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 2012  settembre 28 Venerdì calendario

CONSUMI DELLE REGIONI SU DEL 40%

Il boom delle spese per consumi in Campania, quello delle consulenze in Puglia e nel Lazio e l’impennata dei costi della politica in Calabria. Sono solo tre delle voci che balzano all’occhio nella geografia della spesa raccontata dai bilanci regionali, messi a confronto con quelli che dieci anni fa si erano presentati al debutto del federalismo avviato nel 2001 con la riforma del Titolo V.
Politica a parte, il cuore del problema-regioni è quello delle uscite, e in particolare della spesa corrente che rappresenta l’ampia maggioranza dei conti dei governatori e abbraccia anche le "uscite improduttive" messe ora nel mirino della spending review. Una massa, quella delle spese correnti regionali, cresciuta dai 107,6 miliardi del 2001 ai 151 miliardi impegnati nel 2010, con un aumento del 40,3% che aiuta non poco a spiegare il peso crescente del Fisco territoriale. Proprio le uscite correnti, insomma, sono la parte più vivace di quelle spese totali regionali che negli ultimi dieci anni hanno visto crescere di due punti il loro peso rispetto al Pil (dal 9,45% all’11,48%; si veda il Sole 24 Ore di ieri).
La tabella qui sotto compara i numeri degli ultimi dieci anni di conti regionali certificati dall’Istat, mettendo a confronto le performance della spesa registrata dalle diverse amministrazioni. Per chi è a caccia di primati, si può partire dai costi della politica calabrese, che con il loro +373% fanno impallidire il raddoppio secco registrato nello stesso periodo dagli «organi istituzionali» delle Regioni nel loro complesso. Sul personale, invece, il record non è una sorpresa e arriva in Sicilia, l’unica regione italiana a sfondare quota un miliardo l’anno nella spesa per gli stipendi. Il miliardo e 40 milioni registrato nel 2010 rappresenta un aumento del 71,9% rispetto a dieci anni prima, ma la storia non è finita lì: l’ingresso in organico di circa 4.500 persone ha consolidato il primato nel 2011, mentre sul tentativo di stabilizzazione dell’esercito ancora più ampio dei precari degli enti locali (a carico quasi integrale della Regione) il Governatore Lombardo ha giocato una delle sue ultime partite pre-dimissioni.
Se il confronto decennale mostra quali sono le voci che più hanno beneficiato degli anni di crescita libera da controlli, sono i valori assoluti a offrire i dati più significativi per l’equilibrio dei conti. Per rendersene conto si può guardare ai costi della politica in Emilia-Romagna: fra 2001 e 2010, secondo l’Istat, sono cresciuti di un pesante 199%, ma guardando al dato assoluto si scopre che la Liguria, con poco più di un terzo degli abitanti, ha livelli di spesa simili, mentre la Puglia (4,1 milioni di residenti contro i 4,4 dell’Emilia) spende oltre 7 milioni all’anno in più.
Naturalmente non tutte le spese sono uguali, e l’analisi prova a distinguere quelle "improduttive" dal complesso delle uscite. Con una lettura fedele all’indirizzo lanciato dal Governo attraverso il decreto sulla spending review, l’attenzione deve andare prima di tutto sui consumi, cioè gli acquisti di «beni non durevoli» che servono alla macchina amministrativa ma precedono l’erogazione del servizio. Questa voce è aumentata del 39% a livello nazionale, ma il dato più preoccupante arriva dalla Campania, dove questa voce ha superato i 427 milioni nel 2010 moltiplicandosi di oltre 5 volte rispetto allo stesso dato del 2001. Risultato: questi acquisti costano 73 euro a cittadino, valore pari a quello registrato in Sicilia, contro i 43 euro della Basilicata, i 37 dell’Abruzzo e i 26 del Lazio.
Una quota cruciale di spese improduttive, però, si nasconde anche sotto la voce dei trasferimenti alle Asl, in totale a quota 108,2 miliardi di impegni 2010, +45,1% sul 2011. A denunciarlo è stata nelle settimane scorse la Ragioneria generale, spiegando che tra 1990 e 2011 i costi dei consumi intermedi negli enti sanitari sono aumentati del 277%, contro il +138% fatto segnare nello stesso periodo dal Prodotto interno lordo.