Carlo Bonini, la Repubblica 27/9/2012, 27 settembre 2012
IL SISTEMA MALATO DEGLI EX MISSINI AL POTERE: DALL’EUR ALL’ENAV GLI AFFARI SOTTO IL CAMPIDOGLIO
Quasi fosse un esorcismo, Gianni Alemanno minimizza l’affare Mancini. «È una storia vecchia - dice - già uscita sui giornali un anno fa. Adesso sta semplicemente giungendo a conclusione il lavoro della magistratura... ». Ma - come sanno anche le pietre in Campidoglio, come sa bene lo stesso sindaco e come documenta il ventaglio di inchieste della Procura che, nell’ultimo anno e mezzo, hanno investito le municipalizzate (Atac, Ama), gli appalti Enav, funzionari del comune (la corruzione per la sistemazione dei punti verde), la faccenda è tutt’altro che «in via di conclusione» (piuttosto è al suo
incipit).
Soprattutto, torna a documentare di quale grana sia fatto il cuore nero
del Sistema Alemanno e la classe dirigente di “manager” (si fa per dire) che in questi anni ha occupato fino all’ultimo stra-puntino dei centri di spesa dell’Amministrazione.
Riccardo Mancini non è infatti
un manager di Alemanno. Mancini «è Alemanno». Gli finanzia la campagna elettorale da perdente nel 2006 ed è il suo tesoriere nel 2008, quando l’assalto al Campidoglio riesce. Dal 2009, è la sua voce e i suoi occhi in «Eur spa», la colossale macchina di appalti, potere, consenso, clientele, di cui è stato riconfermato nel giugno scorso amministratore delegato e che sta ridisegnando la
geografia urbana a ovest di Roma. Una spa partecipata per il 90 per cento dal Tesoro e per il resto dal Campidoglio, con un fatturato da 645 milioni di euro, che amministra un patrimonio immobiliare da 1 miliardo e mezzo di euro nel quartiere Eur (dal Colosseo quadrato, al centro Congressi di Adalberto Libera, al Palazzo dello sport di Nervi, alla nuvola di Fuksas ancora in costruzione,
al Velodromo, al grande Acquario del Laghetto a 4 parchi per 63 ettari di verde).
Ma Riccardo Mancini, soprattutto, è un «camerata». È l’ex militante di Avanguardia Nazionale (un anno e 8 mesi di condanna per armi) che si forma agli insegnamenti di Stefano Delle Chiaie e Adriano Tilgher (oggi assunto come collaboratore di segreteria nell’assessorato alla
casa della giunta di Renata Polverini) e che, trent’anni dopo si fa garante, con la presa del Comune, di un network di pregiudicati per reati politici che, con Alemanno, ha l’occasione straordinaria di trasformare un antico sistema di relazioni criminali in una rete di affari. Per giunta, senza necessità di alcun lavacro politico, camuffati come sono quegli “ex” in quell’area che viene genericamente indicata come “destra sociale”.
Non è un caso che nell’inchiesta sul mezzo milione di euro per le tangenti sui filobus, si inciampi in due nomi che della rete sono
stati in questi anni snodi importanti e che della tangente a Mancini sono stati - per quel che la Procura ha sin qui accertato garanti e strumento. Due neofascisti: il facilitatore di Finmeccanica Lorenzo Cola e il suo commercialista Marco Iannilli (sono loro infatti incaricati di creare e movimentare la “provvista” che la Breda deve versare). E non è un caso che l’uno e l’altro siano sta-
ti i grandi elemosinieri degli appalti Enav, altra storica greppia per gli appetiti neri, per i quali hanno collaudato un sistema di false fatturazioni e società offshore in quel di Cipro (dove, guarda un po’, transita la tangente per Mancini). Né infine appare irrilevante che Iannilli e Mancini abbiano uno stesso referente. Un nome pesante dell’eversione nera. L’ex Nar Massimo Carminati.
Carminati è il convitato di pietra nell’inchiesta sugli appalti Enav. Carminati è garante e referente dei tanti ex camerati che si sono fatti manager capitolini. O
di avventurieri come Gennaro Mokbel, altro neofascista che tenta di entrare nel gioco grande di Finmeccanica. Ma Carminati è soprattutto l’uomo che alla fine degli anni ’70 è nella batteria di rapinatori neofascisti guidata da Giuseppe Dimitri (altro ex avanguardista), consigliere politico di Alemanno fino alla sua scomparsa, nella primavera del 2006. Il primo aprile di quell’anno,
Alemanno, allora ministro dell’agricoltura, è ai funerali di Dimitri. E, come racconta nel suo libro inchiesta Daniele Autieri
(«AleMagno Imperatore di Roma »
), pronuncia parole che definiscono un programma e un giuramento per una rete. «Ho conosciuto tardi Peppe - esordisce Alemanno - ci siamo intravisti a Rebibbia, quando entrambi eravamo detenuti, ma non ci eravamo praticamente parlati (...). Tutti noi siamo sempre rimasti legati a Peppe. E se siamo qui, ciò significa che ci è venuti a cercare uno a uno. Per parlarci, convincerci. Come sapeva fare lui. E ci è riuscito. Di tutto questo, di questo insegnamento, di questo
esempio, gli saremo sempre grati ». Ad ascoltare il futuro sindaco di Roma e ad unirsi al corteo che accompagna il feretro di Dimitri all’esterno della chiesa di santa Maria della Consolazione, sono Francesco Bianco (Alemanno lo assumerà all’Atac), Enzo Piso, oggi deputato e coordinatore del Pdl del Lazio, nonché partecipe della faida che ha spaccato il partito alla Regione (è nel suo ufficio alla Camera che - ha raccontato Fiorito a verbale ai pm di Viterbo - vengono fotocopiate le ricevute che devono devastare la reputazione del consigliere regionale Francesco Battistoni) e, appunto, Riccardo Mancini.
Si capisce dunque il perché
delle parole con cui Alemanno oggi minimizza l’annuncio di tempesta che l’inchiesta su Mancini pure promette. I cattivi presagi che agita. Perché se non è detto che l’ex camerata possa diventare il suo “Robin”, come Fiorito è stato il “batman” della Polverini, è altrettanto vero che l’amministratore delegato di “Eur spa” può essere la porta di accesso alla rete “nera”, al Sistema che ha sostenuto Alemanno e che ora lo può soffocare. Intervistato nel maggio del 2011 dal nostro Corrado Zunino per un’inchiesta su “Eur spa”, Mancini ha mostrato, al di là della facile fisiognomica che pure sembrerebbe sovrapporlo a Fiorito,
quale diversità ci sia tra l’anima fascista ciociara, tra i “federali al sugo” che si sono mangiati la Regione e il marchio cupo, minaccioso degli ex mazzieri che si sono impadroniti di Roma. «Non mi vergogno del mio passato. Proprio, no - disse Mancini a
Repubblica
- Io non mi sono dimenticato niente del mio passato. Nulla. Ho avuto dei processi per Avanguardia nazionale, ma tutti chiusi. E in fondo sono di estrazione socialista. Sono per il popolo e sono statalista». A 185 mila euro lordi l’anno, diceva lui allora. A 288.750, ha accertato la Corte dei Conti esaminando il
bilancio dell’Ente di cui è amministratore delegato. Dove la generosità sembra di casa. Dove le retribuzioni dei manager sono salite del 25 per cento (da 65 mila a 79 mila) e le assunzioni sono lievitate del 30 (da 85 a 111). Tra loro, collocato nei quadri dirigenziali, anche un ex tabaccaio dell’Eur. Con una sola competenza. E’ un ex camerata.