Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  settembre 29 Sabato calendario

“ERO IL COMPAGNO CHE LEGGEVA CÉLINE”

Vai sul sito del Lupone, alias l’umorista italiano tra i più tradotti nel mondo, il richiestissimo uomo di spettacolo e di teatro, il giornalista indignato e graffiante, ovvero Stefano Benni, e non trovi nemmeno un suo ritratto con il sorriso un po’ satanico e l’aureola candida tutta scompigliata. Bensì ti imbatti nella scritta «Asino chi non legge». Un controsenso. Perché nell’ultimo ironico, appassionato e anche lievemente malinconico libro del Lupone, Di tutte le ricchezze (Feltrinelli, pp. 192, € 16), quelli che leggono, ragionano e filosofeggiano sono gli animali. Il tasso prima di tutti e poi la volpe, l’istrice, la falena. Insieme a loro, per Benni, grandi lettori sono poi i più piccoli: «Nella mia lunga carriera di scrittore, di visitatore di scuole, di insegnante, molto raramente ho incontrato bambini che non avessero voglia di leggere, scrivere, inventare», sostiene. A fargliela diventare indi­ gesta, la carta stampata, sono sempre gli adulti. Ben­ ni­bambino, invece, la ap­ prezzava? «Ho passato quasi tutta la mia infanzia in un paese di montagna. Oltre che giocare a pallone e perdermi nei boschi, non avevo altri svaghi. Un giorno scoprii che in un paese vicino c’era una biblioteca. Entrai e il mio mondo diventò un milione di volte più grande. Cominciai con London, poi con Salgari,

Poe, Boccaccio, Gogol e Flaubert, divoravo tutto, anche quello che non capivo fino in fondo. Nessuno mi indicava il libro da prendere, leggevo la prima pagina e se mi piaceva andavo avanti. Non mi guidava la cultura, ma una specie di istinto animale del lettore. A scuola quei libri non erano in programma, né consigliati, anzi venivano osteggiati. Una volta il professore mi sequestrò un’opera di Pavese. Il giorno dopo presi il Cappotto di Gogol e gli misi una copertina bianca con scritto Diario di scuola. Così ho fregato il professore per tre anni». Fuori dall’aula i tomi li fre­ quentava? «Qualche volta li regalavo pure alle ragazze, anche se in alcuni casi funzionava meglio una pizza. Per una studentessa in psicologia che mi piaceva, rubai sei volumi dell’opera di Freud edita da di Bollati e Boringhieri e poi scoprii che li aveva venduti per comprarsi uno stereo. Quando scrivere è diventato il mio mestiere, tante volte, ho incontrato delle coppie che mi hanno detto: “mi ha conquistato regalandomi un tuo libro” oppure “ci siamo conosciuti al mare perché tutti e due leggevamo Elianto . Non ho mai chiesto una percentuale per aver favorito questo amori, ma forse mi spetterebbe, almeno qualche bacetto». Negli anni Settanta con quali opere si intratteneva? «In quel periodo ero “il compagno che legge Céline”, additato al pubblico disprezzo in assemblea perché mi intrattenevo con autori considerati di destra, o cattolici tradizionali come Eliot o Gadda, che per qualcuno era un fottuto conservatore. Ma mi sono sempre battuto contro la censura “preventiva”, esistono grandi libri di uomini detestabili e libri detestabili di grandi uomini. Ovviamente c’erano libri che leggevo perché ero affascinato dalla loro nomea maledetta, o dalla vita degli autori, e dopo qualche anno li ho trovati assai meno interessanti. Mi piaceva più Hemingway di Melville e Lautreamont più di Balzac, Pasolini più della Morante, poi ho ribaltato questi gusti, pur continuando ad amare tutti». Erano comunque anni travol­ genti? «C’era un magnifico disordine e tanta confusione. Eravamo onnivori, passavamo dal rock al jazz, dal fumetto al saggio, dalla psichedelia al realismo socialista. Eravamo anche massacratori di chitarre. Qualcuno ha rinnegato quegli anni, io no, forse perché già allora vedevo cose che non mi piacevano, già allora litigavo su certi miti, non mi sono svegliato all’improvviso da un sogno». Tutto cambiò quando ha co­ minciato a lavorare? «Come cameriere ho avuto pochissimo tempo per la lettura. Quando invece facevo la naja mi dedicavo a fumetti come Kriminal eSatanik . Andare a fare la guardia con un libro di Esenin era visto con sospetto. Quando ho cominciato a fare il giornalista e a scrivere racconti, ho letto meno. Mi ero convinto che avevo la missione di colmare i vuoti della letteratura mondiale, quindi scrivere più che leggere. Dopo qualche anno sono rinsavito». Quanto hanno contato per lei gli scrittori umoristi? «Ho sempre amato la tonalità del comico e ho subito notato che la mia scrittura spesso, sceglieva l’ironia. Ma i miei maestri forse non sono stati gli autori comici. Per me ha contato molto anche la poesia che inserisco nei miei libri quando mi accorgo che quello che sento non è esprimibile in prosa. Le parole perdono i confini, si caricano di un’energia spaventosa. Rilke ha scritto pagine meravigliose su questo. Spesso, poi, ogni nuovo scrittore è stato per me come uno strumento nuovo di un’ orchestra. Qualche volta volevo imitare la sua musica, spesso

frettolosamente. Qualche volta rimanevo paralizzato mesi, perché capivo che non avrei mai scritto così. Dopo Lolita , rimasi quasi un anno senza scrivere una riga. In ogni caso sono convinto che i libri sono chiavi fondamentali per capire qualcosa del tempo in cui si vive. Parlo anche di libri scritti cento, mille, anni fa. Il tempo dei libri è immensamente più grande di quello degli orologi, è stato detto».
"«Durante la naja mi dedicavo a Kriminal, fare la guardia con Esenin destava sospetto» «Vi sono autori che paralizzano: dopo Lolita rimasi quasi un anno senza scrivere»"