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 2012  settembre 30 Domenica calendario

GEPPI CUCCIARI L’INCONTRO RAGAZZE TERRIBILI

ROMA Ha gli occhi neri e profondi da sarda vera. Comica, conduttrice e attrice dalla battuta veloce e lo sguardo tagliente. Rivelazione della televisione italiana, Geppi Cucciari mette d’accordo intellettuali e telespettatori intorpiditi da anni di telecomando senza emozioni. La nuova più amata dagli italiani arriva all’appuntamento in un albergo romano con abito a fiori e golf leggero sulle spalle. Puntualissima, nonostante i ritmi frenetici del programma
G’ Day
su La7, rete di cui è la star di punta, e femminile come non si direbbe. Riempie lo spazio con un sorriso dolce sotto lo sguardo carbone. E, di fronte a una colazione mattutina, mentre oscilla tra il rigore della dieta e le tentazioni della gola, smentisce un presente, e un passato, da pestifera.
«Sono stata una bambina divertente. Essere divertenti è possedere una sfumatura della simpatia, in modo più o meno conscio. Tendevo a dire quello che pensavo, perché a una bambina era concesso, e tento di farlo ancora oggi. Il mio nome, come si usa in Sardegna, era Maria Giuseppina con la “Madonna” davanti. Mio padre e i miei fratelli, a quattro anni, hanno cominciato a chiamarmi Geppi che non è un nome d’arte come Sting». In famiglia tornava Maria Giuseppina solo quando la rimproveravano: «Era difficile urlare “Geppi”, che sembrava un vezzeggiativo, e non riuscivano a sgridare una bimba con un
nome che faceva tenerezza».
Maria Giuseppina a diciotto anni si diploma a Macomer, Sardegna profonda, con la stessa idea fissa nella testa da quando di anni ne aveva solo sei: studiare teatro. «I miei mi chiesero di laurearmi in giurisprudenza e così mi trasferii a Cagliari. Peccato che, proprio in quell’anno, c’era stato il boom delle matricole iscritte». Era il momento di Mani pulite e, da quattrocento, i sardi che sognavano di diventare Di Pietro, erano diventati tremila.
La vita a Cagliari la travolge: il mare, le amiche, la squadra. «Con il basket ero appagata: giocavo in A2 però continuavo a sognare di far ridere la gente e di diventare attrice. Così, a otto esami dal traguardo, ho chiesto ai miei di mandarmi a Milano, giurando che mi sarei comunque laureata». Per Geppi comincia la vita vera: «Il cabaret, e soprattutto
Zelig,
mi sembravano la scorciatoia per salire sul palco davanti al pubblico ». Dopo la laurea però insiste e prova il tirocinio in uno studio notarile: «Anche in questo caso ho agito più da figlia che da amministratrice di me stessa perché mio padre, il grande pragmatico, ci teneva troppo. Mia madre mi ha trasmesso invece un grande senso del dovere e dell’equilibrio». Cose che l’hanno aiutata quando ha dovuto scegliere. Nel lavoro e non solo. Dello sconosciuto mondo dello spettacolo temeva la sfida continua: «E invece l’ho trovato simile a tanti altri. C’è quella fatica, tutta femminile, di conciliare la vita reale con la carriera».
Il primo palcoscenico è stato quello del laboratorio Scaldasole. Quindi, finalmente,
Zelig.
Ma senza mollare i faldoni del notaio: «Facevo una gran confusione tra la vita diurna meticolosa e quella notturna da comica, così, dopo quasi un anno, mi sono licenziata. A quel punto in famiglia mi hanno appoggiata perché ero una dottoressa di studio troppo triste e imprecisa. Il notaio è diventato un mio ammiratore e io ho cominciato a fare quello che desideravo, senza compromessi».
La prima volta che si è trovata davanti al pubblico le tremavano le gambe. E confessa che le tremano ancora: «Ho una debolezza che esplode e che non riesco a controllare. Mi è successo a Sanremo. Però, persino nei momenti difficili, non ho ripensamenti perché ho la fortuna di fare quello che ho sempre sognato. Quando ho avuto problemi, ho conosciuto il lusso di potermi fermare e stare in casa mia, l’unico posto
dove volevo e dovevo stare». Della pallacanestro le è rimasto lo spirito di gruppo: «Dietro ogni lavoro ci sono io con i miei autori, ho un forte senso corporativo e tendo a lavorare a lungo con le stesse persone anche perché nella vita si trascorre più tempo con chi si lavora che con chi si ama. Voler bene al proprio vicino di scrivania rende tutto più semplice».
Il rigore non le manca: «Pur essendo l’ultima figlia, sono stata educata in una bolla di attenzioni e severità. Non mi è mai stato permesso di studiare un giorno tanto e quello dopo niente, la regola era mai restare indietro. Anche nel basket, quando volevo mollare, me lo hanno impedito. L’allenamento aiuta, la preparazione anche, quando non hai nessun altro talento che non essere te stessa il controllo sulle cose ti dà serenità. E lo eserciti provando, discutendo e cambiando idea sino allo sfinimento ».
La giornata di Geppi Cucciari non è mai oziosa. Anzi. «Vivo correndo, ora
che tutti i giorni sono su La7 con
G’ Day
leggo qualsiasi quotidiano e ho sempre un libro aperto. La diretta mi costringe a tentare di sapere tutto. In principio ero aiutata dall’inconsapevolezza. La televisione s’impara giorno per giorno confrontandosi con i propri limiti e unendo l’esercizio con un folle istinto». In questo il teatro le ha fatto da scuola, ma la televisione è un’altra cosa: «Arriva un momento in cui dimentichi la telecamera e può capitare di essere più irriverente, più cattiva o più disinformata del lecito». Un grande dono è saper ascoltare. «Cosa che aiuta anche nella vita, dove bisogna ascoltare ma anche ricordare».
Geppi vive a Milano. Città che ama e che l’ha accolta con affetto, ma che non le impedisce di tornare nella sua Sardegna. Il sorriso diventa più intenso: «La Sardegna è un’isola e questo non fa che esaltare gli aspetti negativi e positivi del suo popolo. La “sardità” si esprime in un forte senso del territorio, della provenienza, del riconoscimento. La memoria felice si trasforma in riconoscenza profonda, quella infausta tende a sfociare nel rancore». Nei suoi primi trentanove anni, l’indaffarata Geppi, ha trovato anche il tempo per scrivere due libri: «È stato liberatorio. Per me che sono un’istintiva era importante potersi isolare e capire le cose ». La dedica è stata l’unica cosa su cui non ha avuto dubbi: «Ai miei genitori, con i miei genitori, nonostante i miei genitori». Nella vita si definisce «tradizionalista con un filo di progressismo controllato». Quando è arrivata la proposta di Sanremo, ha avuto solo due settimane per prepararsi: «La prima preoccupazione è stata cosa dico, poi con chi ci vado, infine come mi vesto». Alla fine è andata con i suoi autori e si è fatta vestire da Antonio Marras. Sardo anche lui. Al fianco di tante bellissime non si è sentita a disagio ma, del confronto estetico tra le donne, c’è qualcosa che la innervosisce nel profondo: «Soffro quel ragionamento che presume un contrasto tra bellezza e intelligenza. Un tempo c’era un maschilismo che portava a discriminare tra uomini e donne, ora c’è quello più subdolo che divide le donne capaci e le donne di altro tipo. Io non mi ritengo in contrasto con ciò che è diverso da me, casomai in illuminante e lecita disarmonia
».
È stata premiata come miglior personaggio televisivo dell’anno ma non
le basta. C’è ancora un sogno: «Essere attrice. Quest’estate ero sul set di una commedia di Marco Ponti e di un film in bianco e nero di Paolo Zucca. Nel cinema il risultato è dilazionato nel tempo. Non sai quello che hai fatto, finché non vedi il film finito. È come se tv, teatro e cinema appagassero tre parti diverse del condominio che è in me». Su chi, come lei, ha scelto questo mestiere scherza: «È sintomo di squilibrio». Quando non lavora il tempo libero lo passa a modo suo: «Divento metodica, quasi noiosa. La sera mi alleno a basket e, due volte a settimana, ceno con le mie amiche storiche, sarde come me. Ho scelto di ricominciare ad allenarmi perché mi piace e mi addolora che, aver perso qualche chilo, abbia rappresentato per molti una scelta di vita ». Gli amici sono selezionati. «La mia realtà ruota attorno a tre o quattro persone che hanno scelto di frequentarmi, l’uomo che amo, le amiche di sempre, la mia famiglia. Ogni tanto mi unisco ad altri ma non credo nell’alchimia dei gruppi che non si conoscono, messi insieme a tutti i costi».
La tostissima Geppi, a sorpresa, non disdegna il lettino dell’analista. Anche quello a modo suo: «Alcuni vanno in analisi per sfogarsi, io non ne ho bisogno perché ho amiche preziose. Ritengo però che se l’analista in un’ora ti dice anche solo una cosa, con la giusta distanza, ne sia valsa comunque la pena ». Si avvicina un cameriere per portare via il caffè e lei lo sorprende con una battuta. Una risata e subito lui la guarda con adorazione. Ecco il segreto per conquistare gli uomini.