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 2012  settembre 30 Domenica calendario

IL FALSO MADE IN ITALY AVVELENA ARIA E ACQUA

Avete appena acquistato da un vu cumprà una falsa borsa Gucci. Tralasciando, per una volta, la predica sui danni al Made in Italy , l’eva­sione fiscale e lo sfruttamento del lavoro nero, vi hanno mai detto che avete seria­mente contribuito ad avvelenare l’acqua che berranno e l’aria che respireranno gli ignari destinatari delle scorie tossiche?
Per ogni metro quadro di pelle da con­ceria, vengono convogliati in appositi de­puratori 136 litri di acqua inquinata da sostanze chimiche. Ma le concerie clan­destine, quelle nelle quali vengono pro­dotti gli accessori ’tarocchi’, non di­spongono di sistemi di smaltimento e fil­traggio dei fanghi, che alle aziende in re­gola costano circa 5 euro per metro cubo di acqua inquinata. I laboratori fantasma non possono certo liberarsi legalmente degli scarti della lavorazione conciaria. È a questo punto che entrano in gioco i pro­fessionisti del ciclo illegale.
Merito anche di norme farraginose e am­bigue. «Se non rende di più trasportare droga, armi o merce rubata, chi traspor­ta rifiuti pericolosi nascosti dietro i ban­cali di alimentari continuerà a farlo – de­nuncia Armando Zingales, presidente del Consiglio nazionale dei chimici com­mentando l’inchiesta di ’Avvenire’ –. Chi buttava i rifiuti nei fossi continuerà (for­se indisturbato) a farlo, e naturalmente sarà ancora più competitivo rispetto a chi svolge la gestione dei rifiuti correttamente ed è obbligato a moltiplicare gli adempi­menti burocratici».
La lavorazione delle pelli dà luogo a una produzione di ’pattume speciale’ pari, in grammi, a oltre il 50% del peso della materia prima lavorata. Come dire che per una borsetta in vero cuoio ma col marchio fasullo, il cui peso medio è generalmente vi­cino al chilo, circa 500 grammi di scarti vengono smaltiti illegalmente. Dal­l’inizio dell’anno sono già stati sequestrati oltre 50 milioni di pezzi contraffat­ti. In quale pattumiera sia finita la montagna di schi­fezze prodotte, nessuno può dirlo con precisione.
«I principali prodotti chi­mici inorganici utilizzati nel processo di concia sono costituiti da sali di cromo (solfati basici di cromo), cal­ce idrata, solfuro di sodio, cloruro di so­dio denaturato, nonché, in quantità mi­nore – spiega l’Agenzia per l’ambiente del Veneto –, pigmenti, sali di alluminio e zir­conio, solfidrato di sodio, solfato e cloru­ro di ammonio, acidi cloridrico e solfori­co, carbonato e bicarbonato di sodio, sol­fato di magnesio, solfito, bisolfito, caoli­no, eccetera». Niente di salutare.

In Italia esistono 1.330 concerie, molte concentrate in proprio in Veneto. Oc­cupano 18 mila addetti che realizzano un fatturato annuo di oltre 4,5 miliardi di euro.

Il giro clandestino non è da meno. Anche a volerci provare è quasi impossibile fa­re una stima su quanto materiale tossico finisca sepolto in chissà quale cava o e­vaporato dentro a pile di pneumatici. Il volume d’affari dei prodotti contraffatti, nel nostro Paese è compreso tra i tre e i cinque miliardi di euro, «un dato che in termini di posti di lavoro vale negli ulti­mi dieci anni una perdita di circa 40 mi­la unità e un mancato introito fiscale pa­ri all’8,2% del gettito Irpef e del 21,3% del gettito Iva», ha sostenuto nelle settima­ne scorse il vicepresidente della Com­missione parlamentare d’inchiesta sulla pirateria commerciale, Ludovico Vico.

L’ultimo blitz è di una set­timana fa. La Guardia di fi­nanza di Caserta ha sco­perto a Villa Literno un cal­zaturificio sconosciuto al fisco. Si producevano ille­galmente scarpe con il marchio ’Hogan’. Nei ma­gazzini i baschi verdi han­no trovato 76mila pezzi tra prodotti finiti, semilavora­ti e accessori. Delle sostan­ze tossiche da smaltire, nessuna traccia. «Non mi sorprenderei affatto – spiega un investigatore – di sco­prire che tutto il materiale inquinante sia stato incenerito nella ’terra dei fuochi’, poco lontano da qui».

Solo nei primi sette mesi di quest’anno la Guardia di Finanza ha sequestrato 53 mi­lioni di prodotti contraffatti, denunciato 6mila persone, arrestato 94 esponenti so­spettati di appartenere a organizzazioni criminali, il 41% dei quali italiani re­sponsabili anche di reati ambientali. Mes­sa sul mercato la merce confiscata a­vrebbe fruttato due milioni di euro al gior­no, completamente esentasse: evasione fiscale e contributiva, riciclaggio, sfrutta­mento dell’immigrazione clandestina e del ’lavoro nero’, riduzione in schiavitù degli operai.

Contro questo giro d’affari le norme sul­la tracciabilità delle scorie possono dav­vero poco. E il Sistri, il sistema che a­vrebbe dovuto monitorare il ciclo dello smaltimento, peraltro «non risolve – se­gnala il presidente dei chimici Zingales – uno dei problemi principali: non esiste una banca dati unica e strutturata delle autorizzazioni degli impianti di gestione rifiuti. Pertanto nel rilascio e nella verifi­ca di queste non esiste né totale traspa­renza, né omogeneità di giudizio».