Giacomo Galeazzi, la Stampa 30/9/2012, 30 settembre 2012
CORVO IN VATICANO, VERSO LA SENTENZA-LAMPO
Chi entrava e usciva da casa Gabriele è rimasto catturato in una telecamera piazzata dai gendarmi sul pianerottolo. Ma quelle immagini sembrano l’unica incognita in un processo apparentemente già segnato, tanto che in quattro udienze il tribunale vaticano conta di sentire l’imputato e i testimoni (tra i quali il segretario papale Georg Gaenswein e la governante Cristina Cernetti) e arrivare a sentenza. Nella minuscola aula d’Oltretevere, identica ad una pretura di provincia, il reo confesso Paolo Gabriele, sorridente e impassibile, confida nella grazia papale.
Non è un capro espiatorio, ha colpe incontestabili, però nessuno in Curia crede davvero che abbia fatto tutto da solo. Eppure lui sembra reggere sulle sue spalle con disinvoltura l’intero peso di uno scandalo senza precedenti. Gli sono state sequestrate 82 casse di documenti e piazzata una telecamera sul portone di casa, ma l’ex maggiordomo papale ascolta serafico le dispute giuridiche e la sfilza di eccezioni (respinte) del suo legale sull’incompetenza del collegio in questioni legate al segreto pontificio e di nullità del rinvio a giudizio per genericità del capo di imputazione. Alle spalle dei giudici campeggiano un crocifisso e lo stemma papale. Sulla parete sinistra, un ritratto di Benedetto XVI. Completo grigio chiaro, ben rasato, l’ex assistente di camera è entrato salutando silenziosamente, poi si è seduto su una panca braccia spesso conserte, pochi segni di nervosismo, lo sguardo a tratti assente..
Nell’ora della verità al «corvo» non viene chiesto di parlare perché la prima udienza è una guerra legale da cui esce di scena l’altro imputato Claudio Sciarpelletti che verrà processato a parte: ieri non era presente all’udienza per un imprevisto dovuto all’agitazione. E’ stato arrestato in Vaticano per una notte il 25 maggio perché trovato in possesso di una busta con alcuni documenti: una corrispondenza mail e la relazione «Napoleone in Vaticano» riprodotta da Gianluigi Nuzzi nel volume «Sua Santità» e relativa alla gendarmeria vaticana. In un primo momento Sciarpelletti aveva affermato che la busta (con timbro a secco sul retro della segreteria di Stato) gli era stata data da Paolo Gabriele, poi ha rettificato dicendo che gli era invece stata consegnata da un monsignore (coperto da «omissis», lettera W) per l’ex maggiordomo. È così che il tecnico informatico ha indirizzato gli inquirenti verso Gabriele, ma il favoreggiamento si configura a carico del monsignore. «Tra me e Paolo Gabriele non c’era una grande amicizia,ci conoscevamo e scambiavamo opinioni», ha puntualizzato Sciarpelletti per bocca del suo avvocato. E in aula l’ex maggiordomo ha annuito come a benedirne l’uscita di scena. La ribalta è tutta sua. Martedì tocca a lui parlare. In una settimana sarà tutto finito.
LA SOLITUDINE DEL MAGGIORDOMO TRA INTRIGHI E LOTTE DI POTERE –
Per chi si definisce un «infiltrato dello Spirito Santo» e si attribuisce la missione di proteggere il Papa, in fondo è una vittoria. Nessuno gli farà più ombra. Paolo Gabriele resta l’unico imputato in un processo-lampo. Restano sullo sfondo ma fuori dall’aula nomi pesanti, scenari da intrigo internazionale, lotte di potere in Curia. Del resto «Paoletto» ha già confessato.
Ha agito da solo, ha detto nel corso dell’istruttoria, per creare uno choc salutare, per «aiutare il Papa», che vedeva circondato da «male e corruzione». Ora l’unico protagonista sarà lui: rischia una condanna fino a sei anni. Stralciato Claudio Sciarpelletti, l’informatico che sarà processato «a data da destinarsi», nell’aula vaticana il quadro invece di allargarsi si focalizza sempre più sulle responsabilità di «Paoletto»: i giudici hanno persino deciso di escludere dagli atti del processo l’articolo di «Die Welt» che ipotizzava il coinvolgimento in Vatileaks del cardinale Paolo Sardi, ex responsabile della stesura dei testi papali, del vescovo Joseph Clemens, ex segretario del cardinale Ratzinger, e di Ingrid Stampa, storica collaboratrice del Pontefice tedesco. La decisione è stata presa su richiesta dell’avvocato del maggiordomo infedele, Cristiana Arrù. L’articolo era stato redatto dal vaticanista Paul Badde, considerato vicino al segretario del Papa, monsignor Georg Gaenswein, che sarà invece chiamato a deporre.
Resta fuori dall’aula giudiziaria anche Gianluigi Nuzzi (che su Twitter esorta a «non lasciare solo» l’ex maggiordomo) il giornalista al quale Gabriele ha consegnato le copie dei documenti riservati da lui sottratti dall’appartamento insieme ai valori: almeno un assegno di 100 mila euro (donato al Papa dal rettore di un’università cattolica spagnola), una pepita d’oro e una cinquecentina (una copia dell’Eneide di Annibal Caro, che vale alcune migliaia di euro). L’eventuale reato di ricettazione che potrebbe essere addebitato a Nuzzi sarebbe stato compiuto all’estero (cioè in Italia) e i giudici vaticani non sono competenti né le parti hanno pensato di convocarlo in qualità di testimone, accettando quindi passivamente l’improbabile versione fornita dall’imputato che ha dichiarato di averlo contattato attraverso il centralino della sua redazione a «La7». E non saranno nemmeno acquisiti i verbali delle audizioni della commissione d’inchiesta cardinalizia voluta dal Papa, il cui lavoro ha approfondito anche i rapporti di Paolo Gabriele con il mondo dei media, in particolare con alcuni giornalisti con i quali il maggiordomo del Pontefice era assiduamente in contatto, vicini anche alla sua famiglia. Il risvolto mediatico di Vatileaks sembra dunque destinato a restare fuori dal processo, sebbene il caso sia nato in questo ambito. Alla fine gli unici giornalisti che resteranno agli annali della Giustizia Vaticana saranno così i vaticanisti sorteggiati per assistere ad ogni udienza. Inoltre, con lo stralcio della posizione dell’informatico della Segreteria di Stato accusato di favoreggiamento, non deporrà nel processo a Gabriele nemmeno Carlo Maria Polvani, nipote del nunzio a Washington in rotta di collisione con il segretario di Stato Bertone .
Non verranno acquisiti neppure i verbali delle testimonianze raccolte dalla commissione cardinalizia (Herranz, De Giorgi, Tomko)incaricata da Benedetto XVI di indagare sulla fuga di documenti. «E’ una scelta “politica”, ispirata ma non dettata dal codice di diritto canonico», ammettono in Curia. La commissione è stata istituita secondo l’ordinamento canonico con l’incarico di riferire al Pontefice, per cui non ha rilevanza per l’ordinamento vaticano. «Abbiamo a disposizione quattro udienze e potrebbero bastare», spiegano i giudici. La difesa di Gabriele chiedeva una planimetria dello studio di don Georg. Negata anch’essa per motivi di sicurezza.