Barbara Uglietti, Avvenire 30/9/2012, 30 settembre 2012
I marò: 229 giorni in «ostaggio» di New Delhi - Duecentoventinove giorni. Dal 15 febbraio Salvatore Girone e Massimiliano Latorre sono “ostaggio” della giustizia indiana
I marò: 229 giorni in «ostaggio» di New Delhi - Duecentoventinove giorni. Dal 15 febbraio Salvatore Girone e Massimiliano Latorre sono “ostaggio” della giustizia indiana. I marò italiani, accusati di aver ucciso due pescatori indiani, scambiandoli per pirati, mentre scortavano la petroliera italiana Enrica Lexie al largo dello Stato del Kerala, restano bloccati nella trappola dell’attesa. Due procedimenti, un centinaio di incontri diplomatici a livello internazionale attivati dall’Italia per risolvere la situazione, decine di rinvii. Slittamenti che, a distanza di sette mesi, non possono non dirsi strumentali a logiche di carattere politico tutte interne all’India (a partire dall’arresto avvenuto a pochi giorni dal voto politico in Kerala), e sottese alla volontà delle autorità di New Delhi di mostrare al mondo fermezza su un tema spinoso come quello della pirateria – che non riescono a controllare –, rivendicando il controllo sulle acque dell’Oceano indiano – irrimediabilmente infestate dalla criminalità – sulle quali si misura anche il braccio di ferro con l’altro gigante asiatico: la Cina. Tutto questo, alle spalle dell’Italia e dei due fucilieri, prima attirati «con l’inganno» (come ha detto venerdì il ministro degli Esteri Giulio Terzi a margine dell’Assemblea generale dell’Onu a New York) nel porto di Kochi (Kerala), poi trattenuti in un carcere di Trivandrum (sempre nel Kerala), quindi trasferiti in un ex riformatorio fino alla libertà su cauzione, concessa in giugno con l’obbligo di firma tutte le mattine, il ritiro dei passaporti e il divieto di allontanarsi dal commissariato locale. Da allora, Girone e Latorre, alloggiati in un hotel di Kochi, aspettano che venga chiarita la loro posizione giuridica. Il primo provvedimento a loro carico è stato aperto dallo Stato del Kerala, per l’«omicidio » dei due pescatori. Il processo è stato viziato da continui slittamenti: l’ultima seduta, attesa per mercoledì scorso, è stata rinviata al 10 ottobre perché il giudice del tribunale di Kollam, P.D. Rajan, intende aspettare il pronunciamento della Corte suprema indiana che – e qui veniamo al secondo dibattimento – deve decidere sulla questione della giurisdizione da applicare al caso: indiana secondo le autorità di Delhi, perché il fatto sarebbe accaduto nelle acque territoriali nazionali; italiana, secondo Roma, perché l’episodio sarebbe avvenuto in acque internazionali. La sentenza della Corte suprema era attesa per ieri, ma è slittata perché, proprio ieri, il giudice indiano Altamas Kabir, a capo della sezione che si occupa del ricorso sui marò, ha assunto la carica di presidente del massimo organo giudiziario. Secondo fonti legali, il verdetto potrebbe arrivare tra una decina di giorni, forse di più. Uno “spazio temporale” che le autorità indiane devono sfruttare al meglio per uscire da un impasse sempre più imbarazzante. Dopo aver fatto la voce grossa sulla scorta delle proteste del governo (e della gente) del Kerala, immediatamente seguite alla morte dei due pescatori, l’amministrazione federale si è infatti trovata invischiata in una vicenda molto scivolosa. Il governo italiano, che da sempre esercita forti pressioni per la liberazione dei due marò, sembra infatti aver scelto una strategia diversa, seppur ferma, “consegnando” alle autorità indiane la responsabilità di risolvere un groviglio giudiziario che palesemente contraddice le norme internazionali sulla giurisdizione delle acque. Non è un caso che questa settimana, durante gli incontri alle Nazioni Unite per l’Assemblea generale, sia Terzi che il presidente Mario Monti abbiano fatto chiaro riferimento a una «carta Onu» che potrebbe essere giocata dall’Italia. L’India insomma rischia di essere sbugiardata di fronte alla Comunità mondiale. E potrebbe, a questo punto, scegliere di arretrare dalle sue posizioni, mostrando «maturità» agli occhi della comunità internazionale. Rilasciando i due marò.