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 2012  settembre 27 Giovedì calendario

IL SOVRAPPREZZO DEL FEDERALISMO INCOMPIUTO

Al conto che l’Italia già paga da anni per avere decentrato le funzioni senza evitare la duplicazione delle strutture rischia di aggiungersi una nuova voce: il costo del federalismo rimasto a metà del guado. L’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione avviata dal Governo precedente è stata messa in stand by da quello in carica. Anziché completare l’emanazione dei decreti attuativi previsti dalla legge delega del 2009, partorita dall’allora ministro leghista Roberto Calderoli, ed eventualmente correggere gli aspetti di quella normativa che lasciavano a desiderare, l’Esecutivo Monti ha preferito interrompere l’attuazione della riforma. Smontandone anche più di una parte.
Si pensi all’Imu che da imposta municipale da avviare nel 2014, con il salva-Italia è diventata statale con un gettito fifty fifty con i Comuni ed è entrata in vigore già da questo anno. Ma lo stesso discorso vale per l’aumento dello 0,33% delle addizionali Irpef che, sempre con il salva-Italia, è scattato dal 2012 senza aspettare il 2013 come prevedeva il Dlgs 68/2011. Tanto più che la crescita di gettito conseguente è finita nelle casse erariali e non in quelle regionali.
Nessuna accelerazione invece è stata messa in campo sui meccanismi a cui la riforma affidava il contenimento della spesa. I costi standard sanitari, che dovrebbero fare risparmiare 5 miliardi l’anno, continueranno a partire dall’anno prossimo, sempreché il confronto tra governatori ed Esecutivo sul nuovo patto per la salute decolli nelle prossime settimane. Senza dimenticare però che quelli previsti per scuola, assistenza e spese in conto capitale del trasporto locale (vale a dire le altre funzioni fondamentali delle Regioni a legislazione vigente) non sono neanche stati abbozzati.
L’esigenza di tenere sotto controllo i conti pubblici dello Stato e raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013, che hanno ispirato il salva-Italia, ha fatto passare in secondo piano uno dei principi cardine del federalismo: il ricorso dei governatori alla leva tributaria solo in caso di mancato contenimento delle uscite e, possibilmente, mettendo la faccia davanti ai propri elettori per le scelte di politica fiscale. Un aspetto non di poco conto ai fini del calcolo della pressione fiscale complessiva. Nei Paesi a federalismo avanzato – come Canada, Stati Uniti, Svizzera o Germania (si veda la tabella a lato) – a un aumento del livello della tassazione locale ha fatto seguito un calo di quella centrale. Ma lo stesso fenomeno si è verificato negli Stati caratterizzati da un profondo decentramento (come la Spagna). In Italia no. Il decentramento, la riforma del titolo V della Costituzione e il federalismo fiscale intervenuti nel frattempo hanno lasciate immutate le proporzioni tra prelievo statale e locale. E il problema non è nuovo se è vero che una stima dell’Ocse del 2009 ci dava al 20esimo posto su 30 quanto a percentuale del gettito tributario degli enti territoriali sul gettito complessivo.
Un contributo alla discussione su questi temi giunge anche da Gennaro Sangiuliano che – con il suo lavoro «Federalismo e modelli di autonomia fiscale», che la Utet giuridica manderà in libreria a ottobre – passa in rassegna le varie esperienze di federalismo e decentramento avviate nel resto del mondo. Ripercorrendone le origini storiche, geografiche ed economiche di ognuna di esse e arrivando a definire il nostro federalismo come «una risposta impropria a una crisi diversa».