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 2012  settembre 30 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA VIA PER IL MONTI BIS


ROMA - È il dibattito sul Monti-bis a infiammare la domenica della politica. Ad aprire le danze è stato il leader di Fli Gianfranco Fini che, dalla convention ’Mille per l’Italia’, ha proposto la nascita di una grande lista civica nazionale che raccolga "le energie sane" dell’Italia. In questo caso candidato naturale alla guida del Governo, sostenuto da questa lista, sarebbe appunto il senatore Mario Monti. Un’opinione quella di Fini di fatto condivisa e sostenuta da Pierferdinando Casini. Anche il leader dell’Udc, infatti, si è detto entusiasta di un Monti-bis e pronto ad aderire al progetto di costruzione di un "contenitore che sta tra Pdl e Pd ed è alternativo al grillismo".
Contrario, invece, Pier Luigi Bersani che durante la Conferenza del Mezzogiorno, pur riconoscendo l’operato del premier e del suo Governo, ha di fatto bocciato l’ipotesi di un Monti dopo Monti, parlando di "ricette italiche", "scorciatoie" a cui è ora di dire "basta". Il segretario del Pd ha chiesto alla politica di "riprendersi il suo ruolo" e di "tornare ad essere credibile". Frenata anche da parte del segretario del Pdl Angelino Alfano che, ai microfoni di Maria Latella su SkyTg24, ha detto "no a un candidato virtuale", intendendo dire che se un Monti-bis deve essere, il professore deve decidersi a candidarsi, altrimenti sarebbe "tecnicamente inspiegabile".
Fini: "Lista civica nazionale a sostegno di Monti".
"Serve una grande lista civica nazionale, una lista per l’Italia che chiami a raccolta le energie sane del paese senza personalismi". Lo ha detto il presidente della leader di Fli Gianfranco Fini alla convention ’Mille per l’Italia’. "Se, come è mio auspicio, si forma una lista civica nazionale chiaramente è candidato alla guida del governo il senatore Monti; se questa lista vince poi le elezioni, il presidente Monti a Palazzo Chigi ci rimane", ha detto ancora Fini. "Credo che Angelino Alfano - ha aggiunto - questo aspetto l’abbia chiaro ma è evidente l’imbarazzo e la difficoltà del Pdl ad ammetterlo. Tocca a voi fare sentire la vostra voce ed evitare così che il governo Monti sia una parentesi. Dovete continuare con impegno e rinnovato vigore nel vostro quotidiano lavoro, per rendere possibile alle urne la nascita dell’unica vera autentica novità politica in questo scenario: non nuovismo o rottamazione dell’esistente o facile demogagia, ma un incontro alla luce del sole e virtuoso tra una buona politica, che c’è anche all’interno dei partiti, e settori della società organizzata che la politica la fanno nel quotidiano". Fini ha anche sottolineato che questo auspicio è anche quello del leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, e potrebbe "essere quello di Montezemolo" oltre che di "milioni di connazionali che fanno politica tutti i giorni nella loro professione. Parole che arrivano a poche ore dalle parole di Luca Montezemolo 1, che esclude una sua candidatura in prima persona ma annuncia la mobilitazione di Italia Futura a sostegno dell’attuale premier.
Casini: "Monti non è un incidente". Il principale sostenitore dell’ipotesi di un Monti bis è sempre stato Pier Ferdinando Casini che conferma: "Se c’è qualcuno che pensa che Monti sia un incidente di cui liberarsi al più presto è fuori di senno, è fuori dal sentire di tutto l’universo. Monti è interlocutore, in tutto il mondo e in Europa, in questo momento di crisi. Ed è un prezioso punto riferimento per oggi e per domani" ha detto. "Dicono che sono entusiasta di Monti? Io sono entusiasta dei miei figli, ma amo l’Italia e vedo come era stato ridotto il Paese e come Monti ha ridato credibilità alla politica e all’Italia. Invece ho l’impressione di essere in compagnia di qualcuno che pensa sia stato sbagliato appoggiare Monti, si dissocia dai destini del governo e mira a superare al più presto questa emergenza" ha aggiunto il leader dell’Udc parlando all’assemblea dei Mille per l’Italia in corso ad Arezzo. E ancora: "Se si creerà un contenitore che sta tra Pdl e Pd" ed è "alternativo al grillismo, aderirò a questa lista, ma non sia una plastica facciale di Udc e Fli. Se pensiamo di fare un’operazione furberia per cui cambiamo le insegne dei partiti e le cose non cambiano, perdiamo l’occasione di voltare pagina".
Alfano: "Senza candidatura, difficile un Monti-bis". A frenare è il segretario del Pdl, Angelino Alfano: "Se si vota la prossima primavera e se Monti non è candidato, è difficile", ha spiegato in un’intervista di Maria Latella su SkyTg24. "Ho grande stima di Monti e ritengo potrebbe essere candidato a tutto, ma ho difficoltà a immaginare una campagna elettorale in una democrazia occidentale con un candidato virtuale, perché non scende in campo. Sarebbe tecnicamente inspiegabile".
Bersani: "La politica torni ad essere credibile". Pierluigi Bersani, dalla Conferenza nazionale per il Mezzogiorno si è detto contrario a un Monti-bis: "Basta scorciatoie e ricette italiche. La politica deve tornare ad essere credibile, rimettersi in gioco, affermare il suo ruolo e riconoscere il suo limite. Questo vale anche per l’Italia del dopo-Monti". Poi il segretario del Pd ha invitato a una riflessione: "Monti - ha detto - l’abbiamo voluto noi, volete venirmi a spiegare come è bravo?". "Non mi auguro che vada in pensione o torni alla Bocconi", ha spiegato ancora Bersan, "ma attenzione al punto principale: rivendicare il ruolo della politica non può essere intesa come una predicazione. Per riprendere la propria credibilità, la politica deve riprendersi qualcosa. Se si chiude nel fortino non ci siamo". E sulla discesa in campo di Montezemolo a sostegno dell’attuale premier, il segretario Pd ha commentato: "A Luca dico: non vorrai mica guidar la macchina stando ai box? O salti in macchina o riposi. Mah, si vedono tante cose molte strane". Duro Vendola che, in un’intervista sul suo blog, ha commentato: "Io sono contro il Monti bis perché sono contro il Monti attuale e penso che sia fallito il generoso tentativo di Bersani di provare a condizionare da sinistra l’agenda dei professori. Anzi, c’è stato un sostegno acritico a provvedimenti socialmente iniqui come le due controriforme Fornero".
Caso-Fiorito e defezioni Pdl. Per quanto riguarda il caso Fiorito, Alfano ha ripetuto che "il Pdl è parte lesa". "Ci costituiremo parte civile se ci sarà un processo, cacceremo tutti coloro che tradiscono il voto dei cittadini". "Abbiamo chiesto a tutti i nostri capigruppo la certificazione esterna dei bilanci", ha aggiunto, "e faremo una grande assemblea di rinascimento azzurro per premere il tasto reset all’interno del Pdl e ripartire da candidature nuove e pulite. Dopo 20 anni di Berlusconi, serve aria fresca" ha spiegato.
Un cenno anche ai malcontenti che serpeggiano all’interno del Pdl. Sulla possibile defezione di Stefania Prestigiacomo 2 che proprio ieri si è detta pronta ad abbandonare il gruppo Azzurro perché "disgustata" da uno scenario di partito che vede solo "gruppi di potere in lotta fra loro", il segretario ha commentato: "Non ho ancora approfondito con lei, esprimo il più sincero auspicio che non se ne vada. Non è ancora sicuro". Parlando poi di Mara Carfagna, che a sua volta nei giorni scorsi ha espresso disagio, Alfano ha aggiunto: "L’ho sentita. Mara è ancora con noi".
(30 settembre 2012)

L’EDITORIALE DI SCALFARI
La dichiarazione di Monti sul dopo-Monti, fatta a New York e riconfermata a Roma dopo il suo rientro dall’assemblea dell’Onu, è esattamente quanto si aspettavano le Cancellerie dei paesi alleati, i mercati e soprattutto i cittadini responsabili del nostro paese. Monti non parteciperà alla campagna elettorale e non ha posto una sua candidatura ad alcuna specifica carica elettiva. Ha semplicemente detto che qualora dopo le elezioni che si svolgeranno nel prossimo aprile il Parlamento e le forze politiche che usciranno vittoriose da quella consultazione avranno bisogno dell’opera sua, lui sarà disponibile.
Qual è la vera novità di questa dichiarazione, fatta ora per allora? La novità sta tutta nel linguaggio che in casi come questo è al tempo stesso forma e sostanza: un linguaggio non politico ma istituzionale, così come è istituzionale la sede dalla quale Monti ha parlato. È da undici mesi il capo dell’Esecutivo e si è rivolto al futuro Parlamento e al futuro presidente della Repubblica. Saranno nel prossimo aprile queste istituzioni a valutare se ci sarà bisogno di lui.
Il prossimo governo sarà certamente politico, ma anche questo lo è perché anche questo vive sulla fiducia che il Parlamento gli esprime. È composto da tecnici, ma lo stesso Monti offrì ai politici di parteciparvi. La partecipazione non vi fu perché il Pd la rifiutò e bene fece mettendo in tal modo la "strana maggioranza" nella giusta dimensione richiesta dall’emergenza. L’emergenza purtroppo continuerà anche nella prossima legislatura ma la maggioranza sarà quella che gli elettori avranno scelto. In questo senso il nuovo Parlamento potrà esprimere una maggioranza non più "strana" ma portatrice d’una visione coesa del bene comune.
È implicito che l’elemento di fondo di quel bene comune è costituito dagli impegni che lo Stato italiano - attenzione, lo Stato non solo il governo - ha preso nei confronti dell’Unione europea. Quegli impegni consentono una limitata ma importante discrezionalità; possono accentuare il tema dell’equità e dell’eguaglianza einaudiana delle condizioni di partenza tra i cittadini oppure affidarsi alla diseguaglianza come stimolo dell’efficienza. Spetta al popolo sovrano scegliere tra queste due diverse opzioni nei limiti, come già detto, della loro compatibilità con gli impegni verso l’Europa.
Monti sa bene che la nuova maggioranza non sarà più "strana" ma effettiva e coesa. Questo non significa che Monti sia disponibile per qualsiasi maggioranza, ma a quella sin d’ora schierata per un futuro Stato federale europeo con la sua moneta comune e con una Banca centrale che abbia i poteri di tutte le Banche centrali di uno Stato. Questa è la maggioranza alla quale il nostro premier ha offerto la sua disponibilità e la sua credibilità internazionale, che di quella disponibilità rappresenta il tassello più importante e difficilmente sostituibile.
* * *
Restano comunque cinque mesi di lavoro al governo attuale e alla maggioranza che lo sostiene. I problemi che attendono soluzione sono i seguenti:
1 - Una nuova legge elettorale.
2 - La legge contro la corruzione.
3 - Una legge costituzionale che riesamini il titolo V della Costituzione per quanto riguarda le competenze tra Stato e Regioni.
4 - Il taglio della spesa corrente e la riduzione delle accise e delle imposte sui lavoratori e sulle imprese, cioè una riqualificazione fiscale nell’ambito del poco tempo disponibile.
5 - Ammortizzatori sociali capaci di attenuare le rabbie accese dalle crisi aziendali.
Sono cinque tematiche da far tremare le vene e i polsi, ma non possono essere eluse perché costituiscono il nucleo centrale dell’emergenza. Accoppiano rigore e crescita. Puntano su un accordo con le parti sociali per l’aumento della produttività.
Il contratto dei chimici ha rappresentato una buona partenza ed è molto deludente che la Cgil, dopo essere stato firmato dal segretario della categoria, l’abbia disconosciuto come Confederazione. La Camusso conosce bene le condizioni in cui si trovano l’Italia, l’Europa, l’Occidente. Un contratto che aumenta le ore di lavoro e quindi il salario per i giovani e le diminuisce per gli anziani rappresenta un patto generazionale che non accresce il rigore ma l’equità. Questa è la strada alla quale non ci sono alternative e va seguita per i molti altri contratti in scadenza se non si vuole che non siano rinnovati, con quanto ne seguirebbe sul potere d’acquisto dei lavoratori.
Il governo può e deve arbitrare questi conflitti se le parti sono disponibili al negoziato. La logica può cambiare quando cambiano le condizioni; pretendere che il cambiamento avvenga prima significa abbaiare alla luna.
* * *
Nel nucleo dell’emergenza c’è anche un altro tema e questo è eminentemente tecnico: il governo dello "spread". La contraddizione, apparente, riguarda il diverso andamento delle aste e del mercato secondario. Le aste vanno bene anche quella dei Bpt a 5 e a 10 anni, il secondario invece va male e influisce negativamente sul tasso di interesse praticato dalle banche con la clientela. Dipende dal contagio che proviene dalla Grecia e soprattutto dalla Spagna la quale, nei prossimi giorni, dovrà decidere se ricorrere all’aiuto del fondo salva-Stati e all’intervento della Bce.
Questa decisione probabilmente verrà presa nella prossima settimana.
Che cosa faranno Monti e Grilli a quel punto? Due scuole di pensiero si confrontano in proposito: c’è chi pensa che l’intervento della Bce in Spagna scoraggi la speculazione e si ripercuota favorevolmente anche sul mercato italiano; ma c’è invece chi sostiene esattamente il contrario. Personalmente credo che questa seconda tesi sia la più probabile; la speculazione abbandonerà la Spagna e si riverserà sull’Italia. La logica porta a questo, la speculazione, cioè le grandi banche d’affari e i fondi che puntano sul rischio realizzano i loro profitti giorno per giorno. Se abbandonano la Spagna sotto il randello di Draghi, si riverseranno probabilmente sul mercato italiano fino a quando anche noi chiederemo l’intervento dell’Esm e della Bce. Ma in quell’intervallo di tempo balleremo la rumba e non sarà un bello spettacolo. Sicché, se s’ha da fare è meglio farlo il giorno dopo la Spagna. La questione è certamente opinabile, la logica no.
* * *
Restano alcuni problemi che si riassumono in tre nomi: Polverini, Formigoni, Renzi.
Polverini si è dimessa. Era ora. Adesso deve indicare la data delle elezioni che debbono avvenire entro tre mesi. Così recita la legge. L’interpretazione estensiva secondo la quale entro tre mesi deve essere indicata la data delle elezioni che non avrebbe alcun limite di tempo, è del tutto insostenibile anche se così fece Montino che subentrò a Marrazzo e fissò la data a parecchi mesi di distanza dalle dimissioni del governatore. Allora nessuno fiatò, ma è un caso che non può fare precedente. Se lo facesse potrebbe avvenire che il presidente dimissionario alla fine del terzo mese indica una data elettorale a un anno di distanza e governa da solo senza Consiglio regionale. È sostenibile un’ipotesi di questo genere? Evidentemente no. Le elezioni debbono essere fatte entro tre mesi dalle dimissioni del Consiglio e del presidente della giunta. Se la Polverini si rifiutasse di seguire questa procedura il governo può nominare un commissario che stabilisca la data elettorale nei tre mesi previsti dalla legge.
Il caso Formigoni è altrettanto chiaro: un governatore già indagato di gravi reati non può guidare una Regione come la Lombardia. I consiglieri d’opposizione dovrebbero dimettersi subito e creare i presupposti di una crisi e di nuove elezioni. Non si capisce che cosa aspettino. Il precedente del Lazio è un pessimo precedente e c’è da augurarsi che i partiti della sinistra a cominciare dal Pd non ripresentino alle prossime elezioni nessuno dei consiglieri uscenti.
Renzi. Per quanto riguarda il suo programma politico, per il poco che risulta dalle sue carte e dalle sue prolusioni, si tratta di un’agenda generica che enuncia temi senza svolgerli. I temi sono quelli che campeggiano da mesi sui giornali, le soluzioni però Renzi non le indica. Quindi il suo programma è carta straccia.
Una sola cosa è chiara: Renzi sa parlare e richiama molto abilmente l’attenzione sotto l’oculata gestione di Gori, ex dirigente di Fininvest. Renzi piace perché è giovane. È un requisito sufficiente? Politicamente è molto più di centrodestra che di centrosinistra. Se vincerà le primarie il Pd si sfascerà ma non perché se ne andrà D’Alema o Veltroni o Franceschini, ma perché se ne andranno tutti quelli che fin qui hanno votato Pd come partito riformista di centrosinistra.
Non a caso Berlusconi loda Renzi pubblicamente; non a caso i suoi sponsor sono orientati più a destra che a sinistra e non a caso lo stesso Renzi dice che queste due parole non hanno più senso. Hanno un senso, eccome. Nell’equilibrio tra i due fondamentali principi di libertà e di eguaglianza la sinistra sceglie l’eguaglianza nella libertà e la destra sceglie la libertà senza l’eguaglianza. Questa è la differenza e non è cosa da poco.
Io sono liberale di sinistra per mia formazione culturale. Ho votato per molti anni per il partito di Ugo La Malfa. Poi ho votato il Pci di Berlinguer, il Pds, i Ds e il Pd. Se i democratici andranno alle elezioni con Renzi candidato, io non voterò perché ci sarà stata una trasformazione antropologica nel Pd, analoga a quella che avvenne nel Partito socialista quando Craxi ne assunse la leadership, senza dire che Craxi aveva una visione politica mentre Renzi non pare che ne abbia alcuna salvo la rottamazione. Francamente è meno di niente.
(30 settembre 2012)

MONTEZEMOLO E GLI ALTRI


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Il caso
Il passo indietro di Montezemolo
"Non mi candido, staremo con Monti"
Il capo di "Italia Futura" ha deciso di non candidarsi. "Non chiedo posti o leadership, ma staremo al fianco dell’attuale premier. Il Paese prenda atto della disponibilità del Professore a continuare il lavoro Per quanto mi riguarda, il problema italiano è cambiare, non comandare. Cambiare un sistema, non qualcuno. Oltre a Monti occorre mettere in campo una politica diversa da quelle del passato che ci hanno portato dove l’Italia non merita"

di GOFFREDO DE MARCHIS
ROMA - Finisce qui il tormentone sull’impegno di Luca di Montezemolo in politica. Anzi, è finito giovedì quando Mario Monti, da New York, ha offerto se stesso per la guida del governo anche dopo il 2013. "Io non chiedo né ruoli né incarichi - dice adesso il presidente di Italia Futura -. Tantomeno chiedo posti o leadership". Il leader c’è già e non sarà lui, dunque. "Bisogna che il Paese prenda atto della disponibilità del premier a continuare il suo lavoro". Montezemolo esce così da un limbo durato cinque anni imboccando la porta di una discesa in campo non diretta, non personalistica. Una "ritirata strategica" che non significa improvviso disimpegno. L’imprenditore si candida a reclutare associazioni, sigle, cittadini e società civile per aggregarli nel nucleo fondativo di una lista Monti. E presentarsi in questo modo alle prossime elezioni.
Montezemolo prepara già oggi una "comunicazione importante", dicono dal suo staff, sui prossimi passi di Italia Futura, la fondazione che conta sedi territoriali e 60165 iscritti (dato aggiornato alle 20,13 di ieri). È confermata la convention di metà novembre con altre associazioni, con Fermare il declino, il gruppo liberale di Oscar Giannino con cui i montezemoliani si muovono in totale simbiosi. "Oltre a Monti - spiega Montezemolo - occorre mettere in campo una politica diversa da quella del passato che ci hanno portato sin qui, in una posizione desolante che l’Italia non merita".
Come si muoverà nell’affollato campo moderato e del Monti-bis, il capo della Ferrari è un dettaglio non trascurabile. Ma ora secondario rispetto alla scelta a favore del Professore. Sul terreno presidiato dall’Udc di Pier Ferdinando Casini, Montezemolo sembra presentarsi come un concorrente. Le polemiche a distanza, anche pesanti, non sono mancate. Ma se l’obiettivo è lo stesso sarà difficile non ritrovarsi. Emma Marcegaglia e Corrado Passera, che hanno espresso la loro preferenza per l’Udc, non sono affatto considerati avversari dal presidente Ferrari, ma compagni di strada. I cattolici di Todi, che a ottobre torneranno a farsi sentire con un nuovo seminario, sono un altro pezzo del puzzle. Situazione fluida, ma su dove condurre Italia Futura Montezemolo ha le idee chiare. "Spingerò l’associazione - dice - a dare una mano alla prospettiva di un Monti bis con uomini e donne nuovi. Con idee nuove. Per far nascere una nuova politica, con quelli che ci vogliono stare e cambiare".
Il presidente della Ferrari immagina di contribuire al "secondo tempo" di Monti, ossia alla crescita, allo sviluppo, con il programma di "If" elaborato da Nicola Rossi, Andrea Romano, Carlo Calenda con il contributo delle idee giunte via Internet. Il bacino di riferimento è quello dell’imprenditoria. Piccola e grande. Montezemolo torna a difendere Sergio Marchionne in maniera netta e non ambigua "perché in Italia è difficile fare impresa, qui sta il punto. Me ne sono accorto in prima persona con l’avventura dei treni Ntv. Abbiamo avuto un sacco di problemi a liberare veramente il mercato". Tra gli sfidanti Marchionne e Della Valle, Montezemolo sceglie quindi il primo. E proprio all’amministratore delegato della Fiat ha confidato, tra i primi, la sua scelta di rinunciare a una corsa personale in politica. Lo scambio di battute avvenuto qualche giorno fa al salone dell’Auto di Parigi assume i contorni di una rivelazione più che di affettuosità tra amici. Marchionne spiegò di aver consigliato a "Luca" di stare lontano dalla mischia. Lui rispose: "Di solito tengo conto dei consigli degli amici". Adesso la scelta è definitiva. Le parole scelte da Montezemolo per ufficializzarla sembrano studiate a lungo e scolpite come una sentenza: "Per quanto mi riguarda alla politica non chiedo né ruoli né incarichi, tantomeno posti o leadership. Il problema italiano è cambiare, non comandare. Cambiare un sistema, non qualcuno".
La sorte di Italia Futura si lega ora alla capacità di aggregare forze fresche, società civile e agli accordi che saprà realizzare con altre componenti dello schieramento moderato. Il tempo degli scontri, delle gelosie, dei protagonismi deve finire. Si attende la riforma della legge elettorale, ma i sondaggi non sono positivi: Italia futura da sola prende ben poco. Da parecchie settimane il gruppo di lavoro dell’associazione cerca di allargare il suo orizzonte: da Oscar Giannino ai montiani del Pd, dalle imprese ai transfughi di un Pdl travolto dagli scandali e dagli sbandamenti del dopo-Berlusconi. Ma adesso Montezemolo ha trovato un leader. E non è lui, che fa un passo indietro.
(30 settembre 2012)

CONCITA DE GREGORIO SUL PD
ROMA - Nella partita delle primarie per il Monti bis gioca una squadra senza maglia. Mimetica, trasversale, invisibile agli occhi di chi del cielo politico non conosca anche il pulviscolo: renziani doc, ex veltroniani ora con Renzi, bersaniani antifassiniani nel senso di Fassina, rutelliani del Misto, ex dalemiani ora con Montezemolo, riformisti puri, antivendoliani sostenitori della riforma Fornero, ex radicali oggi centristi. E poi Tabacci, naturalmente, fuori dal Pd. E ancora più al centro i terzopolisti, ancora più a destra un pezzo di finiani ma qui siamo già fuori dalle primarie del centrosinistra, evidentemente: siamo in un terreno che passa dalle gerarchie ecclesiastiche e dagli ambasciatori delle grandi potenze d’Occidente e arriva, come sempre, a Gianni Letta.
Il gruppo in abiti borghesi e senza insegne che dentro il centrosinistra anima in queste ore il movimento sotterraneo al campo di gioco ha, sugli spalti, una tifoseria da far spavento. Tifano per Monti dopo Monti la Chiesa, se con Chiesa si intende la Cei, l’America di Obama, la Germania di Merkel, la grande industria di Marchionne e Squinzi. Ora che Monti stesso ha dato la sua disponibità a "restare, se serve", il lavorìo perché resti e perché serva si fa visibile anche in quel congresso del Pd a cielo aperto in cui le primarie si sono provvisoriamente trasformate in attesa di conoscerne le regole e il senso. Senso che dipende, tutti ne convengono, da quale sarà la nuova legge elettorale, se ci sarà.
Riuniti al Tempio di Adriano, ieri, i quindici parlamentari Pd firmatari dell’appello pro-Monti hanno invitato amici di varia provenienza tutti curiosi di sapere se ci sarà un candidato di area, che fosse Enrico Morando o Pietro Ichino o altro ancora, ed hanno chiarito intanto che no, per il momento di un candidato dell’agenda-Monti "non si avverte il bisogno", ha detto lo stesso Morando. Piuttosto quel che c’è da fare è lavorare, trova Marco Follini, a "disincagliare l’area Bersani dalle secche dove lo portano Fassina, l’alleanza con Vendola e con la Fiom". È chiaro che nessuna agenda Monti si farà con chi vuole il referendum sull’articolo 18 e la riforma della legge Fornero. E vuole anche, Follini, "evitare lo tsunami Renzi che azzererebbe storie tradizioni e carriere di questo partito". I bersaniani sono tuttavia qui in minoranza: solo Follini e Cabras, tra i promotori. Nutrito il gruppo dei veltroniani o ex (Tonini, Peluffo, Maran, Gentiloni, Morando, Vassallo, Ceccanti) alcuni dei quali hanno lavorato al programma di Renzi. Tra gli "amici ospiti" Andrea Romano di Italia Futura, Linda Lanzillotta di Api, Benedetto della Vedova di Futuro e Libertà, Giulio Zanella di "Fermare il declino", movimento di Oscar Giannino. Il tema è: giocare le primarie per far vincere chi sia più adatto, nel Pd, a sostenere un governo Monti. Ceccanti: "Le primarie sono il dito che indica la luna. Monti è la luna. Scegliamo il dito che la indica".
Ecco, questo. Tonini usa la metafora della tossicodipendenza: la politica è ammalata, Monti può guarirla sebbene con metodi non amabili, un po’ come Muccioli. "Se non si cura il male attraverso la politica succederà contro la politica". Andrea Romano interviene per dire ai riformisti di smetterla di "contarsi anziché contare", li invita a giocare nel "mare aperto della contendibilità del partito".
Suona come un invito a sostenere Renzi, sottolinea Ivan Scalfarotto. Claudio Petruccioli, veemente, dice che "l’agenda Monti è un modo per non raccontarsi balle", teme che se la politica non sarà in grado di governare questo passaggio "non ci sarà più bisogno di noi". Chiarisce Gentiloni: "Un governo Monti sostenuto da Alfano Bersani e Casini non sarebbe una buona notizia per gli elettori. Il Pd deve vincere e governare in continuità con l’azione di Monti". Ichino difende la riforma Fornero, Morando paventa la disgregazione del sistema: "La crisi di rappresentanza può diventare crisi della democrazia. Un modello Grecia, dove si vota ogni 15 giorni".
Fuori fuma il sigaro Roberto Giachetti, segretario d’aula del gruppo Pd esperto di regolamenti, smagrito dallo sciopero della fame che conduce contro il Porcellum. "La legge elettorale non cambierà - profetizza - i capigruppo il 9 ottobre la metteranno in calendario per fine mese. Arriverà alla Camera un testo di compromesso e alla Camera sulle preferenze si vota a scrutinio segreto: quanti sono i parlamentari di quest’aula che con le preferenze non sarebbero rieletti? Voteranno contro, dovrà tornare al Senato, si arriverà alla soglia dello scioglimento delle Camere e sarà tardi. Anche col Porcellum d’altronde rischia di non esserci una maggioranza al Senato. Vedo una strada difficilissima, le riforme si dovevano fare prima. E quel che trovo intollerabile è che chi ha fallito non riconosca le sue responsabilità. Che non dica: non siamo stati capaci, la finiamo qui".
(30 settembre 2012)

INTERVISTA A MONTEZEMOLO DI CAZZULLO
Presidente Montezemolo, il premier Monti ha dato la sua disponibilità a restare a Palazzo Chigi anche dopo le elezioni. È una buona notizia per il Paese? E per lei cosa cambia?
«È un’ottima notizia. La stagione delle riforme è appena iniziata. Mario Monti è riuscito a dare agli italiani l’idea che si possa voltare pagina, affrontando un momento drammatico della nostra storia. Adesso è necessario un passaggio elettorale per consolidare il lavoro svolto e andare oltre. Dobbiamo legittimare con il voto di milioni di italiani l’apertura di una stagione di ricostruzione nazionale, che sarà lunga e difficile».
Non crede sia arrivato per lei il tempo di dire una parola definitiva su quel che intende fare?
«Il progetto a cui è sempre stata interessata Italia Futura è contribuire al rinnovamento della politica nelle persone, nelle idee e nelle proposte. Per questo è necessario costruire una grande forza popolare, riformatrice e autenticamente liberale, che nasca dall’incontro tra società civile e politica responsabile e si ponga l’obiettivo di dare consenso elettorale al percorso avviato da Monti. Personalmente intendo impegnarmi perché questo progetto abbia successo, senza rivendicare alcun ruolo o leadership. La mia speranza e quella di molti cittadini è che il premier voglia continuare a guidare la fase che si aprirà dopo le elezioni, insieme a tanti altri italiani che dovranno abbandonare le tribune, impegnandosi in prima persona, senza nulla chiedere in cambio in termini di ruoli o ricompense».
Non teme che l’operazione possa essere considerata debole fin dalle premesse? Nelle democrazie occidentali si mette in campo un partito o una lista con l’ambizione di guidare il Paese, non di sostenere un premier che alle elezioni non è neppure candidato.
«Il Paese è a pezzi, il sistema produttivo sopravvive solo quando esporta, il disagio sociale enorme e il distacco tra politica, istituzioni e cittadini non ha precedenti. Ogni giorno scopriamo con sgomento nuovi scandali, ruberie e inaccettabili privilegi. Lo spettacolo che sta dando la politica è passato dal cinepanettone di cui parlavamo due anni fa a un horror di serie b. Stiamo vivendo una situazione esplosiva. È ora che il governo intervenga subito e con determinazione, e quindi per decreto, sui centri di spesa regionali. La prossima legislatura non potrà che essere costituente, è impossibile pensare di tornare alla conflittualità permanente della Seconda Repubblica. L’Italia non ha bisogno dell’ennesimo partito personale, grande o piccolo che sia, e Italia Futura non è mai stata interessata a esserlo. Serve un ampio movimento civico che si ponga l’obiettivo di dare rappresentanza ai milioni di italiani che si sono riconosciuti almeno in parte nel percorso di Monti, che non credono alla retorica populista antieuropea della destra o ai neostatalismi della sinistra. Milioni di italiani che in assenza di una vera novità non andranno a votare».
Quindi l’alleanza con il Pdl, di cui si parla e si scrive da settimane, non ci sarà?
«Alleanza, no; del resto l’abbiamo sempre smentita. È opportuno invece dialogare con le persone responsabili che sono nel Pdl e guardano con preoccupazione al futuro di un partito che resta una realtà importante del mondo moderato. Così come abbiamo ottimi rapporti con la parte più responsabile del Pd». Ma il nuovo movimento dovrà pure fare alleanze. O no?
«È mai possibile che i tanti milioni di italiani che non si riconoscono nel Pd o nel Pdl siano condannati a disperdere il loro voto in piccoli partiti, la cui massima aspirazione sembra essere quella di accordarsi con questo o con quello, invece di ritrovarsi in un unico grande soggetto che abbia l’ambizione di essere il primo partito? Serve un movimento che nasca dalla scelta comune di tante personalità e associazioni, provenienti da matrici ed esperienze diverse ma unite dalla convinzione che nessuno degli attuali partiti sia da solo in grado di rispondere alla crisi italiana. Oltre la destra e la sinistra di questa fallimentare Seconda Repubblica occorre dare finalmente un approdo agli elettori liberali, democratici e riformisti».
Lei elogia il governo del rigore. Ma di troppo rigore non si rischia di morire? Quale sono le sue proposte per la crescita?
«La crescita è il grande tema della prossima legislatura. Con molta franchezza, è su questo tema che dall’attuale governo sono venute le maggiori delusioni. Si è data l’impressione di perdersi in mille rivoli e annunci mirabolanti, mentre occorreva una visione netta e pochi obiettivi chiari. Io penso che dobbiamo rimettere al centro lavoro, produzione e cultura: i tre pilastri su cui costruire il rilancio italiano e sui quali concentrare ogni euro disponibile. E l’unica via per trovarne è ripensare radicalmente il perimetro dello Stato. Agli italiani serve uno Stato più forte nei suoi compiti fondamentali ma meno pervasivo. Un solo esempio: non è possibile con una spesa pubblica gigantesca a otto anni dall’ultimo indulto, siamo di fronte a una nuova emergenza carceri. Non è pensabile che si costituisca ogni giorno un nuovo fondo per questa o quella categoria d’imprese, quando a migliaia chiudono per il peso insostenibile del fisco. Meno incentivi, meno tasse e soprattutto molte più dismissioni. Agli italiani sono stati richiesti sacrifici immani. Ora è lo Stato che deve fare la sua parte».
La collocazione naturale del nuovo movimento sembra essere il centro. Che è già presidiato da Casini, contro cui Italia Futura ha preso una posizione critica. Perché? È vero che c’entra qualcosa la presenza della Marcegaglia?
«Non ho alcun pregiudizio nei confronti dell’Udc, di Casini che conosco da trent’anni, o di Emma Marcegaglia che è stata tra l’altro una mia vicepresidente in Confindustria per quattro anni. Anzi, ho apprezzato che l’Udc sia stato l’unico partito ad ammettere di aver bisogno della società civile, ed è positivo che Emma Marcegaglia si sia dichiarata disponibile a impegnarsi. Detto questo, esiste una questione che riguarda la credibilità oggettiva del progetto presentato a Chianciano. Non credo basti cambiare la cornice del simbolo, o reclutare due o tre figure dalla società civile o dal governo, per realizzare operazioni di vero rinnovamento. Se i partiti del centro hanno in testa qualcosa di diverso da una “Udc 2.0”, da un remake dello stesso film, e pensano invece a contenuti, idee e rinnovamento vero della classe dirigente, allora vale assolutamente la pena aprire un dialogo. Senza tatticismi o idiosincrasie, perché gli italiani non capirebbero operazioni all’insegna dello slogan “tutto cambi perché niente cambi”. Il tempo in cui si poteva essere per il rigore a Roma e per gli sprechi in Sicilia è finito».
Molti tra gli elettori delusi dai partiti guardano a Grillo. Che ne pensa?
«È inevitabile che sia così. E io penso che ogni nuova forza che affronta il giudizio degli elettori abbia il diritto ad essere rispettata. D’altra parte i partiti non sono riusciti, neanche di fronte al totale discredito pubblico e a un’emergenza economica che costringe gli italiani a enormi sacrifici, a realizzare riforme di una qualche rilevanza. Ma le risposte non possono essere distruttive o populiste, perché il populismo è una delle cause della crisi italiana. Affrontare una profonda riforma dello Stato è il migliore antidoto».
Renzi che impressione le fa?
«È un fatto nuovo, una bella dimostrazione di democrazia. È giusto che il sindaco di una grande città europea possa ambire a essere il leader di un partito. Non possiamo da un lato lamentarci dei professionisti della politica e dall’altro allarmarci se un giovane si fa avanti».
Con Sergio Marchionne e John Elkann (Epa)Con Sergio Marchionne e John Elkann (Epa)
Della Valle, suo socio in Ntv e suo amico, ha usato un linguaggio molto duro verso Marchionne ed Elkann. Chi ha ragione?
«Guardi, con la famiglia Agnelli ho da quarant’anni rapporti di stima e di affetto che attraversano le generazioni, da Gianni Agnelli a Leone Elkann, il figlio di John. Mi sono sempre sentito orgoglioso di far parte di una quadra. Quando la famiglia mi chiese di assumermi responsabilità, non mi sono tirato indietro. Le lascio immaginare la mia profonda amarezza di fronte alle parole di Diego, che non condivido nella sostanza e tanto meno nella forma, in rapporto a una polemica nei confronti della famiglia e di Sergio Marchionne che considero dannosa e sbagliata. Sono stato presidente della Fiat per sei anni, e posso ben dire che Marchionne ha salvato l’azienda».
Ma della Fiat che sarà? Manterrà gli stabilimenti e la "testa" in Italia? O rischia di diventare la sottomarca europea della Chrysler?
«La Fiat opera in uno dei settori più difficili e competitivi del mondo, con un mercato europeo tornato indietro di trent’anni. Eppure ha confermato di voler rimanere in Italia. L’operazione Chrysler sarà fondamentale per il futuro di Fiat. E non dimentichiamoci mai che una grande azienda come Peugeot, e altre presenti in Europa, si trovano oggi in enormi difficoltà. La questione a cui dobbiamo dare una risposta è se l’Italia vuole continuare a essere un grande Paese industriale, con regole e condizioni da grande Paese industriale. Io sono sicuro di sì, e anche per questo ho investito in Ntv. Ma attenzione, Ntv è un’esperienza che se da un lato conferma che c’è grande potenziale di crescita, dall’altro mette in evidenza che fare impresa in Italia oggi è una missione quasi impossibile».
Perché dice questo?
«Perché tra barriere alla concorrenza e insufficiente attenzione da parte del governo siamo l’unico Paese al mondo dove sembra che la politica faccia una cortesia a lasciar investire i privati. Per questo dico: dobbiamo favorire e premiare l’Italia che rema e che continua ad avere fiducia nelle proprie potenzialità, restituendo al lavoro e alla produzione il posto che meritano, anche nelle politiche fiscali. Lavoratori e imprese sono legati in maniera molto forte in questo momento storico. Con una tassazione sulle imprese che è vicina al 70%, con un costo dell’energia del 30% superiore alla media europea, con una burocrazia asfissiante, una produttività bassa, norme spesso assurde e liberalizzazioni insufficienti o continuamente rinviate, come possiamo pensare che gli imprenditori continuino ad investire e l’occupazione cresca?».
Aldo Cazzullo