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 2012  settembre 30 Domenica calendario

CHI HA PAURA DI GIANBURRASCA

Non è necessario avere una particolare simpatia per Matteo Renzi, condividerne la sommarietà del programma o il piglio da Gianburrasca, per stupirsi della piega che stanno prendendo le «primarie» dentro il Partito democratico. Una piega che si riassume non solo nel tentativo di boicottare in tutti i modi la candidatura del sindaco di Firenze, ma nel tipo di reazioni che questa sta scatenando in una parte del gruppo dirigente della sinistra.
In qualsiasi elezione, e dunque anche nelle «primarie», opporsi politicamente a un candidato è più che legittimo. Boicottarne la candidatura invece no. Equivale precisamente a un boicottaggio, per esempio, il predisporre un sistema di regole fatte apposta per ostacolare la vittoria di un determinato candidato. È quanto, per l’appunto, ciò che starebbe avvenendo in queste ore nelle segrete stanze del Pd.
Si comincia con la decisione bizzarra di ammettere al voto per le «primarie» sedicenni e immigrati. Ma che senso ha, visto che le «primarie» stesse servono a scegliere chi dovrà capeggiare la coalizione alle elezioni politiche, che costui sia scelto anche da chi a quelle elezioni non potrà poi partecipare? È inevitabile il sospetto che ci sia dietro qualche intenzione poco chiara. Si prosegue poi con la regola del doppio turno: una regola, mai prima adottata, che evidentemente è fatta su misura per consentire al candidato sulla carta favorito, cioè Bersani, di poter avere maggiori speranze di vittoria grazie al restringersi finale del confronto a un virtuale ballottaggio (una regola che diventerebbe ancora più capestro, poi, se al secondo turno, come pare che si proponga, fossero ammessi solo i votanti al primo). Ancora: si parla di un albo pubblico nel quale i votanti dovrebbero vedere iscritto il proprio nome. Una regola nuova pure questa, destinata sempre a cercare di restringere in tutti i modi l’area degli elettori di Renzi.
Ma ad aggravare l’impressione del boicottaggio c’è qualcosa di più. Ci sono le dichiarazioni dell’establishment della coalizione di sinistra (ma non del segretario Bersani: e di ciò gli va dato onestamente atto). Mentre Renzi ha più volte assicurato che se sconfitto egli è pronto ad accettare il verdetto e ad appoggiare il vincitore, chiunque esso sia, invece i vari D’Alema, Bindi, Vendola, non hanno perso occasione per dipingere l’eventuale vittoria di Renzi come la calata dei barbari, una catastrofe politica, la fine del centrosinistra, e chi più ne ha più ne metta. Hanno cioè usato contro il candidato a loro sgradito l’arma che la sinistra italiana è da sempre irresistibilmente tentata di usare contro l’avversario: la delegittimazione. Ci manca poco che uno di questi giorni Renzi si veda affibbiato l’epiteto di «fascista». Un tipo di reazione tanto più singolare (e inaccettabile) in quanto in molte passate occasioni — da Genova, a Napoli, a Palermo, a Milano nelle quali personalità o partiti a sinistra del Pd, infischiandosene di qualunque risultato delle «primarie», ne rovesciavano disinvoltamente il verdetto per presentare/imporre un proprio candidato —, sia D’Alema che la Bindi si sono ben guardati dall’adoperare espressioni paragonabili a quelle adoperate oggi contro Renzi. Il quale forse, peraltro, dalla rabbia partigiana dei «vecchi leoni» dell’oligarchia ha assai più da guadagnare che da perdere.
Ernesto Galli Della Loggia