Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  settembre 27 Giovedì calendario

FELICE DI STUPIRVI: «IO SONO SUL PODIO CON COPPI E BARTALI»

Felice da 70 anni. Centoquarantatré vittorie in carriera (e altre 94 volte sul podio). Unico italiano ad avere conquistato Giro, Tour e Vuelta. E poi Mondiale, Roubaix, Sanremo, Lombardia e tante altre corse contro avversari che si chiamavano Merckx, Anquetil, Adorni, Poulidor, Ocaña, Motta. Nell’ultima grande età dell’oro della bicicletta, come brillava Gimondi.
Anche nelle celebrazioni per il suo compleanno di sabato prossimo si parla quasi più di Merckx che di lei, le sembra giusto?
«Sì, perché Eddy ha vinto cinque Giri e cinque Tour nei miei anni migliori... Se non avessi trovato lui avrei vinto come Coppi. Però essere stato un suo grande avversario oggi per me è qualcosa di molto gratificante. Dà più valore a tutto quello che ho fatto».
È stato lei l’anti-Merckx più forte?
«Penso di sì, anche se pure Ocaña era un ‘‘duraccio’’. Io ero molto completo, avevo davvero un bel motore diesel».
Da Girardengo a Pantani, da Binda a Bugno, poi Coppi, Bartali, Magni, Moser, Saronni, Adorni, Nencini... Dove lo mettiamo Gimondi in una ipotetica classifica dei grandi campioni azzurri?
«Non so se me lo merito, ma mi vedrei bene sul podio, dietro a Coppi e Bartali. Anche per rispetto degli anziani...».
Ha dei rimpianti?
«Quello più grande: quando è nata la mia secondogenita Federica sono arrivato in ritardo, per colpa del maltempo di rientro dal Giro del Lazio. Se penso che oggi lasciano il Giro d’Italia per assistere a una nascita...».
Come corridore invece, ha qualche rammarico?
«Quando ho vinto l’ultimo Giro a 33 anni mi sono reso conto che potevo gareggiare diversamente, con metà dello sforzo. Se avessi corso così avrei vinto di più, ma senza i miei attacchi sarei stato così popolare per il pubblico?».
Oggi il ciclismo è meno seguito e amato. Le fa male questo?
«Sì, perché come impegno atletico e psicologico, dovrebbe essere considerato almeno alla pari del calcio».
Certo il mondo della bicicletta si è un po’ tirato la zappa sui piedi, non trova?
«Un po’ è vero, ma è assurdo che i ciclisti oggi siano trattati quasi come degli assassini».
Cosa intende?
«I corridori hanno 365 giorni di reperibilità all’anno. Significa che se stasera devo venire a cena a casa sua, devo scriverlo via email all’Uci. Gli altri sportivi fanno gli stessi controlli a sorpresa? Ho qualche dubbio...».
Cosa le piace del ciclismo di oggi?
«I corridori come Contador, che non mollano mai. Al Tour 2011 le ha buscate sul Galibier e il giorno dopo, pronti via, ha ballato la rumba sull’Alpe d’Huez. Lui è uno spagnolo vero, mosso da un orgoglio antico, non come il computer Indurain. E non a caso la Vuelta vinta da Alberto è stata la corsa più divertente del 2012».
Felice, se oggi potesse parlare con una persona che non c’è più, con chi vorrebbe farlo?
«Vorrei rivedere mio padre. Durante la mia carriera non si faceva mai vedere, perché aveva paura di disturbarmi. Anche quando veniva a trovarmi non mi avvertiva e lo trovavo seduto fuori dall’albergo ad aspettarmi. Non esternava mai la gioia quando vincevo, ma io so che in osteria alla sera un bicchiere in più se lo faceva, alla mia salute».
Gimondi presidente della Mercatone Uno di Pantani nel 2001. Una missione impossibile?
«Io ci ho messo buona volontà. Ma Marco ascoltava poche persone e poi faceva di testa sua. Non si può morire così, con tutta la vita davanti. Lo dico con affetto, sia chiaro: meglio vincere di meno e campare di più».
Nibali è un degno erede?
«Un po’ mi assomiglia, è vero. Ma è lontano da me a cronometro. E oggi, con il livellamento che c’è in salita, serve la crono per vincere».
Ma lei giocava a calcio prima di correre in bicicletta?
«Sì ero un’ala, ma non ero un’aquila. Poi è arrivata la bici, grazie anche a mia mamma, la postina di Sedrina che oggi ha 102 anni. Ero diventato il suo vice. Poi ho vinto il Tour...».
Lo conquistò a nemmeno 23 anni. Che ne pensa oggi dei giovani?
«Noi eravamo più autodidatti, credo. E più affamati, perché i tempi erano molto diversi, com’è normale. Se ad esempio prendevi la patente, la macchina te la sognavi per un bel po’. Poi quando vedo mio nipote che finisce un gioco elettronico nel tempo in cui io non ho ancora capito come schiacciare il pulsante, mi viene il dubbio che oggi siano molto più svegli...».
Tra dieci anni, quando suo nipote ne avrà 14 e le chiederà chi era il nonno, cosa gli risponderà?
«Che era un uomo corretto e onesto. Ho fatto anche le corse in bici, ma le cose importanti sono altre. Come la mia Tiziana, una donna favolosa. È stata fondamentale per la mia vita e per la mia carriera. Con lei, campassimo altri cento anni, non riuscirò mai sdebitarmi».
Paolo Tomaselli