Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  settembre 26 Mercoledì calendario

Vendola salvato dall’arresto - Aveva le sue ragioni Ni­chi Vendola a chiedere la testa del pm Desirée Digeronimo

Vendola salvato dall’arresto - Aveva le sue ragioni Ni­chi Vendola a chiedere la testa del pm Desirée Digeronimo. Non solo perché aveva osato indagare su di lui e sulla giunta che porta il suo no­me, impelagata in brutti affari di tangenti e concorsi truccati di sanità, ma perché- si scopre soltanto oggi leggendo gli atti della chiusura indagini dei pm di Lecce sulla guerra fra il pro­curatore di Bari Laudati e l’ex pm Scelsi - voleva chiedere il suo arresto. Ipotesi strutturata su un’in­formativa dei carabinieri che suggeriva l’iscrizione nel registro degli indagati per concussione del governatore del­la Puglia. Su quelle carte, la Dige­ronimo intendeva dunque emet­tere una misura cautelare, ma un’improvvida (o provvida)fuga di notizie mandò all’aria il pro­getto: sui giornali finirono nomi degli indagati e ipotesi di reato. Il risultato fu che la battagliera pm venne immediatamente «com­missariata » da Laudati, indispet­tito dalla soffiata alla stampa, e af­fiancata da altri due colleghi. Ed «era stato poi con questi ultimi ­scrive il pm di Lecce - che, a dire della Digeronimo, si era manife­stata una diversità di orienta­mento » su Vendola per il quale «in particolare, a differenza dei colleghi, lei riteneva la sussisten­za di gravi indizi di colpevolezza almeno per un episodio di con­cussione e aveva intenzione di chiedere l’applicazione di una misura cautelare». La questione scottante era stata discussa in nu­merose riunioni, e Laudati secon­do la stessa Digeronimo «non aveva mai sollecitato o richiesto l’archiviazione nei confronti di Vendola», chiedendo solo «che si giungesse a una decisione con­divisa ». Tanto basta per «archi­viare »l’esposto anonimo che im­putava al procuratore capo di aver voluto proteggere il Gover­natore. Ma la toga salentina ri­marca anche come Vendola, il giorno dopo la richiesta di archi­viazione, fosse già in possesso del documento che lo «salvava», pur non essendo quella carta mai stata richiesta in copia da nessuno. Come faceva ad aver­la? Ma dalle carte salta fuori an­che che Laudati rischia il proces­so per aver favorito Tarantini e Berlusconi nella vicenda escort, quando l’ex premier in quell’in­chiesta non era nemmeno inda­gato ( dunque, difficilmente pote­va essere «favorito») e quando Ta­rantini è stato arrestato e perse­guito proprio dal capo della Pro­cura barese. L’accusa si fonda su una riunione che Laudati orga­nizzò con Gdf e il pm del filone escort Pino Scelsi due mesi e mez­zo prima di insediarsi. Per il pro­curatore capo era solo un incon­tro informale di preparazione al lavoro comune, secondo Scelsi invece Laudati disse di essere sta­to mandato da Alfano (all’epoca Guardasigilli) e raccomandò di «congelare» l’inchiesta fino al suo insediamento, di fatto osta­colandola e danneggiandola. Sul punto, Laudati ha chiesto in­vano alla Procura di Lecce di esse­re interrogato. L’altra magagna per il capo degli uffici giudiziari del capoluogo pugliese riguarda invece l’«aliquota» della Gdf a cui Laudati affidò un monitorag­gio delle indagini per valutare le «criticità» e interrompere le fu­ghe di notizie fino ad allora conti­nue. Ma per i pm leccesi quelle fu­rono indagini illegittime sui pro­pri pm. L’avviso della Procura di Lec­ce colpisce anche Scelsi: abuso d’ufficio per aver intercettato «per ripicca» la collega Digeroni­mo, mettendo sotto controllo il telefono di una sua amica, la D’Aprile, soltanto per spiare la pm. Che, nel corso delle indagini sulla Sanità pugliese, aveva inter­cettato il fratello medico di Scel­si, Michele, al telefono con il se­natore Pd ed ex assessore vendo­liano Alberto Tedesco. Stronca­ta anche l’ipotesi «complotto» ai danni di Scelsi. Per l’ex titolare del fascicolo escort l’intervista in cui la D’Addario parlava di forza­ture per accusare Berlusconi era parte di un piano per screditarlo. La toga salentina taglia corto: il complotto non esiste. «Nessuno dei fatti esposti da Scelsi ha rilie­vo penale» e che «tali fatti, quan­d’anche accertati, non sono si­gnificativi di quanto da lui pro­spettato con una lettura soggetti­va, in termini che non possono avere diritto di cittadinanza in se­de penale». Altro «richiamo» a Scelsi i colle­ghi leccesi lo riservano per le fu­ghe di notizie, rispedendo al mit­tente l’accusa velata a Laudati, reo di «buoni rapporti con la stampa», quando «l’abbondan­za di tali rivelazioni- osserva Lec­ce - si era verificata ben prima dell’insediamento di Laudati». Si scopre, infine, che Scelsi non è rimasto immune al fascino della macchina del fango, ipotizzan­do ai suoi danni «una diffamazio­ne organizzata e strutturata pro­trattasi per quasi un biennio». «Congetture e supposizioni non dimostrate», chiosa la Procura, che ironizza su una «considera­zione (...) frutto di un’impropria valutazione del ruolo degli orga­ni di informazione, dai quali non possono certo esigersi mani­festazioni di consenso a qualsia­si iniziativa del pm e che sono li­beri, invece, di manifestare il proprio dissenso e la propria cri­tica: “liberi” anche se risponda­no a logiche o interessi di politi­ca, di schieramento, di partito o di potere».