Francesco Guerrera, la Stampa 29/9/2012, 29 settembre 2012
IL “FATTORE MONTI” A NEW YORK
Per chi vive a New York, l’assemblea generale delle Nazioni Unite non è un evento lieto.
Invece di celebrare il miracolo di centinaia di Paesi uniti dal desiderio di evitare conflitti, i newyorchesi si lamentano del traffico asfissiante, delle onnipresenti auto blu e delle sirene a squarciagola in una città che, come diceva Frank Sinatra, non dorme mai.
Ma per noi guardoni della politica e della finanza internazionale, la riunione annuale dell’Onu è una specie di Miss Mondo: un’occasione per osservare da vicino i potenti del pianeta. E dopo quasi una settimana in passerella, bisogna dire che l’Italia ha fatto una bella figura.
Visti i tempi cupi sull’altra sponda dell’Oceano, l’interesse di Wall Street, dei media americani e di quella (piccola) parte del pubblico Usa che segue l’economia mondiale era tutta sull’Europa.
Con due primi ministri, Mario Monti e Mariano Rajoy, ed il presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso presenti, c’è stata molta Europa a Manhattan negli ultimi giorni.
Ho avuto l’occasione di incontrare sia il primo ministro italiano e quello spagnolo e la mia impressione, condivisa da investitori e banchieri, è la seguente: sceglierei Mariano come compagno di cena, ma lascerei senz’altro la gestione delle mie finanze a Monti.
Sulla scena internazionale, il «fattore Monti» aiuta l’Italia. Sicuramente dal punto di vista dell’immagine ma anche forse sulla sostanza.
Per chi, come me, è un«europeo del Sud», è stato interessante vedere Monti e Rajoy, e un po’ meno Barroso, dover far fronte ad una domanda fondamentale e difficile: ma i vostri Paesi sono ingovernabili?
Nessuno degli interlocutori è stato così scortese da porla proprio così la domanda, ma nel mondo anglosassone (e forse anche nel NordEuropa), la crisi ha rinforzato l’idea, o il pregiudizio, che gli italiani, gli spagnoli e, già che ci siamo pure i greci, non «vogliano» essere governati. Che preferiscono uno Stato allo sfacelo, una maceria di governo senza un minimo di senso civico che permette alla popolazione di fare il bello e il cattivo tempo senza essere disturbati.
La visione del mondo Sudeuropeo da parte dell’America e dell’Inghilterra è da caricatura, lo stereotipo del mediterraneo pigro e furbo.
E, fidatevi di me, questa non è un’opinione solo delle classi basse e poco educate. Chiedete a qualsiasi professionista italiano che vive all’estero quante volte ha dovuto fare sorrisi di circostanza a battutine dei colleghi sul numero dei governi italiani dal dopoguerra, sulla voglia di lavorare degli europei, sui carrarmati italiani con la marcia indietro e così via...
Persino il mio contabile di New York, che pago perché mi aiuti a fare la dichiarazione dei redditi, mi prende giro come l’unico italiano al mondo che paga le tasse.
E’ chiaro che queste idee sono così radicate per un motivo solo: che qualche volta sono vere. Ma non sempre. E allora quando i grandi della finanza, della carta stampata e della politica si trovano davanti un Monti, incominciano a capire che non tutti gli europei sono come quelli dipinti dalle copertine delle riviste scandalistiche tedesche.
Il primo ministro, che conosco dalla sua permanenza a Bruxelles, non ha fatto e detto niente di speciale. E’ stato se stesso: preciso, pacato, professoriale, con un senso dell’umorismo sarcastico ma educato. Sempre pronto ad evadere domande che non gli piacevano con un sorriso ed un bel silenzio.
Ma questo Monti d’annata basta e avanza per degli interlocutori internazionali abituati a molto peggio con il suo predecessore: barzellette salaci, paragoni tra deputati tedeschi e kapo nazisti e il senso di non avere il controllo del Paese e delle sue finanze.
Non è solo il paragone con Berlusconi che aiuta Monti e l’immagine dell’Italia: è anche la giustapposizione con gli attuali governanti d’Europa.
La domanda sulla bocca di tutti (o almeno sulla bocca di chi di queste cose se ne occupa) era se la Spagna o l’Italia, o entrambe, chiederanno l’aiuto della Banca Centrale Europea di Mario Draghi. La promessa della Bce – di comprare beni del tesoro spagnoli e italiani per tenere gli spread bassi e allentare la pressione sulle finanze governative – è una spada di Damocle sulle teste di Rajoy e Monti.
Se chiedono l’aiuto, i mercati potrebbero interpretarlo come un’ammissione di difficoltà. Ma se non lo chiedono, gli investitori potrebbero ancora una volta abbandonare i due Paesi, facendoli sprofondare nella crisi finanziaria.
Rajoy, che è pure spiritoso e brillante, ha danzato senza convinzione e senza convincere intorno alla domanda, lasciando i mercati in balia delle loro paure.
Monti, invece, ha spiegato la situazione, mettendo in chiaro il fatto che le fondamenta dell’economia italiana sono solide anche se la situazione contingente è abbastanza preoccupante.
Non facciamoci illusioni: non tutti amano il primo ministro italiano ed, anzi, molti qui in America si dicono preoccupati di una situazione in cui il governo di una delle più grandi economie del mondo è guidato da un premier non scelto dall’elettorato, soprattutto, se la sua permanenza si dovesse estendere da 18 mesi a cinque anni e 18 mesi.
E, anche dopo aver visto Monti, investitori e banchieri hanno detto di essere rimasti scettici su un’Italia schiacciata tra crescita economica anemica e problemi finanziari e sociali annosi.
Ma, almeno per una settimana, la città che non dorme mai non ha perso sonno per le uscite di un primo ministro italiano.