Michele Monni Da Rawabi, l’Espresso 28/9/2012, 28 settembre 2012
SMART CITY IN PALESTINA
C’è un uomo in Palestina che si è montato la testa. Niente di nuovo fino a qui. Nel corso degli anni questa regione ha prodotto una fitta schiera di fanatici religiosi, statisti, terroristi, combattenti per la libertà, poeti e martiri. Ma quest’uomo ha un sogno fatto di calcestruzzo e pietra intrisi da un misto di aspirazioni nazionalistiche e capitalismo selvaggio. Il suo nome è Bashar al-Masri e il suo sogno si chiama Rawabi, la prima nuova città palestinese della storia.
Qualcuno l’ha definita la città del futuro, una sorta di città 2.0, per il massiccio impiego di nuove tecnologie utilizzate per la sua costruzione. Per altri è semplicemente un ulteriore tentativo da parte dell’establishment palestinese e israeliano di imporre una normalizzazione economica e quindi politica sui Territori.
Unica nel suo genere, Rawabi (colline, in arabo) è situata a circa 10 chilometri da quello che oggi è diventato il centro economico pulsante dei territori, Ramallah, e a poca distanza da Birzeit, sede di una delle università più importanti della Cisgiordania. La sua collocazione non è affatto casuale. Rawabi - sostiene il suo visionario e spregiudicato ideatore - è stata creata per la nuova generazione di professionisti della classe media palestinese che, attirati a Ramallah dal boom economico (una media del 5 per cento di crescita del Pil negli ultimi quattro anni), vogliono scrollarsi di dosso l’atmosfera antiquata e asfittica delle vecchie città palestinesi.
Secondo la brochure ufficiale la nuova città sarà costruita tenendo presenti tutti i dettami dell’urbanistica moderna con speciale riguardo all’ambiente (materiali ecologici), alla connettività (ogni abitazione sarà cablata con fibra ottica) e alla vivibilità (spazi comuni, parchi e trasporto pubblico). Terminata, dovrebbe ospitare piu di 40 mila persone e creare oltre 8 mila nuovi posti di lavoro, la maggior parte dei quali nel settore hi-tech, diventando il più importante centro di innovazione della Cisgiordania.
Il progetto di al-Masri, un cinquantaduenne erede di una delle più ricche famiglie palestinesi con enormi interessi in campo agroalimentare e petrolifero, ha ricevuto la benedizione nel 2009 a Tel Aviv, durante una controversa serata di gala organizzata dalla camera di commercio israelo-palestinese.
Erano presenti al battesimo personaggi del calibro di Tony Blair (già decisivo per la crazione del secondo operatore di telefonia palestinese Watanya), l’allora viceprimo ministro israeliano Silvan Shalom, il sottosegretario agli esteri Danny Ayalon (del partito ultra-nazionalista di destra Yisrael Beiteinu), ex ufficiali dell’esercito israeliano riciclatisi imprenditori e una fitta cordata di affaristi e businessmen palestinesi con strettissimi legami con l’Autorità nazionale palestinese. Tutti insieme sotto l’egida della potentissima agenzia statunitense per il commercio e lo sviluppo.
Proprio la commistione di queste diverse e controverse entità, tenute insieme dal comune denominatore del profitto, ha fatto andare su tutte le furie la parte più intransigente della popolazione palestinese che vede in Rawabi uno strumento per la normalizzazione dell’occupazione israeliana e il frutto maledetto della cosiddetta pace economica, siglata tacitamente dal primo ministro Beniamin Netanyahu e dall’ex membro del Fondo monetario internazionale, oggi primo ministro palestinese e pupillo dell’amministrazione Usa, Salam Fayyad.
Il fatto poi che al-Masri abbia concesso svariati appalti a compagnie israeliane ha fatto scalpore, provocando malcontento anche tra i più moderati cittadini dei Territori. «Non abbiamo scelta», ribatte l’imprenditore palestinese, «le restrizioni imposte dall’occupazione ci impediscono di sviluppare autonomamente Rawabi; cemento, sabbia, acqua ed elettricità sono gli elementi necessari per il proseguimento del progetto, ma sfortunatamente non possono essere reperiti in abbondanza in Cisgiordania». Usama Kahil, rappresentante della federazione dei contractor palestinesi, rimanda al mittente la difesa di al-Masri sostenendo che le imprese edili dei Territori sono state messe fuori dal gioco dallo stesso al-Masri a causa di accordi presi con aziende israeliane. In ogni caso la totalità delle maestranze, circa 800, impiegate a Rawabi, dal semplice manovale al team di architetti, è palestinese, e lo sviluppo del progetto è stato portato avanti con il supporto fondamentale dell’università di Nablus e quella di Birzeit.
«Le prime cinquanta famiglie sono arrivate in agosto al termine del Ramadan», dice un raggiante al-Masri. Il costo del progetto, che è lievitato dai previsti 850 milioni di dollari fino a superare abbondantemente il miliardo, non sembra spaventare il magnate palestinese che in partnership con il fondo di investimento statale del Qatar ha creato la Bayti Real Estate Investment Company, la compagnia che finanzia la costruzione di Rawabi. «I soldi ci sono», prosegue al-Masri: «Mi preoccupano invece i ritardi dovuti all’occupazione e gli attacchi che i miei lavoratori devono subire dai coloni degli insediamenti israeliani. Ci stiamo attrezzando con una recinzione di sicurezza e con un sistema di telecamere a circuito chiuso».
Rawabi è infatti situata a poca distanza dalle colonie israeliane di Ataret e Halamish, insediamenti illegali secondo la legge internazionale, ma essendo costruita su un lembo di territorio definito Area A dagli accordi di Oslo nel 1993, dunque sotto il completo controllo dell’Autorità Palestinese non necessita della supervisione delle autorità israeliane.
Il completamento della città è previsto per la fine del 2018. Oltre 1.500 persone da tutto il mondo hanno già espresso interesse ad acquistare una proprietà e il website che reclamizza il progetto è uno dei più cliccati della regione. I prezzi dovrebbero aggirarsi tra i 60 mila dollari per le abitazioni piu modeste e i 100 mila per le più accessoriate. Una finanziaria col compito di elargire mutui agevolati agli acquirenti palestinesi, è in procinto di essere creata in partnership con l’Autorità nazionale palestinese.
Rimane da capire se Rawabi diventerà un grazioso giocattolo per l’arricchita élite palestinese, da esibire nei salotti bene del jet set mondiale come esempio dell’industriosa e moderna Palestina, o se si trasformerà in simbolo, materiale e visibile, della rinascita di queste travagliate terre. Ovviamente per chi potrà permetterselo.