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 2012  settembre 28 Venerdì calendario

LOMBARDIA OFFSHORE

Nella saga dei tesorieri ciellini che hanno inguaiato Roberto Formigoni spuntano altri 20 milioni di euro. Una barca di soldi ormeggiati in società anonime nei più impenetrabili paradisi fiscali, da Singapore al Delaware, da Panama alle Bahamas. Ma in gran parte ritirati in contanti alla vigilia degli arresti. Un nuovo tesoro nascosto, insomma, che si aggiunge agli oltre 70 milioni di fondi neri scoperti nei mesi scorsi dai magistrati milanesi che hanno arrestato Piero Daccò e Antonio Simone, i lobbisti sanitari di Comunione e liberazione. Ora accusati tra l’altro di aver corrotto il presidente della Lombardia con regali da sultano per almeno 7,8 milioni.
Il nuovo troncone d’inchiesta nasce dalle rivelazioni di un fiduciario svizzero, Sandro Fenyo, che sta collaborando con la Procura di Milano dopo essersi visto accusare di riciclaggio, a suo dire ingiustamente. Il professionista di Lugano, 52 anni, antenati ungheresi (si pronuncia Fenyò), costruisce per mestiere forzieri anti-tasse: apre conti bancari e li intesta a società anonime. In Svizzera è lecito, purché l’evasione fiscale non nasconda reati più gravi. Alla fine del 2009 Fenyo, che dirige la fiduciaria Manfid, viene contattato da un cliente mai visto prima: Costantino Passerino, amministratore della Fondazione Maugeri, un colosso privato della sanità lombarda. Il manager italiano vuole sostituire il suo precedente fiduciario, per cui gli chiede una nuova rete di conti e società-schermo. Meno di sei mesi dopo, nella tarda primavera del 2010, Passerino gli presenta un altro italiano, che ha ancora più urgenza di nascondere fiumi di denaro: Piero Daccò.
Fenyo sa che tutti quei soldi escono dalle casse della Maugeri, ma classifica il caso come normale evasione. Da mascherare con la classica triangolazione Italia-Malta-Svizzera. Nessuno gli dice (o almeno così giura) che quel tesoro è formato da una grossa fetta dei rimborsi pubblici «discrezionali» (oltre 200 milioni) concessi alla Maugeri dalla giunta lombarda, presieduta sin dal ’95 da un politico molto amico di Daccò, il cattolicissimo Formigoni.
Fenyo invece è un massone dichiarato: è il gran maestro di una loggia di Lugano (vedi box). Gli agganci bancari non gli mancano. Quindi accetta di aprire conti offshore per quella coppia di italiani. Le società-schermo sono collocate nei paradisi fiscali più in voga, come lo stato americano del Delaware, e qualcuna gestisce veri investimenti fuori dall’Europa. Tutte le altre però servono solo a mascherare gli effettivi beneficiari di nuovi depositi in Svizzera, come il conto "Hornblower" alla Bsi di Lugano, per un valore di almeno 20 milioni. Un fiume di denaro prosciugato in pochi mesi: gran parte dei soldi vengono prelevati in contanti da Daccò, proprio mentre in Italia esplode il calderone della sanità lombarda. Nel 2011 diventa conclamato il dissesto del San Raffaele, che nonostante i massicci finanziamenti regionali (450 milioni all’anno solo dalla Lombardia) ha accumulato un passivo di ben 1,5 miliardi. Il 18 luglio si uccide il manager dell’ospedale privato, Mario Cal, e i suoi più stretti collaboratori cominciano a parlare ai pm di un incredibile vortice di fondi neri, tangenti di fornitori e appaltatori, buste di banconote tra Italia e Svizzera. Nel novembre 2011 Daccò finisce in carcere per la bancarotta del San Raffaele: è accusato di aver sottratto 5 milioni in contanti e altri 35 con vendite pilotate di aerei privati. E a fine anno si pente il primo gestore dei suoi conti esteri.
Si chiama Giancarlo Grenci, ha 42 anni, ha imparato il mestiere nella chiacchieratissima Fidinam e ora è uno dei big della Norconsulting, una delle fiduciarie più affermate di Lugano. Daccò e Simone sono suoi clienti dal lontano 1997. Terrorizzato dal crac del San Raffaele, Grenci consegna ai pm Luigi Orsi e Laura Pedio quattro cd con migliaia di documenti, che in aprile portano in cella anche Simone, con tutto il vertice della Maugeri. Ma dove sono finiti i 70 milioni della Fondazione?
Con le carte di Grenci, i magistrati sequestrano ville e terreni, in Italia, ma solo per 23 milioni. I tesorieri ciellini ne hanno investiti almeno il doppio all’estero, tra Cile, Israele e Argentina, dove tra i soci di Daccò spunta pure la sua amica Alessandra Massei, ciellina doc, sua ex dipendente in un ospedale privato, diventata capo della programmazione sanitaria della Regione Lombardia. Grenci rivendica di aver bloccato, poco dopo il suicidio di Cal al San Raffaele, la richiesta di venderle una villa a Bonassola, in Liguria. Ma documenta che sono spariti altri 11 milioni, ritirati in contanti da Daccò.
Le carte di Grenci si fermano al 2010, quando gli subentra Fenyo. Ma anche il nuovo fiduciario dei lobbisti ciellini (l’ultimo conosciuto) può aggiungere solo che mancano all’appello altri 20 milioni. Alcuni sarebbero finiti a Singapore a disposizione di Passerino, arrestato mentre progettava la fuga. Un paio sarebbero in Russia, come alibi per fantomatiche consulenze scientifiche. Ma tutti gli altri li ha presi Daccò.
Il suo avvocato, Giampiero Biancolella, esclude colpi di scena: «Non c’è alcun mister X della politica dietro i conti esteri. Le carte dei fiduciari dimostreranno che tutti i soldi sono rimasti nelle società di Daccò e Simone».
Il problema è che Gianfranco Mozzali, ex factotum della Maugeri, ricorda confidenze opposte: una settimana prima dell’arresto per il San Raffaele, «Daccò ha detto a Passerino, che era preoccupatissimo, di stare tranquillo, in quanto lui aveva sistemato i suoi conti in modo che non risultassero uscite verso politici o funzionari pubblici e che il denaro rimaneva nella sua disponibilità».
La caccia al tesoro e ai possibili complici, dunque, continuerà per mesi. Fenyo e Grenci hanno fatto i nomi di altri fiduciari tra Svizzera e Dubai. Ma a complicare le indagini è la scoperta che Daccò e Simone hanno un terzo giro di conti, da Panama alle Bahamas, affidati a fiduciari sconosciuti perfino agli svizzeri. E stando a una e-mail sequestrata a Fenyo, i dioscuri di Cl avrebbero investito «oltre 40 milioni di dollari» pure ai Caraibi. Beati i poveri, ma nel regno dei cieli.