Gian Marco Chiocci e Massimo Malpica, il Giornale 26/9/2012, 26 settembre 2012
Vendola salvato dall’arresto - Aveva le sue ragioni Nichi Vendola a chiedere la testa del pm Desirée Digeronimo
Vendola salvato dall’arresto - Aveva le sue ragioni Nichi Vendola a chiedere la testa del pm Desirée Digeronimo. Non solo perché aveva osato indagare su di lui e sulla giunta che porta il suo nome, impelagata in brutti affari di tangenti e concorsi truccati di sanità, ma perché- si scopre soltanto oggi leggendo gli atti della chiusura indagini dei pm di Lecce sulla guerra fra il procuratore di Bari Laudati e l’ex pm Scelsi - voleva chiedere il suo arresto. Ipotesi strutturata su un’informativa dei carabinieri che suggeriva l’iscrizione nel registro degli indagati per concussione del governatore della Puglia. Su quelle carte, la Digeronimo intendeva dunque emettere una misura cautelare, ma un’improvvida (o provvida)fuga di notizie mandò all’aria il progetto: sui giornali finirono nomi degli indagati e ipotesi di reato. Il risultato fu che la battagliera pm venne immediatamente «commissariata » da Laudati, indispettito dalla soffiata alla stampa, e affiancata da altri due colleghi. Ed «era stato poi con questi ultimi scrive il pm di Lecce - che, a dire della Digeronimo, si era manifestata una diversità di orientamento » su Vendola per il quale «in particolare, a differenza dei colleghi, lei riteneva la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza almeno per un episodio di concussione e aveva intenzione di chiedere l’applicazione di una misura cautelare». La questione scottante era stata discussa in numerose riunioni, e Laudati secondo la stessa Digeronimo «non aveva mai sollecitato o richiesto l’archiviazione nei confronti di Vendola», chiedendo solo «che si giungesse a una decisione condivisa ». Tanto basta per «archiviare »l’esposto anonimo che imputava al procuratore capo di aver voluto proteggere il Governatore. Ma la toga salentina rimarca anche come Vendola, il giorno dopo la richiesta di archiviazione, fosse già in possesso del documento che lo «salvava», pur non essendo quella carta mai stata richiesta in copia da nessuno. Come faceva ad averla? Ma dalle carte salta fuori anche che Laudati rischia il processo per aver favorito Tarantini e Berlusconi nella vicenda escort, quando l’ex premier in quell’inchiesta non era nemmeno indagato ( dunque, difficilmente poteva essere «favorito») e quando Tarantini è stato arrestato e perseguito proprio dal capo della Procura barese. L’accusa si fonda su una riunione che Laudati organizzò con Gdf e il pm del filone escort Pino Scelsi due mesi e mezzo prima di insediarsi. Per il procuratore capo era solo un incontro informale di preparazione al lavoro comune, secondo Scelsi invece Laudati disse di essere stato mandato da Alfano (all’epoca Guardasigilli) e raccomandò di «congelare» l’inchiesta fino al suo insediamento, di fatto ostacolandola e danneggiandola. Sul punto, Laudati ha chiesto invano alla Procura di Lecce di essere interrogato. L’altra magagna per il capo degli uffici giudiziari del capoluogo pugliese riguarda invece l’«aliquota» della Gdf a cui Laudati affidò un monitoraggio delle indagini per valutare le «criticità» e interrompere le fughe di notizie fino ad allora continue. Ma per i pm leccesi quelle furono indagini illegittime sui propri pm. L’avviso della Procura di Lecce colpisce anche Scelsi: abuso d’ufficio per aver intercettato «per ripicca» la collega Digeronimo, mettendo sotto controllo il telefono di una sua amica, la D’Aprile, soltanto per spiare la pm. Che, nel corso delle indagini sulla Sanità pugliese, aveva intercettato il fratello medico di Scelsi, Michele, al telefono con il senatore Pd ed ex assessore vendoliano Alberto Tedesco. Stroncata anche l’ipotesi «complotto» ai danni di Scelsi. Per l’ex titolare del fascicolo escort l’intervista in cui la D’Addario parlava di forzature per accusare Berlusconi era parte di un piano per screditarlo. La toga salentina taglia corto: il complotto non esiste. «Nessuno dei fatti esposti da Scelsi ha rilievo penale» e che «tali fatti, quand’anche accertati, non sono significativi di quanto da lui prospettato con una lettura soggettiva, in termini che non possono avere diritto di cittadinanza in sede penale». Altro «richiamo» a Scelsi i colleghi leccesi lo riservano per le fughe di notizie, rispedendo al mittente l’accusa velata a Laudati, reo di «buoni rapporti con la stampa», quando «l’abbondanza di tali rivelazioni- osserva Lecce - si era verificata ben prima dell’insediamento di Laudati». Si scopre, infine, che Scelsi non è rimasto immune al fascino della macchina del fango, ipotizzando ai suoi danni «una diffamazione organizzata e strutturata protrattasi per quasi un biennio». «Congetture e supposizioni non dimostrate», chiosa la Procura, che ironizza su una «considerazione (...) frutto di un’impropria valutazione del ruolo degli organi di informazione, dai quali non possono certo esigersi manifestazioni di consenso a qualsiasi iniziativa del pm e che sono liberi, invece, di manifestare il proprio dissenso e la propria critica: “liberi” anche se rispondano a logiche o interessi di politica, di schieramento, di partito o di potere».