Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 28/09/2012, 28 settembre 2012
IL LUNGO SILENZIO DI STALIN DOPO L’INVASIONE TEDESCA
Il 21 giugno 1941 le truppe tedesche attaccano e invadono l’Urss. È solo ai primi di luglio che Stalin prende la parola per denunziare al popolo sovietico l’invasione e per esortare il popolo alla resistenza. Qual è il motivo per quel lungo periodo di silenzio?
Pietro Imperia
pietro.imperia@libero.it
Caro Imperia, secondo molti studiosi, Stalin sapeva che Hitler avrebbe attaccato l’Unione Sovietica. Ma era convinto che l’aggressione sarebbe avvenuta soltanto nel 1942, dopo la sconfitta della Gran Bretagna. Gli sembrava impossibile che la Germania volesse ripetere l’errore della Grande Guerra, quando il suo esercito aveva combattuto su due fronti, e pensava di potere rinviare di qualche mese il programma per la riorganizzazione delle forze armate sovietiche. Più in là, non appena fosse giunto il momento di agire, l’Urss avrebbe preceduto i tedeschi e colpito per prima. Fu questa la ragione per cui il generalissimo, come amava essere chiamato durante il conflitto, rifiutò ostinatamente di dare retta ai numerosi segnali che provenivano dai confini occidentali del Paese. Fra il maggio e il giugno non passò giorno senza che qualche sconfinamento tedesco in territorio sovietico lasciasse trapelare le intenzioni ostili della Germania, e non passò settimana senza che gli agenti dei servizi sovietici confermassero i piani militari del Reich.
Ma a Stalin quelle notizie non piacevano. In un libro pubblicato nel 2007 da Corbaccio (Il silenzio di Stalin) Costantine Pleshakov racconta la tempestosa conversazione del leader sovietico, alla vigilia dell’attacco tedesco, con due generali, Semën Timošenko, commissario del popolo per la Difesa, e Georgij Žukov, capo di Stato maggiore. I generali gli proponevano un piano per la massiccia dislocazione di forze sovietiche verso Occidente e Stalin ribatteva bruscamente che non intendeva offrire a Hitler il pretesto di una provocazione. Dietro quell’atteggiamento vi era la coscienza dell’estrema debolezza di cui soffriva l’Armata Rossa dopo le purghe che ne avevano decimato i quadri superiori. Non voleva credere all’attacco tedesco perché sapeva che le forze armate dell’Urss, in quel momento, non erano in condizione di resistere.
I risultati dell’imprevidenza di Stalin furono catastrofici. Pleshakov scrive che l’Armata Rossa, nelle prime tre settimane del conflitto, perdette 28 divisioni e quasi un milione di uomini, di cui 600.000 uccisi (il numero dei morti italiani nella Grande Guerra) e 328.898 prigionieri. Il 1° luglio, otto giorni dopo l’inizio delle operazioni, 20 milioni di cittadini sovietici vivevano ormai in territori occupati dal nemico. Stalin, intanto, cadde in una sorta di cupa prostrazione. Questo non gli impedì di dare ordini importanti come quello per il trasferimento verso l’estremo Oriente sovietico dell’apparato industriale del Paese, ma temeva di avere perduto la sua autorevolezza ed era probabilmente preoccupato dalla possibilità di una congiura di palazzo contro la sua persona. Una guerra all’interno del partito dovette sembrargli più pericolosa della guerra contro Hitler. Quando capì che non vi erano concorrenti pronti a succedergli, uscì dalla prostrazione, riprese il controllo della situazione e parlò al Paese.
Sergio Romano