Giuseppe Salvaggiulo, la Stampa 30/9/2012, 30 settembre 2012
ROSSO, IL MORALIZZATORE A CORRENTE ALTERNATA
Ieri a mezzogiorno: «No guardi, basta con i giornalisti. Anche mia moglie è incaz... e tutto per una frase in televisione: avessi saputo... sono su tutte le tv, altro che la Minetti. Del Debbio mi vuole in trasmissione. Ma ora basta, e poi dobbiamo partire. Arrivederci». Tre ore dopo richiama: «Sono Roberto Rosso: va bene, parliamo. Venga a casa mia». Ed eccolo, sorridente sotto la chioma riccioluta, con l’aria in fondo compiaciuta, davanti a un caffè e un vassoio di bignè nel soggiorno dove gironzola un setter irlandese: «Mi telefonano deputati di ogni partito e dicono: ma chi te l’ha fatto fare? Per me non si tratta di reati, io volevo solo spiegare. Ero a Telelombardia, figurati se pensavo di fare un bordello in Piemonte. C’era un leghista che attaccava Fiorito. Eh no, non si possono trattare i politici terroni come magliari e quelli settentrionali come santi. L’autoregolamentazione è lassista ovunque, lo sanno tutti, anche i consiglieri comunali, che infatti aspirano al salto in Regione. Il sistema non funziona, sto scrivendo un libro: bisogna abolire le Regioni e sostituirle con 45 cantoni, con costi standard, per non fare più paciocchi».
Una ne pensa, dieci ne fa, cento ne dice. «Io non sono cauto, uno che dosa le parole. Come dire: improvvido». «E pure recidivo», sorride con una smorfia amara la moglie Roberta, imprenditrice, che ieri è uscita presto dal villino sulla collina torinese e alle otto aveva già tra le mani la mazzetta di giornali con il marito protagonista: «Io lo proteggo e lo proteggerò sempre». Ma che fatica. Nel 2001, mentre contende la poltrona di sindaco di Torino a Sergio Chiamparino con slogan tipo «i vigili ci devono proteggere, non multare», se ne esce con la proposta di cambiare nome a corso Unione Sovietica, spostando a sinistra migliaia di residenti moderati, terrorizzati dall’idea di dover rifare patente e carta d’identità. «Suscitai uno scalpore conservatore. La realtà è che sono troppo rivoluzionario, infatti andai forte nei quartieri popolari, portando Forza Italia al 34%. Pensi che ora il Pdl prende quasi la metà». Pentito? Macché:«Capisco corso Russia, piazza Gorbaciov, ma è folle nel 2012 avere corso Unione Sovietica, un regime che ha fatto tanti morti. E’ come se esistesse corso Terzo Reich». Nel 2010 si dimette dopo due mesi da vicepresidente della giunta regionale. Non lega con Cota, è osteggiato nel partito, contestato dall’opposizione per essersi interessato alla sorte di un call center «ma era tutto un equivoco, non ho mai ricevuto nemmeno un avviso di garanzia». Resta deputato e qualche tempo dopo in aeroporto lo beccano a discettare con un collega dei «diritti acquisiti sul vitalizio parlamentare», per cui ha fatto ricorso. Scoppia un altro putiferio, lui spiega: «Ne ho diritto per giurisprudenza della Cassazione e della Corte Costituzionale».
Roberto Rosso da Trino Vercellese si definisce un uomo «improvvido, talvolta sprovveduto». A Vercelli è sotto processo per associazione a delinquere e peculato, per i contributi pubblici presi da «Terre d’acqua», società di promozione del territorio da lui fondata. «Ne ero presidente onorario, con quei soldi organizzavamo eventi e pagavamo un amministratore e un revisore. Ma ti pare che faccio la cresta di 10 mila euro, io che ho chiuso nel ’95 lo studio legale per evitare conflitti di interessi?».
Politicamente, a dir poco eclettico. «Un convertito. Pronipote di don Bosco, famiglia liberale, educazione cattolica, al liceo il prof di filosofia mi fa leggere Feuerbach e divento ateo». A 19 anni la prima campagna elettorale nella Dc, «perché nel mio paese c’erano molti braccianti e comandavano i comunisti. Se non volevi stare con loro, l’unica alternativa era la lista del prete». Eletto con 500 preferenze. La volta dopo addirittura 1200 su 8000 abitanti. Dal Comune alla Provincia, poi con Lusetti e Franceschini al vertice nazionale dei giovani democristiani. Nel frattempo laurea in legge, studio da avvocato, vicesegretario regionale del partito. Ma al crepuscolo della Prima Repubblica, un’altra conversione. «Lascio la Dc, mi avvicino a Segni,faccio scoppiare la tangentopoli locale denunciando mazzette sull’inceneritore proprio come un grillino, organizzo un convegno dal titolo Vercelli come Palermo invitando Leoluca Orlando, fondo una lista Mani Pulite e prendo il 12%». Siamo nel ’93: folgorazione berlusconiana. «A fine ottobre un manager di Publitalia mi porta ad Arcore. Conosco Berlusconi. Io democristiano, lui post moderno: mai visto uomo più affascinante». Fonda Forza Italia nel Vercellese e diventa deputato a 33 anni. Il fisico del ruolo non gli manca: magro, abbronzatura e doppiopetto d’ordinanza, gemelli ai polsini, Breitling con cinturino azzurro, cifre ombreggiate a impreziosire le camicie su misura, cravatte di Marinella. Memorabile il manifesto elettorale del 2001: con Silvio, sotto lo slogan «Uno sguardo, un’intesa». Ma gli occhi non s’incrociavano. «Silvio è in grado di farti fare tutto e il contrario. E’ nella storia d’Italia con Cavour, Mussolini, De Gasperi e Fanfani. So di essere blasfemo, ma talvolta ho sentito di volere più bene a lui che a papà e mamma». E come ha fatto a lasciarlo per due mesi, nel turbolento 2010, andando con Fini e votandogli la sfiducia? «Avevo problemi nel Pdl con Enzo Ghigo, il coordinatore piemontese. Ma Berlusconi è sempre stato carino e affettuoso con me. La sera stessa in cui passo a Fli, mi invita a casa sua, a Palazzo Grazioli. Siamo soli, parliamo a lungo. Mi dice: resisti. Qualche mese dopo c’è un voto parlamentare sul caso Ruby, io lo difendo: come avrei potuto accoltellarlo, mi ha fatto solo un mucchio di bene! Lui mi telefona, mi ringrazia, torno nel Pdl». Il Cavaliere lo ricompensa nominandolo sottosegretario alle Politiche agricole. Eppure, dice Rosso, «io non sono un berlusconiano. Se c’è un voto sulla sua persona, lo salverò sempre. Ma sul resto vince la mia coscienza: ho votato contro la guerra in Iraq e il Porcellum».
Diversamente berlusconiano. E ora che anche la Seconda Repubblica vede il suo crepuscolo, nuovamente moralizzatore. «Io sono così, parlo sempre come fossi al bar. Questa volta mi è andata di sfiga».