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 2012  settembre 28 Venerdì calendario

UFFICIALE

& CERVELLONE –
Sarà facile ironia, ma che un premio chiamato "Humanitarian Award" vada a un tizio che ogni giorno arriva al lavoro in tuta mimetica fa un po’ effetto. Più sorprendente ancora che il premio in questione, consegnato ai primi di giugno al colonnello dell’Esercito statunitense Geoffrey Ling, venga dalla Society for Brain Mapping and Therapeutics: una società scientifica che promuove la ricerca sulle malattie del sistema nervoso. Ma Ling non è un colonnello qualunque. Porta la divisa, e oltre che un soldato è un neurologo di prim’ordine. E quel premio se lo è guadagnato coordinando la ricerca sulle lesioni cerebrali traumatiche all’interno della mitica Darpa (Defense Advanced Research Project Agency), l’agenzia di ricerca scientifica e tecnologica del Dipartimento della Difesa statunitense. Al che uno si chiede: che c’entra il trauma cranico con l’agenzia dei progetti top secret per eccellenza? Con l’agenzia che costruisce satelliti spia, robot soldato, e naturalmente armi supertecnologiche di nuova generazione? La Darpa quelle cose continua a farle, naturalmente. Ma la fine della Guerra Fredda, e più ancora le guerre in Afghanistan e Iraq, hanno cambiato volto alla ricerca militare negli Stati Uniti. Dando sempre più spazio a biologia di base, medicina rigenerativa, nuove tecniche chirurgiche e diagnostiche. Al punto che forse oggi, negli Usa, nessun altro finanzia ricerche altrettanto innovative in questi campi.
«La differenza tra loro e le altre agenzie di finanziamento, come i National Institutes of Health, è che la Darpa finanzia solo la ricerca rivoluzionaria. E lo fa con un’efficienza e un coraggio di rischiare che gli altri non hanno», spiega Ennio Tasciotti, un ricercatore italiano che alla Methodist University di Houston, grazie a fondi della Darpa, sta sviluppando nuovi sistemi di medicina rigenerativa, tra cui uno per curare le fratture con una semplice iniezione. «Loro provano a fare cose che sembrano impossibili, con l’idea che se non ci riescono loro, non ci riusciranno nemmeno cinesi e russi, che è quello che conta». Cioè mantenere il vantaggio della "sorpresa strategica", che è la missione ufficiale della Darpa.
Il nuovo corso della ricerca militare Usa inizia negli anni Novanta durante l’amministrazione Clinton. Quando i generali a stelle e strisce si rendono conto che, con la fine della Guerra Fredda, le grandi minacce alla sicurezza nazionale non arrivano più dall’atomica russa, ma da armi più subdole alla portata di nemici più sfuggenti, come le armi batteriologiche. Alla Darpa iniziano così ad assumere biologi e medici per studiare virus e batteri: per capire quanto sia facile manipolarli in laboratorio e diffonderli nell’ambiente, e per cercare modi di produrre più in fretta vaccini. Ma negli anni Novanta succede anche un’altra cosa. Clinton si rende conto che per affrontare alcune grandi emergenze sanitarie, che pure nulla hanno a che fare con le guerre, i militari possono mettere sul tavolo soldi con una libertà che i "classici" fondi per la ricerca medica non consentirebbero. E così, nel 1993, in risposta alle associazioni di pazienti insoddisfatte di quanto gli Nih facevano per il tumore al seno, Clinton inaugura un programma di "guerra" (in quel caso almeno, era davvero solo una metafora) al tumore al seno affidato al Dipartimento della Difesa. Che da lì in poi mette sul piatto dai 150 ai 250 milioni di dollari l’anno per la ricerca, di base e clinica, su questa malattia.
Quella decisione viene oggi ricordata come un punto di svolta nel rapporto tra militari e scienziati negli Usa. Il resto lo hanno fatto le guerre in Afghanistan e in Iraq, che hanno costretto l’esercito americano a riabituarsi alla guerra "vera", quella sul campo. Quella che rimanda a casa cadaveri, e reduci con traumi permanenti e mutilazioni. La Darpa ha inserito così tra le sue priorità lo sviluppo di nuove tecnologie per la medicina d’urgenza, in grado di portare l’ospedale al paziente quando non si può fare il contrario. Portando innovazioni che serviranno un giorno anche negli ospedali "civili", proprio come oggi tutti usiamo Internet, che per fortuna non ha mai subito il test della guerra nucleare.
La storia del trauma cerebrale, che è valsa a Ling quel premio, è un esempio tipico. Da un decennio almeno, i medici che curano i soldati (in particolare gli artificieri) di ritorno da Afghanistan e Iraq si trovano di fronte strani sintomi, all’inizio quasi impercettibili e poi sempre più pesanti col tempo. Mal di testa, nausea, problemi di udito. Ma anche amnesie, paralisi, demenza, fino a gravi malattie neurodegenerative che normalmente colpiscono persone molto più anziane. Dopo aver negato per anni il problema, un po’ come era avvenuto per la Sindrome della Guerra del Golfo, i vertici dell’esercito Usa hanno infine dovuto ammettere di trovarsi di fronte a una vera emergenza sanitaria (si parla ad oggi di oltre 200 mila casi fra i soldati Usa). Dovuta con tutta evidenza alle violente vibrazioni causate dagli ordigni artigianali improvvisati che sono diventati un marchio di fabbrica di quelle guerre, a cui specie gli artificieri vengono esposti decine di volte all’anno. Cautamente e con molti paletti, l’esercito Usa ha permesso ai ricercatori di alcune Università di accedere alle cartelle cliniche dei veterani, per condurre studi epidemiologici. In più però, ha deciso di andare alle radici del problema con un programma di ricerca di base, per studiare che cosa avviene esattamente al cervello quando è colpito da violente onde d’urto. Un lavoro affidato al Darpa e partito dallo studio dei modelli animali, andando dalla singola cellula all’intero sistema nervoso. La ricerca di Ling e colleghi ha portato a una prima spiegazione fisiologica della lesione cerebrale traumatica, forse dovuta a una reazione biochimica a catena che danneggia le integrine, proteine che hanno un ruolo fondamentale nel tenere assieme i neuroni. E sono in corso i primi test clinici di un esame del sangue in grado di determinare la gravità di un trauma cranico, misurando la concentrazione di alcune proteine i cui valori sembrano salire quando quella reazione a catena si innesca. La morale è che questi strumenti, una volta superate tutte le fasi di sperimentazione clinica, potrebbero migliorare diagnosi e cura delle lesioni cerebrali negli ospedali di tutto il mondo.
Basta poi una scorsa ai programmi finanziati recentemente dalla Darpa per scoprire la loro mano dietro ad alcune delle ricerche mediche più rivoluzionarie degli ultimi anni. Come la notizia, pubblicata da "Nature" lo scorso maggio e rimbalzata su tutti i giornali, di due pazienti paralizzati che riescono a controllare "col pensiero" il movimento di un braccio robotico grazie a un elettrodo impiantato nel cervello. Se la parte clinica era affidata a John Donoghue della Brown University, il progetto era nato proprio dal gruppo di Geoffrey Ling alla Darpa. Si deve ai militari anche una ricerca di base che più di base non si può come Foldit, un gioco on line in cui i partecipanti "giocano" a prevedere la struttura tridimensionale di una proteina in base alla sua sequenza genica (è uno dei problemi fondamentali della biologia molecolare). Lo scorso gennaio la comunità dei giocatori di Foldit si era guadagnata gli allori delle riviste scientifiche per avere risolto un problema che da anni perseguitava i biochimici (per la cronaca, come migliorare a tavolino il design di un enzima usato in laboratorio). Bene, anche Foldit è stato inizialmente sviluppato con fondi del Darpa. E la lista continua con anticorpi, diagnosi precoce di infezioni respiratorie, tecniche per conservare a lungo il sangue per le trasfusioni, nuovi vaccini. Per finire con la tecnica, sviluppato appunto da Tasciotti e Mauro Ferrari a Houston, per curare le fratture sul posto, sostituendo gesso e chiodi con una semplice iniezione. Alla base c’è una plastica biocompatibile della consistenza di un dentifricio, che si inietta sulla frattura e, per effetto del calore corporeo, solidifica ricomponendo i frammenti di osso. Qui comincia il bello, perché la pasta contiene minuscole sfere biodegradabili che nel tempo rilasciano cellule staminali, che a loro volta promuovono la ricrescita del tessuto osseo. Nelle sferette ci sono anche antibiotici per controllare le infezioni e antidolorifici. Mesi di terapia concentrati in una iniezione. I test sugli animali sono andati bene, e Tasciotti spera di arrivare presto ai test clinici sugli umani. «Quello non è più lavoro della Darpa, ma ci aiuteranno comunque a trovare finanziamenti e strutture per proseguire».
Naturalmente, non sempre corre buon sangue tra militari e scienziati. Lo spettro del progetto Manhattan è sempre lì, e lo ha evocato lo scorso aprile un editoriale su "PlosBiology" firmato da Michael Tennison e Jonathan Moreno, che faceva il punto sugli ingenti investimenti della Darpa e della difesa Usa in generale sulle neuroscienze. Qui, accanto a ricerche dagli scopi puramente terapeutici come quelle sul trauma cranico, ce ne sono molte volte a preparare il "soldato del futuro". Per esempio gli studi sull’uso della Tms (stimolazione magnetica transcranica) per migliorare concentrazione, memoria e resistenza al sonno; sull’uso dell’imaging cerebrale come "macchina della verità" negli interrogatori. E la stessa ricerca sulle interfacce cervello-computer da cui è nato il braccio prostetico è in realtà la ricaduta di un progetto a lungo termine per controllare a distanza robot soldati che sostituiscano gli esseri umani sul campo di battaglia. Tanto che Tennison consigliava ai neuroscienziati di «aprire gli occhi» e iniziare a chiedersi seriamente, ogni volta che ricevono fondi dalla Difesa, se e come il loro lavoro non possa finire per minacciare delle vite, anziché salvarle. Una domanda che i fisici nel XX secolo impararono a farsi dopo Hiroshima, e che chi di mestiere fa ricerca medica non può aggirare tanto facilmente.
In ogni caso la Darpa resta un’esperienza unica al mondo. In Europa la ricerca militare esiste eccome , ma fa un lavoro decisamente meno visionario. La European Research Defence Agency, creata nel 2004, coordina la gran parte della ricerca di interesse militare in Europa, gestendo un budget tra i 100 e i 150 milioni di euro l’anno proveniente dagli Stati membri. Soldi destinati per lo più ad aviazione, satelliti, radar di sorveglianza e naturalmente armi. I programmi dell’Eda includono comunque un (piccolo) programma di ricerca biomedica, dedicato soprattutto alla minaccia delle armi batteriologiche e agli effetti delle radiazioni sull’organismo. Ma niente che si avvicini alla "revolutionary research" fatta da quelli come Ling. «In Occidente solo Israele ha qualcosa di paragonabile, e grazie ai fondi dell’esercito hanno fatto ricerche molto interessanti sul sangue artificiale», spiega Tasciotti: «E sicuramente ha qualcosa del genere la Cina. Ma per ovvi motivi non ne sapremo mai nulla».