Riccardo Bocca, l’Espresso 28/9/2012, 28 settembre 2012
TECHETECHEBOOM
Colloquio Con Barbara Scaramucci Di Riccardo Bocca
Uno sterminato archivio. Sempre più utilizzato. Un tesoro in tempi di risparmio e di crisi di idee. Parla il capo di Teche Rai
Sembrava un’impresa impossibile e invece è successo: questa estate, nella fascia televisiva dell’access time (cioè a ridosso della prima serata), il "Techetechetè" di Raiuno ha sistematicamente sconfitto le aspiranti "Veline" di Canale 5. È accaduto, insomma, che un programma basato sui ricordi e i filmati d’archivio, a costo quasi zero, abbia conquistato il pubblico italiano più delle ragazze in corsa per il bancone di "Striscia la notizia". «E c’è un altro dato incredibile», riferisce Barbara Scaramucci, ex direttore dei tg regionali e da tre lustri ai vertici delle Teche di viale Mazzini: «Quando a settembre "Techetechetè" è finito, cedendo il passo ad "Affari tuoi", "Veline" ha iniziato a vincere». Dopodiché è d’obbligo ricordare che infiniti altri programmi, targati Rai, attingono ogni giorno dal milione di ore catodiche racchiuse nello scrigno delle Teche, partendo dalla saga minoliana de "La storia siamo noi", fino a "Quelli che..." e alle affabulazioni di "Lucarelli racconta". Il che produce una domanda obbligata, per Scaramucci: è un sintomo di forza e consapevolezza della propria storia, tanto bianco e nero sparso tra le reti della tv pubblica, o resta l’unica alternativa per un’azienda che ricicla in continuazione gli stessi format?
«Direi, con massima onestà, che è una via di mezzo. Da una parte, non svelo un segreto, si fa gran fatica a elaborare nuovi prodotti. Dall’altra, invece, c’è l’opportunità di valorizzare un archivio che in Europa è secondo soltanto a quello della Bbc. Morale: avanti tutta con la memoria, e con i preziosi punti di share che finora ha garantito».
Giusto per inquadrare la situazione: a quanto ammonta il budget che ogni anno la Rai riserva a una struttura preziosa come le Teche?
«Poco, molto poco. Ma questi, si capisce, sono dati sensibili».
Sensibili tanto da creare imbarazzo?
«Mannò, non voglio scatenare polemiche. La verità, comunque, è che per 365 giorni di Teche, e dei suoi 95 dipendenti, l’azienda spende quanto due prime serate di Raiuno».
Ed è soddisfatta dalla maniera in cui gli autori delle trasmissioni utilizzano i vecchi filmati?
«Anche qui: impossibile sorridere sempre. Ci sono esempi di qualità fantastica, e altri da mani nei capelli».
Un caso virtuoso?
«L’evento, ad agosto su Raitre, di "Tuttinclasse!". Ossia Roberto Vecchioni che, utilizzando materiali d’epoca, ha ricostruito 150 anni della scuola italiana. Pedagogia non soporifera, chiarezza estrema, ampi sprazzi di genialità: tutto applaudibile».
Resta il fatto che i palinsesti della televisione pubblica, al momento, abbondano di acchiappa-ascolti come il "Tale e quale show" di Carlo Conti, dove un gruppo di artisti gioca a imitare colleghi famosi con tanto di video d’antan. Gradisce?
«Piuttosto mi domando, in generale: che senso ha isolare pochi secondi dal repertorio di un cantante, e offrirli nudi e crudi al pubblico di oggi? Il materiale non va buttato con la pala dentro la tv, altrimenti prevarrà sempre l’idea che il passato rappresenti a prescindere la qualità assoluta. Il che è al 100 per cento falso».
Se è per questo, i puristi contestano che i frammenti delle Teche sono bugiardi per definizione, in quanto vittime della manipolazione contemporanea.
«E in parte hanno ragione. Però non ha senso, in assoluto, atteggiarsi a talebani: l’archivio è sinonimo di testimonianza, e deve interagire con la grammatica della modernità. Penso, per dire, a "Una giornata particolare", programma di Rai Storia dove una serie di menti brillanti - da Marco Lodoli a Giuliano Montaldo - analizza vari temi attraverso filmati delle Teche. Anche qui c’è frammentazione, certo, ma serve ad arricchire riflessioni di intellettuali».
Un esperimento felice. Anche se, approdati all’anno 2012, si auspicherebbe un passo avanti della Rai verso l’interazione e l’era di YouTube: non giusto la litania del "C’era una volta".
«Beh, non per forza i due ingredienti devono essere in contrasto. Luigi Gubitosi, nelle prime riunioni da direttore generale, ha auspicato la creazione di un ponte culturale tra passato e futuro. Il discorso di base è che la Rai, nel dopoguerra, ha insegnato la lingua italiana a tanta gente: ora deve alfabetizzarla sul versante tecnologico, garantendo al più presto un’offerta adeguata».
Non è che, in attesa di questo luminoso scenario, tutti pescano dalle sue Teche perché sono gratis?
«Beh, in epoca di vacche magre è comprensibile che prevalga il risparmio. L’importante è che il taglio alle spese non sia un pretesto per la sciatteria».
L’altro pericolo, è che l’ondata vintage esalti il pubblico degli adulti, ma scoraggi a dir poco i giovani.
«E questo non deve verificarsi, per nessuna ragione. Dall’istante in cui la nostalgia diventa un limite, una gabbia, qualunque buona intenzione è destinata al fallimento».
Lo scrittore Walter Siti, a luglio, ha dichiarato che «sarebbe ora di mettersi al servizio delle Teche, invece di servirsene». Snobismo o verità?
«Se ci sono scrittori che intendono contribuire a valorizzare le Teche, e non sono troppo esosi nelle richieste, ben vengano. Forse così potremmo sopperire alla carenza di autori. Partendo da un presupposto: se si ricorre in continuazione alle Teche, è perché il 2012 è meno divertente, affascinante e dinamico del 1962. Un tempo, in televisione e nella società avevamo i Pier Paolo Pasolini, oggi invece ci sono i Niccolò Ammaniti».
Nel frattempo, altri personaggi televisivi, da Bruno Vespa a Piero Angela, interpretano un doppio ruolo: protagonisti sia delle vecchie Teche, sia della stagione Rai in corso. Niente male, come cortocircuito.
«D’altronde perché stupirsi? La Rai, in questo senso, è sintonizzata alla perfezione con il resto del Paese. La classe dirigente, qui come altrove, è compresa tra i 65 e gli 85 anni. E non è un pensiero da rottamatrice, il mio, ma la constatazione di una staticità che pagheremo cara».
Se è per questo, signora Scaramucci, tocca sussurrare con garbo che neanche lei e gli altri vertici Rai siete proprio ragazzini. L’ennesimo paradosso?
«Al contrario: è il tentativo, compiuto da persone che hanno acquisito esperienza sul campo, di spalancare le porte ai giovani. Non vedo l’ora, giuro, di essere assediata da ventenni che propongano programmi per Internet da realizzare con le Teche. Li vorrei irriverenti, entusiasti, spericolati, ma...».
Ma?
«Ma per ora non li vedo, questi ragazzi. O meglio: non ci sono dentro la Rai, dove potrebbero interagire al meglio con chi è venuto prima di loro».
Sarà dunque la strana coppia Tarantola-Gubitosi, a spingere in questa direzione?
«Proveremo tutti assieme a uscire da un periodo che tra cinquant’anni, credo, non verrà rimpianto. In ogni caso, le trasmissioni archiviate in questa fase potranno testimoniare la grande crisi in cui siamo sprofondati. Come dire: le Teche, ancora una volta, riusciranno a far parlare di sé».