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 2012  settembre 22 Sabato calendario

GURU, MUSE E DROGHE: IL COCKTAIL DEI FAB FOUR

Marinare la scuola fu una buona idea. Il sedicenne Paul McCartney non poteva sapere che il motivetto, strimpellato svagata-mente in una mattina del 1958, qualche anno dopo avrebbe cambiato la sua vita. Il 5 ottobre 1962, cinquant’anni fa, usciva in Gran Bretagna il primo singolo dei Beatles, quella Love Me Do scritta invece di andare a lezione e incisa nel settembre del 1962 negli Abbey Road Studios di Londra. Pezzo a doppia firma come quasi tutte le loro canzoni (i primi tre singoli uscirono nella dizione “McCartney-Lennon” e l’inversione dei nomi avvenne con il quarto, She loves you), andò subito in classifica. Anche se c’è chi sostiene che il loro primo manager, Brian Epstein, avesse comprato 10mila copie del singolo per “gonfiare i dati”. Seguirono altri 210 brani, raccontati nel volume Il libro bianco dei Beatles – La storia e le storie di tutte le canzoni, del critico musicale Franco Zanetti, uscito per Giunti Editore. Un libro di aneddoti accurati, dedicato a ogni singolo titolo beatlesiano. Perché dei baronetti che prima di incontrare la Regina si fecero le canne a Buckingham Palace si sa quasi tutto: il divorzio miliardario di Paul che una leggenda vuole morto nel 1966, i tormenti di John e il grande amore per Yoko Ono, l’alcolismo dell’insospettabile Ringo e il misticismo del troppo sottovalutato George. Tornare alle canzoni per festeggiarli (il 26 settembre esce al cinema, in versione restaurata, il loro Magical Mystery Tour) serve a mettere in primo piano la musica prima dei personaggi.
Harrison ha da guadagnarci. Il chitarrista è autore della seconda canzone più coverizzata della band dopo Yesterday (che con oltre duemila imitazioni è il pezzo più replicato della storia della musica), Something. Quella che per Lennon era “la miglior canzone di Abbey Road” venne composta durante una pausa in sala d’incisione, il 19 settembre 1968. Harrison improvvisò al pianoforte una melodia pensando prima alla voce di Ray Charles, poi a quella di Joe Cocker (entrambi ne incideranno due versioni, qualche anno dopo) ma per l’allora moglie di George, Pattie Boyd, il marito scrisse la canzone pensando a lei. Sta di fatto che il pezzo – 12 violini, 4 viole e altrettanti violoncelli – venne elaborato per mesi e Harrison si logorò a scrivere e riscrivere l’assolo di chitarra. Poi Patty fuggì con Eric Clapton.
HARRISON introdusse il sitar nei pezzi. Ma la nota Norvegian Wood ne fa un uso lieve se paragonata aLove you to, interamente eseguita con il diabolico strumento orientale. In un’intervista nel 1966, Harrison affermò: “La musica indiana è il futuro”. Sbagliava. Ma nell’ex colonia di Sua Maestà, i quattro andavano spesso: si erano fissati con la meditazione trascendentale di Maharishi Yogi, il santone che piaceva alle star (Mia Farrow andava con i Fab Four e tra i suoi seguaci ci sono ancora David Lynch e Clint Eastwood), e trascorrevano settimane nel suo “eremo” a Rishikesh. Lennon se ne distaccò presto. Difficile pensare però che la Sadie tanto sexy che si prende gioco di tutti fosse proprio il santone. Che secondo Lennon, oltre a essere un cialtrone, ci avrebbe provato con un’americana. “Il Maharaishi è un vecchio schifoso – disse Lennon a McCartney facendo le valigie – non possiamo star dietro a uno così”. E scrisse “Maharaishi, what have you done?”. Harrison gli consigliò di metter in metafora l’episodio, usando un nome finto. E nacque Sexy Sadie. Dear Prudence è dedicato alla sorella della Farrow conosciuta a Rishikesh. “Prudence esgerò con la meditazione – spiegò la moglie di Harrison – Restò due settimane in trance nella sua stanza”. Secondo l’ormai “eretico” Lennon, “stava cercando di raggiungere Dio più in fretta degli altri. Era la gara del Maharishi: chi diventerà cosmico per primo?”. Lucy era invece una compagna di asilo di Julian Lennon, che un giorno tornò a casa con un disegno in mano. Lo diede al papà e gli disse che era “Lucy nel cielo con i diamanti” (Lucy in the sky with diamonds ), la sua fidanzatina. Lennon ha sempre giurato di non essersi accorto che le iniziali corrispondevano all’acronimo Lsd, che per tutti è il senso segreto della psichedelica canzone.
UN’ALTRA Lucy, ma Van Pelt (amica-nemica di Charlie Brown) ispira il titolo di Happiness is a warm gun, “la felicità è una pistola calda”. Lei dice abbracciando Snoopy che “la felicità è un cucciolo caldo”. Lennon inserì un sottotesto sessuale fin dalla prima strofa: “She’s not a girl who misses much”, come dire che una è sveglia. Come quelle che alla fine degli anni ’50 si incrociavano alle feste della School of Arts, dove McCartney si metteva in un angolo con la chitarra, con un maglione a collo alto dall’aria vagamente francese perché le fanciulle chiedessero: “Chi è quello straniero?”. La melodia per affascinare le studentesse diventa la base di Michelle, nome di fantasia che dà il titolo alla canzone del 1965. E se Lennon giudica “orribile” la sua And your bird can sing contenuta in Re-
Quattro anni
volver, nello stesso disco mette in musica la risposta a una giornalista che all’inizio del 1966 gli chiese: “Come vive un Beatles?”. “Può dormire un tempo indefinito, probabilmente è la persona più pigra d’Inghilterra”, fu la risposta. La frase ispirò I’m only sleeping, inno all’indolenza.
PAUL PENSAVA al piccolo Julian quando, andando a trovare lui e Cynthia – che Lennon aveva lasciato per Yoko Ono – canticchiava “Hey Jules, don’t be afraid”... messaggio ottimistico per il bambino dopo la separazione dei genitori. McCartney pensava alla mamma morta scrivendo il testo di Yesterday. Lennon detestava il brano: “Nei ristoranti la suonano sempre. Io e Yoko abbiamo persino autografato lo strumento a un violinista che girava per i tavoli: non siamo riusciti a spiegargli che la canzone non l’ho scritta io... se leggi il testo per intero ti rendi conto che non dice niente”. La frase è del 1980. Dieci anni e molta acredine dopo la separazione, lo stesso della morte di Lennon. Ma questa è un’altra canzone.