Marco Ansaldo, la Repubblica 30/9/2012, 30 settembre 2012
NELL’AULA DOVE IL VATICANO PROCESSA IL CORVO IL SEGRETARIO DEL PAPA CHIAMATO A TESTIMONIARE
UN TRILLO di campana. «Signori, il Tribunale ». Sono le 9.30 spaccate in Vaticano. Tutti in piedi nella piccola aula della Corte a Piazza Santa Marta, un rettangolo di 10 metri per 15 dalle pareti gialle, con 30 persone dentro.
E LE candele elettriche dei quattro lampadari sul soffitto già accese a quest’ora della mattina a far da contorno ai ritratti degli angeli, agli stucchi dorati e allo stemma di Pio XI, il Pontefice che questa sala ha fatto costruire.
Si apre il processo che ha fatto tremare il Vaticano. L’intrigo sulla fuga di documenti segreti di Benedetto XVI. «52 casse di materiale sequestrate», dirà il pm Nicola Picardi, parlando di tutto il materiale acquisito nel corso delle perquisizioni. «Veramente erano 82», aggiungerà a sorpresa il capo della Gendarmeria vaticana, Domenico Giani.
L’INGRESSO DELL’IMPUTATO
L’uomo chiamato “Il Corvo”, il maggiordomo infedele del Papa, l’imputato Paolo Gabriele, accusato di aver trafugato le carte e di averle diffuse facendo scattare il caso Vatileaks, è entrato da sei minuti. Alla spicciolata, salutando il suo avvocato Cristiana Arru, ma guardato a vista dai gendarmi vaticani che, tra poco, siederanno sul banco dei testi. Sono gli unici oggi a comparire. Solo laici. Non ci sono infatti gli altri testimoni chiamati: né monsignor Georg Gaenswein, il segretario particolare del Papa, né monsignor Carlo Maria Polvani, prelato della Segreteria di Stato, né la signorina Cristina Cernetti, una delle quattro Memores Domini, le donne che fanno vita consacrata sbrigando le faccende domestiche nell’Appartamento papale. Appariranno però in udienza martedì prossimo, quando Joseph Ratzinger avrà fatto ritorno con alcuni di loro dalla residenza estiva di Castel Gandolfo, e l’interrogatorio del maggiordomo avrà inizio.
Paolo Gabriele è bianco in volto, appesantito e con le borse sotto gli occhi. Cerca di mascherare la tensione, mostrandosi disinvolto. Sembra pienamente consapevole del dramma che ha cambiato la sua vita, e quella della sua famiglia. È vestito in maniera impeccabile, con un abito grigio chiaro, cravatta dello stesso colore su camicia bianca, un vistoso orologio al polso con cinturino marrone. Indossa mocassini e scarpe nere. Nell’aula tutto è ordinato e l’atmosfera tranquilla. Il maggiordomo è affiancato da 3 cancellieri, vicino a sé ha il suo legale, che veste la toga, seduta dietro un piccolo tavolo. Dall’altro lato c’è il pubblico ministero Nicola Picardi, con uno scranno proprio sotto la foto di Benedetto XVI. In fondo stanno i banchi dei testimoni, dietro le poltroncine riservate alla stampa, e in ultimo i posti di chi ha chiesto di presenziare come osservatore. Nessun familiare presente. C’è il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, il capo della Comunicazione, Greg Burke, il comandante delle Guardie Svizzere, Daniel Rudolf Anrig. Si può comin-
ciare. «La seduta è aperta», esordisce senza preamboli il presidente della Corte, giudice Giuseppe Dalla Torre, che a lato ha i colleghi Paolo Papanti-Pellettier e Venerando Marano. «Ricordo a tutti i presenti — ammonisce — l’importanza morale e religiosa dell’atto che si va a compiere». Il maggiordomo mette la sua mano sul mento e ascolta.
Manca in aula l’altro imputato, il tecnico informatico della Segreteria di Stato vaticana, Claudio Sciarpelletti. «Ha mandato una giustificazione?», chiede Dalla Torre all’avvocato Gianluca Benedetti. «No, chiedo scusa — è la risposta — c’è stato un fatto imprevisto dovuto a un’agitazione ». Sciarpelletti, accusato di favoreggiamento, e che si dichiara innocente, non è mai stato finora mostrato
in volto.
L’ASSEGNO DI 100 MILA EURO
Il pm Picardi appare agguerrito ed esperto: «Devo apportare soltanto delle precisazioni a proposito della sentenza di rinvio a giudizio sull’assegno di 100 mila euro intestato come regalo a Sua Santità, trovato in casa di Paolo Gabriele, e che risultava essere stato consegnato al Pontefice in Messico. Non è così. Gli venne consegnato durante il viaggio dello scorso marzo a Cuba dal rettore dell’Università di Murcia, in Spagna. Negli atti c’è anche copia dell’assegno, oltre alla foto della pepita che si pre-
sume d’oro anch’essa trafugata, e fotocopia dell’Eneide di Annibal Caro, omaggio a Benedetto XVI». Paolo Gabriele ha lo sguardo rivolto a terra.
La parola passa alla difesa. C’è una sedia di fronte al banco dei giudici, ma rimarrà vuota. L’addetto di camera non sarà convocato per tutta l’udienza. È invece l’avvocato Cristiana Arru, minuta, i capelli con le meches, scarpe comode sotto la veste d’ufficio, a elencare una lista di contestazioni: «La telecamera installata sulla porta dell’abitazione di Gabriele non autorizzata dal tribunale; la perquisizione nella sua stanza a Castel Gandolfo che si trova in territorio italiano e per la quale sarebbe servita un’autorizzazione speciale della Segreteria di Stato; i colloqui avvenuti in carcere fra il capo della Gendarmeria, Domenico Giani, e Paolo Gabriele in quanto non era presente la difesa; il colloquio fra lo stesso Giani e don Georg». La Arru chiede anche di non ammettere fra gli atti un articolo apparso sul quotidiano tedesco
Die Welt
a firma di Paul Badde — poi ripreso e ampliato da
Repubblica
— che indicava il coinvolgimento di altri tre collaboratori di Benedetto XVI. Il legale chiede infine l’acquisizione della planimetria dello studio di don Georg Gaenswein, dove i documenti sarebbero stati trafugati.
LE OBIEZIONI DELL’AVVOCATO
Sono le 10 ed è la volta dell’avvocato di Sciarpelletti,
l’informatico della Segreteria di Stato, Gianluca Benedetti. «Il mio assistito si dichiara innocente — spiega il legale, che si dice affetto da una sinusite e chiede agli astanti una caramella balsamica, prontamente estratta dalla borsetta dalla collega Arru — . Il fatto che lo riguarda verte solo su una manciata di ore e una busta con alcuni documenti che ha ricevuto. Nella prima dichiarazione fatta, ha parlato subito di Paolo Gabriele. In un certo senso, ha puntato un faro sul maggiordomo. E questo è tutt’altro che favoreggiamento. Nella dichiarazione successiva ha poi menzionato un monsignore, il quale gli aveva dato una busta da consegnare al maggiordomo, e lui non lo aveva fatto. Il favoreggiamento sarebbe stato semmai verso il monsignore. Sciarpelletti ha detto: “Tra me e Gabriele c’era amicizia, ma non grande amicizia”». Il maggiordomo annuisce. Il pm obietta sulle eccezioni sollevate, e parla di «52 casse sequestrate in casa dell’imputato ». Interviene, dai banchi, il comandante della Gendarmeria vaticana, Domenico Giani, l’uomo che si occupa direttamente della sicurezza del Papa e uno dei protagonisti dell’investigazione. «Erano 82 casse», precisa, parlando dei contenitori di cartone di diversa grandezza contenenti documenti e materiale di vario tipo. Ancora il pm Picardi: «Volete togliere i verbali sulle investigazioni fatte dal dottor Giani? È stata una sua cura condurle. Se li volete stralciare, togliamoli». La richiesta sul-
le telecamere installate: «Infondata ». Sono le 10,20 e la Corte si ritira in camera di Consiglio. L’atmosfera,
nella pausa di un’ora e venti in cui si discute a porte chiuse, in aula diventa informale. Il maggiordomo è più rilassato, scambia sorridente qualche battuta con gli avvocati. Alle 11,40 il giudice presidente rientra. «Il collegio dispone la divisione dei giudizi». Il processo a Paolo Gabriele continuerà, quello a Claudio Sciarpelletti viene stralciato e rinviato a data da destinarsi. Le contestazioni della difesa vengono accolte solo in parte.
Siamo alle fasi finali. Dalla Torre: «Aggiorniamo la seduta a martedì 2 ottobre». L’avvocato Arru: «È prevista una calendarizzazione?». Risposta: «Avremo a disposizione, immaginiamo, quattro udienze la prossima settimana. E potrebbero bastare». Un processo lampo. Poi, quasi sicuramente, la richiesta di grazia al Papa da parte del suo ex maggiordomo. Paolo Gabriele adesso si alza, lascia l’aula da solo, mentre padre Lombardi gli fa un cenno di saluto con la mano. Su una sedia, nell’ultima fila, qualcuno ha lasciato una copia del libro di Gianluigi Nuzzi “Sua Santità”, voltata sul dorso, marcata da post-it gialli e sottolineata dentro le
pagine con una penna rossa.