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 2012  settembre 28 Venerdì calendario

IL CLUB PIÙ PAZZO DEL MONDO, DOVE…


Basta osservare l’ingresso del Marquee alle 11 del sabato, per capire perché i promoter parlino di «organizzare il bordello». Almeno duemila persone. Branchi di asiatiche che succhiano leccalecca a forma di cazzo (con palle). Principi arabi o italiani in blazer e sterno a vista. Maschi bianchi, camicia fuori dai pantaloni e gemelli ai polsi, basiti dall’infinità di donne in abito inguinale, sempre sul punto di scoprire almeno una natica: cosa che, chissà perché, poi non avviene. Dentro, il locale è già al limite della capienza. Cordoni di velluto separano gli ospiti: super-vip, belle donne semi-vip, non-vip senza donna (entreranno dopo le 2).
È la sesta o la settima volta che vengo al Marquee, il night club dagli incassi più alti di Las Vegas e forse dell’universo. Sono qui per un addio al celibato: un tavolo costa tra i mille e i diecimila dollari, ma fai una fila privilegiata. Gli “altri” pensano: «Quanto vorrei essere lì». Una donna con auricolare da agente segreto infila patente e carta di credito in una busta con il mio nome, poi la passa a uno in completo scuro: è l’accompagnatore di vip.
Ci attende un ascensore, pareti di vetro e luci soffuse. Una ragazza in shorts e camicia bianca preme un pulsante e attacca con un discorso che dura fino al quarto piano: «Buonasera, sono Laura. Uscendo trovate il bar della Boom Box. Al piano superiore la biblioteca, la nostra sala esclusiva. Sulla destra la pista da ballo e il vostro tavolo. Alla consolle, stasera, c’è dj Benny Benassi. Fate un giro, trovate delle signore, portatevele al tavolo». L’ascensore si ferma. «Benvenuti, la vostra festa comincia... adesso».

Ore 23.15 Siamo sbalorditi, come se ci avessero sostituito l’aria con Red Bull vaporizzata. Il soffitto non si vede. L’ambiente è cavernoso, umido, luccicante di rosso e pulsante, con una pista da ballo circondata da file di tavolini con secchiello, bottiglia, bicchieri. Dietro, uno schermo a Led di 12 metri e l’impianto audio da un milione e mezzo di dollari. L’accompagnatore ci affida a Joe, nostra bodyguard. Sfoggia anche lui, come tutti, completo scuro e auricolare. Intanto arriva una squadra di nerovestiti con la nostra unità-bar mobile: vassoio d’argento a due piani per il limone a fette, caraffe di bevande analcoliche, un secchiello da ghiaccio a batteria. Ordiniamo alla cameriera, Jessica, una bottiglia di vodka Grey Goose da 950 dollari, come quelli che ornano gli altri tavoli.
Joe domanda: «Volete rilassarvi un po’ o che vi cerchi delle ragazze? Avete preferenze?». Poi mi spiega: «A certi piacciono di una razza particolare, altri si orientano sul colore dei capelli. Molti sono poco selettivi. “Portaci delle troie”, dicono». Preferiamo restarcene tranquilli. Siamo ancora stupiti. Da quanta cazzo di gente c’è. Il Marquee può raccogliere 3.500 persone. A fine nottata, però, a entrare e uscire saranno circa seimila. Come si fa ad attirare tanta gente ogni sera in un night? E a Las Vegas ce ne sono almeno altri 25! «Questo», dice il padrone, «è il nostro segreto».
La storia inizia nel ’93 a Cancún. Uno sveglio liceale di Manhattan organizza, per lo “Spring Break”, il viaggio di un centinaio di coetanei dell’Upper East Side. Era Jason Strauss a vendere i pacchetti vacanza. Tra i clienti c’era la figlia di Peter Gatien, che a New York, negli Anni 90, monopolizzava il business dei night club. «Visto che organizzavo feste per liceali bianchi fighetti, ne parlò col padre, boss dei quattro megalocali Limelight, Palladium, Tunnel, Club Usa. E lo convinse a darci una sala al piano superiore del Club Usa». Jason e il suo socio, Noah Tepperberg, erano ancora al liceo.
Il Marquee è di una specie di consorzio. In pratica appartiene al Tao Group. La società (che fa capo a cinque newyorchesi) ha preso il nome da un ristorante di Manhattan: il Tao di Las Vegas, aperto nei 2005, ha gli incassi più alti di tutti gli Usa. Jason e Noah devono organizzare feste e riempire i locali. Ogni sera. Hanno 38 e 37 anni, oltre a 4 night a Manhattan, 3 a Las Vegas, una catena di pizzerie a New York e una succursale del Marquee in Australia. C’è grande intesa tra loro. Jason è un bell’uomo che mentre parla si ravvia i capelli, ha un’abbronzatura perenne ma discute con serietà di dance music elettronica. Noah è calvo, suda e non ha mai preso il sole in vita sua. Jason è amico di deejay milionari di Amsterdam; Noah di gente come Jay-Z e Paris Hilton. E di chiunque altro.
Crescendo, hanno gestito un’era in cui la nightlife si è allontanata da un divertimento in qualche misura ancorato al reale e alla ruvidità underground, per privilegiare celebrazioni a colpi di bottiglie di champagne da 3 mila dollari. Un cambiamento che apprezzano. «Eravamo gli unici due a non usare droghe», spiega Noah. «La vita notturna che ho contribuito a creare è sicura, professionale, pulita. Una Disneyland per adulti». Un cambiamento, a Las Vegas, è consistito nel togliere ai locali la patina di esclusività: per far festa con loro non è necessario essere cool, basta avere soldi.
Ore 00.30 I due dj che introducono Benny Benassi premono pulsanti e distribuiscono sorrisi radiosi, da ore. In testa hanno dei porkpie hat e sembrano gemelli. Poi, a mezzanotte, arriva in consolle lui, il dj di Reggio Emilia che ha indovinato una hit (Satisfaction) ed è uno dei dieci che a Las Vegas guadagnano tra i 50 e i 150 mila dollari per 3 o 4 ore di dance music. È zucchero filato, pura allegria che suona come il battito cardiaco, accelerato e arrangiato, di uno sotto ecstasy. Benny regala sorrisi come i “gemelli”. Ma quando la gente lo vede, all’improvviso il contatore dello sballo impazzisce. Tutt’intorno, donne che ballano su palchi improvvisati: tavoli, panche, piedistalli.. . A centinaia, tutte con abitini identici e scarpe a zeppa che un tempo erano un codice: mi pagano per fare pompini. Siamo a Las Vegas, molte certo lo fanno. Alcune — cubiste, cameriere, bariste ecc. — lavorano per il locale, ma sono una minoranza.
Come il porno etero, un night è soprattutto questione di ragazze (nessuno usa la parola “donne”). Il pubblico maschile e femminile passa il tempo a guardarle. La direzione le mette in mostra con la sfarzosa prodigalità con cui un hotel di Dubai abbonda di fontane. All’impresa sovrumana, riempire ogni sera il Marquee di ragazze, lavorano più di 80 promoter. Come Bhagya: sulla trentina, testa pelata e pantaloni dalla piega pericolosamente affilata. Ha circa 200 ragazze in lista. A chi si rivolge? «Ragazze d’élite», ha risposto. Noah e Jason dicono che a New York, se non sei una modella, se non vesti all’avanguardia, se non sai sembrare annoiata anche seduca accanto a Jay-Z, non superi i cordoni; a Las Vegas, per entrare basta non avere un pene visibile. La ragazza “d’élite” viene accompagnata a un tavolo, così i clienti se la trovano lì. Quelle “riempitivo”, invece, sono convogliate in una fila speciale e fatte entrare con licenza di girare. Ma non basta essere attraenti, spiega Bhagya, «a fine serata gli uomini vogliono una sola cosa: che sia una “good night”. Vengono a Las Vegas per quello, no? Be’, credimi, per le ragazze è lo stesso. Tutte le mie amiche hanno in valigia i loro preservativi...».
Joe ci accompagna al bagno privato (è una delle sue mansioni). Dietro di noi, un gruppo di libanesi o di israeliani; uno vomita. Tanto. In meno di un minuto, si materializza una squadra di uomini in nero, dotati di salviette e detergenti, a ripulire la zona e il vomitatore: è il team anti-conato. In un attimo lo risistemano sulla poltrona, gli versano un bicchiere d’acqua ghiacciata e scompaiono.
Le cameriere. Quando le vedi muoversi in stivali alti con zeppa, sembrano personaggi dei fumetti: provocanti, tette enormi, calze a rete, trucco pesante. Fa effetto vederle, alla riunione pre-apertura, alle sette. Sono lì, sui divani, in tuta e Ugg, a mangiare insalata e ad applicarsi strabilianti quantità di trucco. Più stanche, più normali, meno fantastiche. Nikki Bee ha 25 anni, è di San Jose, California. Ha lavorato come parrucchiera. Porta l’apparecchio, sembra fragile ma determinata. Fa la cameriera 16 ore al giorno, da mezzogiorno alle 4 di mattina, per comprarsi una casa a Spanish Trails. «Credo di aver visto di tutto, qui. Tipo il rapper Pitbull, che getta al vento migliaia di dollari come fazzoletti di carta», sorride. «O il principe indonesiano che per settimane ha speso 90 mila dollari al giorno. Stava nei bungalow accanto alla piscina, veniva in ciabatte». E la festa di compleanno di Kim Kardashian, l’anno scorso: pare che abbia ricevuto centomila dollari per farla al Marquee. «È arrivata con un’ora e mezza di ritardo. Se n’è andata dopo venti minuti».
Alle 4 Gli addetti convogliano tutti verso la pista, per dare ai clienti dei tavoli il feeling che qui la festa, come la musica (o l’ecstasy), non finisce mai. Così non ti sembrerà di essere lo sfigato che lavora a Pittsburgh o Irvine. L’alternativa: torno alla realtà, al trolley lasciato in albergo, o mi procuro della coca?
Alle 5 II Marquee è uno di quei posti in cui non si capisce quanto si è ubriachi finché non si va via. Perché a un certo punto si deve. O perché si è troppo ubriachi o perché sta chiudendo. L’uscita è invisibile dagli altri ingressi. Una marea di ragazze con le scarpe in mano scende le scale, a piedi nudi e doloranti, e molti uomini ne portano a spalla altri, come i pompieri con gli intossicati da fumo. All’entrata eravamo divisi per ceto, all’uscita siamo tutti insieme su una scala di metallo priva di “wow factor”, come direbbe Noah.
Ma ci siamo divertiti? Al night a volte si entra in un circolo vizioso e una zona oscura del cervello domanda: «Mi sto divertendo davvero?». Un’altra parte interviene: «Taci! Hai pagato un mucchio di soldi!». L’ecstasy serve a questo, a disinnescare quell’area oscura del cervello. Il modo di gestire l’ansia fornito da Noah e Jason consiste invece nel far credere al cliente di essere a una festa cui altri vorrebbero partecipare. Il Marquee deve sempre sembrare “il posto giusto”. Uno non paga 3.500 dollari perché crede che sia il prezzo corretto dei drink, paga per “salire sulla giostra”. Le uscite sono invisibili perché nessuno pensi: la gente se ne va, non è il posto giusto. Potrebbe rompere l’incantesimo.
Fuori Per le limousine non c’è fila. Cosa sono altri cento dollari, in una serata che ne è costati tremila? L’autista parte. «Se volete, vi prenoto un tavolo in uno strip club», fa, «quello che preterite».