Riccardo Ruggeri, Italia Oggi 27/9/2012, 27 settembre 2012
BRAVI, DELLA VALLE E MARCHIONNE
Dopo l’incontro di thai boxe fra Sergio Marchionne e Diego Della Valle noi italiani comuni, di normale intelligenza, di medio buon senso, dobbiamo ammetterlo: raramente uno scontro fra due vip della «classe dominante» è stato così utile e chiarificatore per i cittadini, se vogliamo enfatizzare possiamo anche aggiungere: «nulla sarà mai più come prima».
E non solo è stato utile per noi, ma anche per loro. Vediamo perché.
Gli italiani hanno finalmente rimosso alcuni luoghi comuni. «Terra, Mare, Cielo» non è più sinonimo di Fiat (nel tempo aveva già perso il «mare», poi il cielo», ora perderà la «terra».
È pure caduta un’altra similitudine storica (peccato, era un mio copyright): «Fiat nell’immaginario collettivo è la versione civile dell’Arma dei Carabinieri». Non ci resta che tenerci stretta almeno l’Arma. Infine: «Ciò che è utile alla Fiat è utile all’Italia». I primi due erano veri e avevano un loro allure di nobiltà, almeno fino alla fine degli anni ’60, il terzo era un falso d’autore, fin dalla fine degli anni ’80.
Ora il rapporto Marchionne-Italiani si è definitivamente consumato, non hanno più nulla da chiedergli, sono delusi, ma riconoscono che dovranno essergli grati, non tanto per Fiat Auto, quanto per aver innovato nelle relazioni industriali.
Fabbrica Italia è stata una grande illusione che non ci meritavamo, però riconosciamolo, ben prima avevamo creduto alle promesse di Silvio Berlusconi di trasformarci in un paese liberale, all’Europa salvifica di Carlo Azeglio Ciampi e Romano Prodi, per cui dobbiamo ammetterlo: siamo un popolo di creduloni, e le élite se ne approfittano.
Ormai tutto è chiaro: Fiat Auto è in realtà una qualsiasi azienda straniera, che ragiona in inglese, fa i comunicati in italiano, infelici battute in torinese, che deciderà, com’è giusto, a seconda delle sue esigenze, con quanti stabilimenti «veri» rimanere in Italia (la logica direbbe uno più Sevel), e come tale dobbiamo riconoscerla.
Il problema sarà del Governo, oggi ilare perché «Fiat nulla ci ha chiesto in termini finanziari e nulla comunque le avremmo dato».
Un suggerimento amichevole. Ora il caso Fiat entrerà nel solito cono d’ombra, ma sotto la cenere coverà la penultima mossa, per cui il Governo cominci i «compiti a casa» per prepararsi all’esame di stato del 2013 col classico «tema d’italiano». Una prova che sarà molto difficile da superare, quando Fiat Auto potrebbe dire: «Il mercato resta fiacco, impossibile fare investimenti, impossibile trasformare Mirafiori in Kragujevac, è finita la cassa integrazione straordinaria, il dilemma si è fatto secco: «cassa in deroga» (a carico della fiscalità generale) o mobilità? Non sarà possibile sfuggirvi.
Sergio Marchionne, a parte la brutta scivolata su Fabbrica Italia, si è rivelato un grande personaggio, come «facilitatore» di problemi. Non si è mai distratto, né a Detroit, né a Torino, la barra l’ha sempre tenuta dritta nell’interesse dei suoi azionisti (Barack Obama e Agnelli), certo è stato più facile in Usa, ove Governo e azionista erano la stessa cosa, più difficile in Italia, comunque mai si è fatto intenerire né dal governo, né dai sindaci, né dai sindacati amici, pestando duro sugli avversari, sempre trattati da nemici mortali.
Marchionne con implacabile chiarezza ha anche rimosso il tema Alfa Romeo-VW sul quale, lo confesso, anch’io ero scivolato, seguendo l’istinto dell’italianità e la mia solidarietà a prescindere alla classe operaia, sentimentalismi fuori luogo nel business.
Nella sostanza, ha ragione Marchionne, nessuna «distrazione» è ammessa nella cavalcata verso l’Ipo (quotazione a Wall Street). Dopo l’Ipo se VW sarà ancora interessata andrà a bussare alla porta della Chrysler e si vedrà: di certo il marchio da solo vale di più senza, come dicono i macellai torinesi, la «giunta» (l’obbligo di farsi carico di uno stabilimento italiano).
Diego Della Valle con la sua storia personale ha dimostrato l’eccellenza del sistema meritocratico-capitalistico, e quali benefici possa portare l’intelligenza e l’impegno totale nel proprio lavoro, uno solo nella vita, (altro che il saltabeccare frenetico dei supermanager, oltretutto quasi mai api, più spesso calabroni).
L’ingenuo comunicato Fiat che «spegneva» Fabbrica Italia gli ha offerto il destro per scagliare alcuni micidiali uppercut. Dobbiamo essergli grati, ha avuto il coraggio di dare la spallata finale al «salotto buono» (in realtà pessimo), al linguaggio felpato che l’ha sempre contraddistinto, alle storiche, oscure trattative «Stato-Salotto» (con l’assenza del rischio-procure) dove il capitalismo d’accatto e di relazione della nostra classe dominante è cresciuto, bacato e supponente. Riuscendo a trasferirci un’immagine di Marchionne «uomo nero» e degli Agnelli-Elkann «famiglia cuscuta», si è ritagliato un ruolo «aperto» a ogni possibile configurazione successiva, dalla politica a leader del made in Italy. Nel momento in cui le leadership nostrane credibili sono ai minimi storici, una straordinaria posizione di forza.
Comunque, come cittadino non suddito, un grazie sincero sia a Sergio Marchionne che a Diego Della Valle.