Roberto Giardina, Italia Oggi 27/9/2012, 27 settembre 2012
GERMANIA, L’ALFA ROMEO È UN MUST
La Volkswagen vorrebbe comprare l’Alfa Romeo, con smacco di Marchionne? Ignoro se sia vero, non sono un esperto d’auto, ma so che da sempre i tedeschi spasimano per l’Alfa, anche se non hanno mai risparmiato battute cattive. Secondo loro la R del marchio stava per Rost, ruggine. Le vetture con il biscione non avrebbero sopportato l’inverno e la neve teutonica.
Però se le compravano. Nei lontani anni 70 i tedeschi che amavano le auto veloci, e che non si potevano permettere Ferrari o Porsche, erano divisi in due partiti: i fan della Bmw e quelli, in minoranza ma non meno appassionati, dell’Alfa.
Andreas Baader, il terrorista, entrò in clandestinità su un’Alfa Romeo, per la cronaca su una Giulietta GT color argento, naturalmente rubata. Era un pupillo di Guenther Grass, che lo trasformò nel protagonista del romanzo Anestesia totale: un giovane decide di bruciare vivo un bassotto innanzi alle signore che mangiano dolci sedute al Cafè Kranzler di Berlino, per protestare contro il napalm usato in Vietnam. Andreas diede sul serio alle fiamme un grande magazzino a Francoforte (di notte, per evitare vittime) e finì in galera. Ma gli diedero il permesso di studiare. Astrid Proll lo liberò dalla biblioteca universitaria e i due fuggirono in Alfa, considerata da Baader l’auto più sicura e veloce. E lui se ne intendeva. Il terrorismo in Germania cominciò così, nel maggio del 1970.
Per la verità, i terroristi usavano più frequentemente le Bmw, tanto che la sigla della casa di Monaco venne tradotta in Baader-Meinhof Wagen, l’auto del gruppo. Ma solo perché erano più diffuse, e quindi davano meno nell’occhio se rubate. Andreas, criticato anche dai compagni perché guidava troppo veloce, preferiva le auto italiane. Secondo lui andavano paragonate alle Porsche e non alle Bmw. Il 22 dicembre del 1971 ancora un’Alfa entrò in scena: questa volta una 1.750 berlina, in rosso fiammante, sempre rubata, e usata per un colpo in banca a Kaiserslautern, dove venne ucciso un poliziotto.
Non ho mai avuto il mito delle auto, ma anch’io ho posseduto un’Alfa come quella di Astrid; anzi, meglio, una coupé Bertone 2000: la comprai usata per un milione di lire, nel 1982, già vecchia di dieci anni. Consumava quanto un aereo, mi ci affezionai, la portai in Germania, non si arrugginì come prevedevano i maligni tedeschi. Superò sempre i severi collaudi biennali, nonostante i tecnici cercassero sempre di trovare magagne. La guidai perfino attraverso la Germania Est, negli ultimi giorni prima della fine. A Potsdam vidi letteralmente due giovani inginocchiati davanti alla mia old car. Un poliziotto, uno della terribile dittatura rossa, mi fermò, ma solo per parlare con me del film Les choses de la vie, in italiano L’amante, dove Michel Piccoli guidava un’auto come la mia, e incerto tra Lea Massari e Romy Schneider, finisce fuori strada. Ma non era colpa dell’Alfa Romeo: la mia andò avanti nonostante la benzina comunista, e tornò all’Ovest priva dei marchi rubati da qualche ragazzino. Erano il simbolo del nostro paradiso capitalista, allora ancora al di là del muro. Solo per alcuni giorni, ma nessuno lo aveva previsto. E oggi? I tedeschi sognano ancora l’Alfa dei vecchi tempi, ormai made by Fiat, come la Rolls-Royce, mito dei filo britannici, è made by Bmw, e la Jaguar ha un motore Daimler. Anche la Lancia veniva ammirata dagli intenditori teutonici, ma nei giorni scorsi ho visto la foto di un nuovo modello (non ricordo quale) su un giornale: bella, era il commento, ma è una Chrysler rivestita a Torino. Non so che farebbe la Volkswagen se comprasse la gloriosa casa milanese. Quelli di Wolfsburg controllano già la Porsche e l’Audi, e di solito lasciano autonomia alle altre case. Un’Alfa made by Germany? Io non la vedrei come una sconfitta, piuttosto come un complimento. Ma sono un nostalgico, non un esperto.