Franco Cordelli, Corriere della Sera 30/09/2012, 30 settembre 2012
SE LA CARTA BOLLATA SOSTITUISCE UNA CRITICA IN DECLINO
Obiettivamente l’iniziativa di Gabriele Pedullà, da tanti altri e da me sottoscritta, ha avuto un certo successo. Lo scopo era quello di difendere la libertà d’espressione, ovvero di riaffermarne il principio — in sé scontato ma non per questo sempre rispettato. Scopo ulteriore si è rivelato il bisogno di discutere dove si ponga il limite al diritto di critica, dove cioè la critica possa tramutarsi in offesa. Si è in genere convenuto di porlo, questo limite, là dove il riferimento a un’opera diventa riferimento alla persona — che è come dire (lo abbiamo sempre saputo) si condanna il peccato, non il peccatore.
Ho scritto che l’iniziativa del Collegio Romano ha avuto successo. Lo dimostrano le tante reazioni stizzite. Queste hanno un tratto comune che non esito definire perbenista o, quanto meno, prudente. Bartezzaghi su «Repubblica», Delbecchi sul «Fatto» e Battista sul «Corriere» (per non dire di chi sui giornali che dobbiamo tuttavia difendere ha a sua volta offeso o insultato) sembrano d’accordo nel definire l’iniziativa sgradevole o esagerata. Sgradevole per conformismo, i soliti intellettuali che si radunano ecc., come dice Battista. Esagerata per sproporzione, come sostiene Bartezzaghi. Ma dov’è la sproporzione pensando alla cifra richiesta da Carofiglio al verbalmente aggressivo Ostuni o, di più, al passaggio dell’opinione, espressa in modo virulento, in un’aula di tribunale? Paradossalmente, più cauto appare Carofiglio nell’intervista rilasciata a «Repubblica». Ma non è la psicologia di Carofiglio che mi interessa. M’interessa come a ciò si sia arrivati.
Tutti cominciano con il lanciare segnali di rispetto a Carofiglio. Poi dicono che non avrebbe dovuto. Poi, subito dopo, che ancor meno avrebbero dovuto gli altri. Meglio (dice Battista) rispondere con un bell’articolo, come ha fatto Paolo Flores. Già, ma si dà il caso che non a tutti è concesso scrivere un bell’articolo — e che forse un gesto (non stiamo parlando d’un gesto violento) a volte è più efficace di una parola. Come, dunque, a ciò si è arrivati? Indico un esempio recente: per l’uscita del primo romanzo di Christian Raimo, a chi ha affidato la recensione «Repubblica»? A Antonella Lattanzi. E chi è costei? Io, che so tutto, non lo sapevo. Però mi sono detto: sarà una giovane scrittrice pubblicata da Einaudi. E Lattanzi proprio questo è. Che bisogna dire di un giornale («Il Fatto») che non ospita articoli di critica; o se li ospita («Repubblica») li affida a un cosiddetto scrittore, per di più inesperto, per di più della stessa casa editrice del libro che deve analizzare?
Bisogna chiarire che se la critica non c’è più probabilmente la colpa non è della critica ma del costume culturale in cui lavoriamo. Mi sembra ovvio, in queste condizioni, che ci possano scappare parole grosse e qualche happening. Ma non basta. Questo «costume culturale» ha reso irrilevante, inavvertibile, che tra un libro e l’altro vi sono differenze non legate al numero di copie venduto.
Un tempo si distingueva tra highbrow, middlebrow e lowbrow. Oggi queste sofisticate distinzioni da Bloomsbury fanno ridere. Eppure, sempre ci sono. Il problema è che non possono essere rese operative.
Quando Oriana Fallaci pubblicò Un uomo ed ebbe uno straordinario successo, non vituperavo affatto, come tanti, l’esistenza di quel libro. Dissi al mio editore di allora Rizzoli, lo stesso della Fallaci, che io alla Fallaci ero grato perché a lui — era Piero Gelli — consentiva di pubblicare un libro (il mio) che non avrebbe venduto più di tremila copie. Grato alla Fallaci e allo stesso modo a Carofiglio? Sì, poiché non aspiro a un mondo in cui tutti leggano Fallaci e Carofiglio o Cordelli e Ostuni. Un mondo così sarebbe sfibrante. Ma abbastanza spiacevole è anche il nostro, che non distingue più, non ha voglia di farlo, non può farlo.
La vicenda di Carofiglio comincia in fondo dal suo editore, che lo ha candidato al premio Strega. O meglio: comincia dal triste premio Strega, che tutto indifferentemente legittima — ed esalta. Un tempo, in finale arrivava qualche romanzo che si sarebbe definito middlebrow. Giammai un lowbrow, cioè un romanzo di puro intrattenimento. E che cos’è Il passato è una terra straniera, l’unico libro di Carofiglio che io abbia letto, se non un romanzo di puro intrattenimento? Niente di male, che esso esista. Al contrario, auspico che ne esistano sempre. Ma di più auspico che non vi siano troppi falsi bersagli.
Perché i critici (è anche a loro che sto parlando) si accaniscono su Carofiglio e, al di là degli ostacoli che sono ad essi posti, esitano tanto a sbrogliare la matassa? Che cos’è davvero il romanzo di Piperno? E quello di Trevi? (per rimanere allo Strega). E quello di Raimo? E, infine, il Tale è davvero il grande scrittore che in tanti continueranno a sostenere finché non ne arriverà uno nuovo, lasciando alla manovalanza il compito di confondere le acque, ubbidire a editori e testate giornalistiche, esaltare romanzi che hanno l’apparenza di non essere, loro, di mero intrattenimento?
Franco Cordelli