Simon Mundy, l’Espresso 28/9/2012, 28 settembre 2012
TUTTO CASA E GALAXY
Avviando la sua ditta per il commercio di verdure, la Samsung Sanghoe, in una città del Sud della Corea dove si teneva un mercato, Lee Byungchul aveva molte speranze. Per quanto mirasse in alto, tuttavia, non avrebbe mai potuto immaginare che, 74 anni più tardi, suo nipote si sarebbe seduto a un tavolo in California per negoziare alla pari con il responsabile della prima società del mondo per capitalizzazione di mercato.
Samsung avrà pure perso la sua epica battaglia legale contro Apple negli Stati Uniti, ma resta il fatto che questa causa, combattuta all’ultimo sangue, testimonia della lunga strada che la società sudcoreana ha percorso nell’arco di una vita, durante il quale la Corea del Sud si è innalzata dalla miseria alla prosperità. L’uomo che meglio rappresenta questa straordinaria trasformazione è Lee Jae-yong, amministratore delegato di Samsung Electronics e probabile prossimo presidente del gruppo: Lee sembra essere determinato a rompere con l’austero stile dirigenziale che caratterizza i conglomerati industriali di stampo familiare sudcoreani, i chaebol.
I chaebol dominano i l panorama economico della Corea del Sud perché sono presenti in tutti i settori. Tra i chaebol, le cui società controllate contribuiscono a un quinto delle esportazioni del paese, Samsung è di gran lunga il più importante. Un secolo dopo la caduta della dinastia Choson, molti coreani parlano della famiglia Lee con termini che solitamente si riservano ai reali, e Lee Jae-yong, il quarantaquattrenne probabile principe ereditario, è oggetto di un’appassionata curiosità.
Finora Lee non ha fatto molto per soddisfarla mantenendo un profilo pubblico decisamente basso. Pur restando lontano dai riflettori e dal chiasso di un’intensa vita sociale, Jay Lee, come l’ad della Samsung preferisce essere chiamato fuori dalla Corea del Sud, è nei fatti diventato presso Samsung il principale punto di riferimento di molti clienti e concorrenti, oltre che di alti funzionari non solo cinesi e statunitensi. Lee, che parla perfettamente l’inglese e il giapponese e che indossando occhialini senza montatura e vestendo abiti cuciti su misura ha sempre una presenza impeccabile, rappresenta il volto moderno e globale di un gruppo considerato in termini generali molto chiuso.
Figlio unico del presidente di Samsung, Lee Kun-hee, Lee è stato allevato fin da piccolo per succedere al padre. Già da bambino ha avuto occasione di familiarizzare con i top manager di Samsung in visita al padre che da tempo preferisce lavorare da casa. «Il suo ambiente familiare è stato sempre molto rigido», racconta Yanagimachi Isao, il suo professore di giapponese negli anni Ottanta. «Non volendo che si parlasse di lui, ha sempre limitato le sue amicizie a una cerchia ristretta. Sapeva che un giorno la responsabilità di guidare la Samsung sarebbe ricaduta su di lui e quindi si è applicato molto negli studi».
In gioventù, le sue passioni sono state le macchine veloci e lo sport: grazie al suo talento negli sport equestri è arrivato a fare parte della squadra della Corea del Sud. Tutto ciò naturalmente senza trascurare la preparazione per la successione. Dopo essersi laureato in storia a Seul, Lee ha trascorso due anni studiando amministrazione d’impresa all’Università Keio a Tokyo, perfezionando così il giapponese e arrivando a conoscere approfonditamente la cultura degli affari giapponese.
Dopo il ritorno a Seul, Lee ha occupato per più di dieci anni posti poco importanti. Nel 2007 gli è stata finalmente assegnata la gestione dei rapporti con alcuni importanti clienti, una nomina che può essere considerata il riconoscimento del suo talento nella diplomazia degli affari - grazie al quale Lee è stato l’unico top manager asiatico invitato a partecipare ai funerali di Steve Jobs, il fondatore di Apple, nonostante sullo sfondo infuriasse la battaglia legale tra le due società. Per conquistare il pubblico sudcoreano, invece, Lee deve ancora lavorare sodo.
Sono tempi difficili per i chaebol. Il rallentamento della crescita del paese ha fatto crescere le critiche sul predominio economico di questi conglomerati, che soffocherebbero le aziende più piccole. Con un occhio alle elezioni presidenziali che si terranno a dicembre, i politici si stanno dunque proponendo come i fautori di una “democratizzazione economica” e hanno cominciato a prendere di mira la struttura dell’azionariato dei conglomerati controllati dalle famiglie fondatrici, com’è il caso di Samsung. Lee si è già dovuto sottoporre alla disonorevole esperienza di una udienza presso la Corte Suprema nel 1996, per una transazione riguardante obbligazioni convertibili che avevano aumentato sostanzialmente la sua quota nel gruppo, anche se la sentenza finale della Corte ha riconosciuto il suo comportamento corretto.
Lee correrebbe ora il rischio di diventare il simbolo dello scontento popolare per i privilegi ereditari, è l’opinione di Chung Sun-up, direttore di un sito web d’informazione sui chaebol coreani. «Lee deve ora dimostrare le sue capacità di manager, perché un numero sempre maggiore di coreani si chiede se sia giusto che egli erediti di diritto le redini della Samsung… L’opinione pubblica non considera più imperativo che il figlio succeda al padre».
I suoi detrattori sostengono che Lee non possegga l’esperienza necessaria a gestire un gruppo tanto vasto e diversificato come il conglomerato Samsung, le cui attività vanno dalle assicurazioni vita alla cantieristica alla tecnologia militare. La sua promozione a direttore esecutivo nel 2009 lo ha proiettato verso il top management, ma la responsabilità generale di uno dei settori chiave del gruppo in realtà non gli è stata ancora affidata. «Finora non ha avuto molte opportunità di dimostrare le sue capacità perché il padre conserva ancora il pieno controllo», spiega Kim Sang-jo, professore di economia presso l’Università Hansung.
Secondo una persona che ha lavorato a stretto contatto con Lee, si tratta di commenti ingiusti, perché Lee si è sentito finora obbligato a minimizzare il suo contributo ai recenti successi del gruppo - le cui azioni sono più che raddoppiate di prezzo dalla metà del 2009 - per rispetto verso il padre e in virtù della sua modestia. «Lo smartphone Galaxy porta la sua firma in tutto e per tutto», riferisce la stessa fonte parlando dell’oggetto che ha permesso all’inizio dell’anno alla Samsung di battere la Apple per numero di unità vendute.
La stessa persona fa notare che è stato proprio Lee a guidare il progetto per i display a led organici, che è, secondo gli analisti, la caratteristica che rende imbattibile il popolare Galaxy. A Lee può essere attribuita anche la decisione della società di raddoppiare negli ultimi due anni gli investimenti nei processori destinati alle applicazioni, i chip-cervello dei quali Samsung è ora il maggior produttore al mondo. Lee è noto per condividere la stessa passione che aveva Steve Jobs per i prodotti e il design. Da lui si attende ora molto. Il nonno fece il salto da commerciante di verdure a esportatore di navi e televisioni; il padre portò l’azienda a diventare uno dei più importanti gruppi produttori di tecnologia della gamma più alta, dai chip agli smartphone. Il terzo presidente in pectore di Samsung non ha fornito finora molte indicazioni sul settore in cui vorrebbe lasciare il segno, ma si tratta in ogni caso di una sfida per la quale si prepara da decenni.
Copyright “Financial Times” Con il contributo di Song Jung-a Traduzione di Guiomar Parada