’infrastruttura, e di aver anzi limitato le sue interazioni con l’Iran. Comunque sia andata, il varo della nuova rete segna un punto di non ritorno nelle relazioni fra l’Iran e l’occidente, e contribuisce a riscaldare il clima di tensione militare che corre fra la Repubblica Islamica da una parte ed Israele e Usa dall’altra, spezzando per la prima volta la continuità della rete. «Siamo preoccupati non solo dal punto di vista dei diritti umani, ma anche per l’integrità di Internet », ha spiegato David Baer, segretario assistente dl dipartimento di stato Usa per i diritti umani e il lavoro. «Quando un intero Paese si separa dal web, non sono solo i suoi cittadini a soffrirne, ma tutti». Il timore è che il processo di disgregazione del web sia appena iniziato: e che l’esempio iraniano dia il via a una reazione a catena, difficilmente contenibile, che porti all’uscita dal web degli altri stati a rischio, come Russia, Corea del Nord, Cina, Bolivia e Venezuela.