Flavia Amabile, la Stampa 27/9/2012, 27 settembre 2012
TUTTI I NUMERI DELL’EMERGENZA SUD
È un ritratto del Mezzogiorno impietosamente realistico quello emerso dalla presentazione del Rapporto Svimez 2012. Si parla di rischio di «desertificazione industriale» e di «segregazione occupazionale», di consumi che non crescono da quattro anni, di una disoccupazione reale che supera il 25%, di giovani donne che in tre casi su quattro non lavorano. Unica eccezione in questo quadro a tinte fosche, la Basilicata, dove tutti i settori sono in crescita, tranne le costruzioni.
Sono cifre drammatiche, che fanno chiedere al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano una politica di rigore, «che deve coinvolgere tutti i ceti sociali, a cominciare dai più abbienti».
E fanno polemizzare il segretario del Pd Pierluigi Bersani con il premier Monti: «Quel famoso spiraglio non c’è ancora».
«C’è un deficit di cittadinanza, a partire dalla giustizia, che si colma migliorando la qualità dei servizi», denuncia il ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca. Adriano Giannola, presidente dello Svimez chiede un «rilancio della politica industriale» con «il Mezzogiorno visto come un’opportunità per tutto il sistema. E se si vuole ragionare di ripresa, occorre ripartire dal Sud».
Alessandro Laterza, vicepresidente di Confindustria, sottolinea che «le misure poste in essere dai governi fin dall’estate scorsa debbono essere rese operative».
Confagricolt ura incassa il risultato positivo dei dipendenti del mondo dell’agricoltura in crescita, nonostante la crisi, e pone l’accento su un migliore utilizzo delle opportunità che esistono anche grazie alle politiche europee di sviluppo rurale. La Cisl spedisce una copia del Rapporto a tutti i candidati alla presidenza della Regione Sicilia. «Non è esagerato oggi parlare di vera e propria segregazione occupazionale delle donne, che nel Mezzogiorno scontano una precarietà lavorativa maggiore sia nel confronto con i maschi del Sud sia con le donne del resto del Paese», spiega il rapporto.
«Se da un lato la quota di donne meridionali occupate con un contratto a tempo parziale (27,3%) è inferiore di quasi 3 punti rispetto a quella del Centro-Nord (29,9%), dall’altro l’aspetto più allarmante è che il 67,6% di queste lavora part-time, perchè non ha trovato un lavoro a tempo pieno».
Dal 2007 al 2011, l’industria al Sud ha perso 147 mila unità, nel 2011 i pendolari di lungo raggio sono stati quasi 1 4 0 mila (+4,3%), dei quali 39 mila sono laureati.
In 10 anni, dal 2000 al 2010, oltre un milione e 350 mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. A livello locale – sottolinea l’associazione – le perdite più forti si sono registrate a Napoli (-115 mila); Palermo (-20 mila); Bari (-16 mila) e Catania (-11 mila). Ad attrarre i meridionali sono Roma (+73 mila); Milano (+57 mila); Bologna (+24mila); Parma (+14 mila).
La grande fuga si dirige soprattutto verso la Lombardia, che ha accolto nel 2010 in media quasi un migrante su quattro, seguita dall’Emilia Romagna. Nello stesso decennio 200-2010, il Pil procapite meridionale è passato dal 56,1% di quello del settentrione al 57,7%. Un lieve recupero, ma «continuando così - osserva Svimez nel rapporto - ci vorrebbero circa 400 anni per recuperare lo svantaggio che separa il Sud dal Nord».