Angelo Pannofino, GQ 28/9/2012, 28 settembre 2012
L’UOMO CHE SUSSURRAVA AI CAVALLI
& QUELLO CHE PARLAVA AI SEMAFORI–
Valerio Mastandrea mi si avvicina. «Ho la sensazione che inizierai dalla fine, perché stai capendo più ora che durante l’intervista”. Dico: «Hai ragione». Lui annuisce, sconsolato, e torna da Elio Germano che gli porge un sacco di calcestruzzo. Il fotografo ricomincia a scattare le foto che vedete in queste pagine. Basta osservarli per capire molto di questi due giovani attori italiani, di quelli bravi veri: nonostante abbiano recitato in più di 80 film, vinto premi, fatto cose, visto gente, ora sono a disagio durante un normale servizio fotografico. Li accomuna lo stesso malessere, ma lo manifestano in modo diverso: Germano resiste stoicamente, Mastandrea si tormenta. Uno tace, l’altro brontola. Uno se ne sta serio, l’altro si aggrappa all’ironia come un naufrago a un pezzo di legno. Ma non è la macchina fotografica il problema, sono gli abiti eleganti: «Io così me ce sarò vestito sei volte in tutta la vita: ai matrimoni». Mastandrea butta fuori il dramma. Germano invece lo tiene dentro, ma approva col silenzio le parole del suo amico. Perché sono amici per davvero. «Se la gente ci vede vestiti così, poi si immagina chissà che, invece noi siamo due persone normali». Vero. Infatti anche l’intervista era cominciata con la più normale delle domande...
Come state?
Elio Germano: «Io ce la metto tutta».
Valerio Mastandrea: «Io no, tutta no».
Sei agitato per questa intervista?
VM: «No, assolutamente, so’ cose che bisogna fa’».
EG: «Vale’, sai che sto curando l’orto? In estate mi dà un sacco di problemi».
VM (a me): «Ma lo senti che dice? Sembra Folco Quilici: “l’orto”... Tu c’hai davanti due veri modelli antropologici: il bucolico e il metropolitano. L’uomo che sussurrava ai cavalli: lui. E quello che parlava ai semafori: io».
Bella questa definizione. Ma tra quelle che vi hanno appioppato negli anni, qual è la più assurda?
EG: «Non mi identifico in nessuna: ogni definizione è un appiattimento, mentre l’essere umano è complessità. Ora sono in un modo, tra cinque minuti sono in un altro modo».
VM: «Quella si chiama schizofrenia... ».
Recitate insieme nel film Padroni di casa. La sinossi inizia con questa frase: «Le cose non sono mai quello che sembrano»...
VM: «’Na frase originale... E poi come continua: “Una volta qui era tutta campagna”?».
Siete quello che sembrate? Vi riconoscete nell’immagine che gli altri hanno di voi?
EG: «Per niente. È una fonte di disagio, e cerco di confrontarmici il meno possibile. Ora provo a prendere quello che leggo su di me con leggerezza, altrimenti impazzirei. All’inizio ho avuto grandi problemi: parlano di tua madre, tuo nonno, dicono dove abiti... L’attore non è mica un politico, che deve dire tutto della sua vita; anzi, dovrebbe nascondere quanto più possibile di sé, in modo da rendere credibili i suoi personaggi».
VM: «Uno lavora tutta la vita per cercare di conoscere se stesso, figurati se possono azzeccarci da fuori».
Facciamo così: io vi dico l’impressione che ho di voi, e voi mi dite se ci ho azzeccato. La prima: sembrate due che non amano fare le interviste.
VM: «E questa è facile».
EG: «Come se dicessero che siamo daa Roma».
Sembrate timidi.
VM: «Sì».
EG: «Essendo quadripolare, ho anche momenti di timidezza».
Germano mi sembra uno che si incazza, Mastandrea no.
VM: «In realtà è esattamente il contrario, io c’ho la rabbia repressa. Anche se sul set avrò litigato due volte in vent’anni».
Avete mai fatto a botte?
VM: «Quasi. Per mia fortuna il lobo frontale m’ha riportato alla ragione, perché ne avrei prese tante».
EG: «Io purtroppo si».
VM: «E quando hai fatto a cazzotti te?!».
EG: «In svariate occasioni, anche quando si tratta di cose che non mi riguardano in prima persona... Crescendo sto cercando di cambiare».
VM (a me): «Mi sa che c’avevi ragione tu. Germano si incazza, io invece so riconoscere il nemico. E quando l’ho riconosciuto, lo lascio stare».
Ne La vita agra, Bianciardi descriveva gli impiegati scansafatiche che, per dare l’impressione di lavorare, camminano velocemente: ecco, voi non sembrate due che “camminano velocemente”.
VM: «Io sono uno che i film se li accolla tutti, in ogni fase (a parte la promozione, per cui ho un’idiosincrasia)».
EG: «I film sono come ogni ambiente di lavoro: ci sono quelli che si sbattono per farli belli, e quelli che si limitano allo stretto necessario. Io e Valerio ci sbattiamo. Nel mio famoso discorso a Cannes parlavo proprio di quei poveri illusi che credono nel loro mestiere e vengono sfruttati da chi, parassitariamente...».
VM (interrompendolo): «Bell’avverbio “parassitariamente”. Non esiste ma è bello».
Ce l’avete un’apparenza che inganna?
EG: «La gente crede che io sia alto, simpatico e socievole».
VM: «In realtà è uno psicopatico».
EG: «È che vivo con difficoltà le situazioni tipo “fàmose ’na foto”. Non me ne frega un cazzo se tu hai di me un’immagine diversa: io sono una persona e voglio essere trattato con rispetto».
VM.: «Io sembro estroverso, ma nell’intimità sono chiuso».
Come si diventa vostri amici? Ne avete tanti o “pochi ma buoni”?
EG: «I fascisti dicevano: “Molti nemici, molto onore”, io ho sempre detto “Molti amici, molto amore”. Mi piacerebbe averne tanti, ma sono un disagiato... E poi l’amicizia è creata dal tempo che passi con una persona».
VM: «Io ho molti amici. Sono figlio unico, e per farti capire quanto l’amicizia sia un valore assoluto, ti racconto che mio figlio lo chiamo “amico”: “Ehi amico, vieni qua”, gli dico. E anche lui mi chiama amico».
Sei diventato padre?
VM: «Da due anni e mezzo. Vuoi che ti dica delle cose ovvie e retoriche o proviamo a complicarla?».
Proviamo a complicarla.
VM: «È una porta che si apre. Nella vita ne apriamo due o tre: la prima è quella per entrare nella fase adulta, la più dolorosa e difficile. Quando poi hai fatto quel passo, ti sei costruito la tua vita, hai le tue certezze da adulto, arriva un figlio e distrugge tutto. È come la nuova Roma: bisogna distruggere per poter ricostruire. E noi stiamo costruendo. E un’esperienza potente».
Entrambi della Roma: che vi aspettate da Zeman?
VM: «I romanisti veri non hanno mai aspettative. Comunque Zeman è un grande. Un padre putativo. Ricordo di aver parlato di cinema paragonando il regista Calligari a Zeman: giocare all’attacco, stimolare lo spettatore sempre e comunque».
EG: «È un altro di quelli che fa il suo mestiere con passione, andando contro tutto e tutti».
Recitate per soddisfare qualche bisogno: vanità, esibizionismo, turbe psichiche?
VM: «Io partirei dalle ultime».
EG: «Lo faccio per trovare una dimensione nella vita. Recitare è un recinto di sicurezza al cui interno posso permettermi di vivere vite che non avrei mai il coraggio di vivere».
VM: «Anche io la pensavo così. Fin quando mi sono arreso al fatto che questo lavoro m’è capitato per sbaglio ma mi piace, e lo uso per mettermi sempre in discussione (anche se mi sono un po’ rotto i coglioni di mettermi in discussione). Ho incanalato le mie turbe psichiche. M’aiuta e non m’aiuta: più mi aiuta, più io mi vado a infilare in parti difficili, che facciano crollare le mie certezze».
Che consiglio non richiesto daresti al tuo amico attore?
VM: «Nessuno. Però posso dirti che attore è Germano: molto cerebrale, è uno che il personaggio lo prepara con la testa, ma lo fa con la panza. Io credo di essere l’esatto contrario».
EG: «A me invece manca la tecnica di Valerio».
VM: «Anche perché non ce l’ho».
EG: «Invece ce l’hai, in parte istintiva. Hai una capacità di “stare dentro e fuori” che mi impressiona molto, proprio perché mi manca. Per me sei l’erede dei grandi attori italiani come Manfredi e Sordi».
Qual è la vostra “Corazzata Potemkin” personale?
VM: «Intendi un capolavoro del cinema che m’ha rotto i cojoni? Arca russa».
EG: «Kiarostami. O l’ultimo di Angelopoulos, Lo sguardo di Ulisse: sembrava una fotografia per quanto era lento. E non riesco più a vedere i film di successo americani, tipo Cameron».
Mastandrea è uno che legge molto. So che dopo essere stato a Mantova per il Festival della letteratura, ha fatto il viaggio di ritorno a Roma in compagnia di Pennacchi: che vi siete detti?
VM: «Ci siamo molto divertiti. Un personaggio enorme. Alla fine del viaggio m’ha detto: “Vale’, allora vieni quando vuoi dalle parti mie col regazzino, però te posso di’ ’na cosa? ‘Sta malinconia ha rotto er cazzo: levatela”. E io: “Ma che malinconia? So’ stanco”, e lui: “Ma che stanco! Sei malinconico, hai rotto i coglioni, vai in analisi no?”».
Nel film Padroni di casa fate i piastrellisti. Nella vita ce l’avete un piano B?
EG: «Sono pieno di piani B».
VM: «Lo sto cercando. Ho pensato ai lavori manuali, ma non sono capace... La musica l’ho cannata a 17 anni, al contrario del ragazzo qui (si riferisce a Bestierare, il gruppo rap del quale fa parte Germano, ndr)».
EG: «Sì, ma noi praticamente facciamo beneficenza».
VM: «Aspetta, ce l’ho! Le energie rinnovabili».
E cosa dovrebbe succedere per farti passare alle energie rinnovabili?
VM: «Ora mi tocco (si tocca, ndr), ma per il tipo di lavoro che faccio, potrei smettere per colpa di un grosso choc, qualcosa che ti svuota dentro».
Padroni di casa è un film che parla della provincia: come la vivete?
VM: «In realtà è una provincia simbolica, va intesa come habitat ristretto: potrebbe essere un quartiere di Roma, o un condominio. Interpretiamo due persone che vengono da fuori ed entrano in un contesto chiuso, già minato da lotte intestine, finendo per diventare il capro espiatorio: è un film sulla paura dell’altro».
E voi che paure avete in questo momento della vostra vita?
EG: «Dell’umanità. Dell’autodistruzione insita in questo sistema economico, sociale, mentale, pieno di persone omologate a un pensiero unico».
VM: «Io ho paura del servizio fotografico che stiamo per fare».
Mastanarea, ma che gli fai tu alle donne?
VM: «Le inganno. Con un apparente dedizione totale, salvo poi sentirmi dire “non eri così”. Scherzi a parte: sono cresciuto in mezzo alle donne, per cui da un lato le rispetto, dall’altro ho anche maturato una cerca insofferenza verso alcune dinamiche che amo scoperchiare subito, tipo la loro teatralità».
Germano, ma che gli fai tu alle donne?
VM: «Posso rispondere io per lui? Le confonde».
EG: «Niente che loro non vogliano».
Avete mai dei “periodi blu”, come i pittori?, in cui andate “in fissa” per qualcosa?
EG: «Avoja! Sono pieno di periodi blu! Ora sto in fissa con i tubi idraulici: costruisco delle cose per il bagno...».
VM (rivolto a me): «Ma lo senti? “I tubi”... Incredibile. Anche io ho le fisse, ma durano poco. Forse sono i libri: leggerne uno in due notti. Da che erano sei libri l’anno, ora ne leggo cinque al mese».
Quando sarete morti, che frase vorreste sulla lapide?
EG: «Non ho la frase, ma ho già la foto. Me l’hanno scattata una notte che ero in macchina con amici, ci siamo fermati perché dovevo fare pipì, ho scavalcato un muro e sono finito in una fontana. Ho una faccia di uno che si ritrova fradicio alle quattro di notte in mezzo alla strada: perfetta per la lapide».
VM: «Io mi faccio cremare. E poi mi faccio disperdere nell’orto di Elio Germano».