Antonello Caporale, il Fatto Quotidiano 22/9/2012, 22 settembre 2012
CASSINO E MELFI SOTTO IL TACCO DI MARCHIONNE
Sono le 14 di giovedì, l’ora del cambio turno. Escono a capo chino gli operai, hanno fretta. Mustafà ce l’aveva garantito. È da 15 anni in Italia, e sono 15 anni che tutti i giorni porta il suo banchetto ambulante davanti ai cancelli: accendini, batterie per telefoni, magliette da calcio. “Sono ossessionati dalla perdita del lavoro e non parlano volentieri. Filano a casa”. Qualcuno però arresta il passo. Benedetto ha l’età della pensione. Team manager, guida un gruppo di operai al montaggio: “Secondo me chiude prima Melfi, poi veniamo noi di Cassino e poi Pomigliano. Tocca a loro perché hanno un solo modello in produzione e oramai la Punto non la vuole più nessuno, è vecchia quanto il cucco. Noi qui ne facciamo tre di modelli, e qualcosa vorrà pur dire”.
Chiuso per cassa
Duecento chilometri più a sud, ecco Melfi. La fabbrica oggi è chiusa, cassa integrazione. Una distesa di Punto nei parcheggi. Rosolano al sole. Nel-l’aria si forma un arcobaleno di odori: la zona industriale si apre infatti a nord con un inceneritore. Lo portò Romiti, lo costruì casa Agnelli anche con i sussidi pubblici prima di venderlo ai francesi. Il lato sud è invece chiuso dai grandi stabilimenti Barilla: producono merendine dal 1982. La famiglia di Parma utilizzò i finanziamenti a fondo perduto della legislazione speciale per lo sviluppo delle aree colpite dal sisma. Hanno preso i soldi ma non sono scappati. Sono qui che sfornano tranci al cioccolato e cornetti ripieni di marmellate. Le linee di produzione vanno a pieno giro e si attende un loro ampliamento. Pasta da forno di qua, monnezza di là.
Il cimitero delle auto
In mezzo, come detto, il piazzale. Zeppo di lamiere, ma operai zero. Un cane randagio, il casellante all’ingresso, due manutentori in uscita. Poi le mosche. I campi sono vicini, il raduno di insetti è l’unico movimento sensibile agli occhi. Ci raggiunge Aldo, delegato Fiom: “Siamo in cassa integrazione e mi sa che ci resteremo. L’anno scorso Marchionne però venne qui a ritirare un assegno di 14 milioni di euro della regione Basilicata per aprire un centro di ricerca sull’ergonomica e i nuovi modelli di organizzazione del lavoro. Penso che qualcosa farà finta di fare con quei soldi. Cassino non sta messo affatto bene, certo che nemmeno noi però…”.
La riffa sul futuro
A chi tocca? “La chiusura della fabbrica sarebbe come un atto di terrorismo nei confronti di Melfi”, decreta il sindaco della città, una dei quattro comuni lucani che non ha subito un calo demografico. Grazie alla Fiat si vive decentemente. A Melfi non si paga l’Imu, per esempio. “Il 95 per cento dei proprietari di prima casa ne è esente”. C’era il sole in alto nel cielo a Melfi. Ora solo nuvoloni scuri, densi di pioggia. La Fiat sembra trasformata nella fabbrica della cassa integrazione, e le paure sflilano in divisa. Sono operai ma sembrano i protagonisti di un reality show: chi nominiamo oggi? Chi va fuori dalla casa del grande fratello?
Affare Polonia e Serbia
Torniamo a Cassino. “Marchionne fa la 500 in Polonia e la 500L, la city lounge, più lunga e adatta per la famiglia in Serbia. I due unici modelli che ritiene di vendere li fabbrica all’estero per guadagnare dieci volte di più. Un operaio serbo gli costa 320 euro al mese, noi quasi 1.300. La scelta l’ha fatta e ci porterà alla rovina”, dice Piero, vent’anni di fabbrica e due figli all’università. “Non urlare che ti rovini tu”, gli fa un compagno tirandolo per la giacca.
Clienti insoddisfatti
La paura li fa coprire il volto, li convince alla prudenza, li obbliga alla riservatezza. Abbiamo una telecamera: “Spegnila e ti dico una cosa”. Spegniamo. “Qui a Cassino arrivano circa seimila reclami al mese. Sono clienti insoddisfatti che lamentano difetti grossolani. Ma lo so io perché. I capi ti trasferiscono senza motivo da un reparto all’altro. Sei ai carrelli? Ti mandano al montaggio senza dirti una parola né farti un’ora di formazione. Ti fanno montare il proiettore, e magari non l’hai mai fatto. Tu sbagli una volta. Lettera di ammonizione. Alla terza ti cacciano. Tempo fa iniziarono ad arrivare reclami sulla difficoltà di inserire le marce. Alcuni disgraziati che avevano acquistato una nostra Bravo non riuscivano a mettere la terza dopo la seconda. E s’incazzarono. Sai cos’era successo? L’asta del cambio si scalzava, fuoriusciva dalla sua sede. E perché era successo? Perché l’addetto al cambio in quella produzione era un neofita, trasferito da un reparto diverso, al quale non avevano spiegato nemmeno come diavolo si dovesse impugnare il cambio per montarlo. Lui lo prendeva dalla testa e procurava il guaio. Dimmi tu allora come puoi immaginare di vendere le auto se tratti i tuoi clienti in questo modo schifoso”.
Come soldati
“Qui a Melfi si sono dimessi quasi mille operai negli anni immediatamente successivi all’apertura. L’aria era da caserma, ci trattavano come soldatini. Turni massacranti e silenzio . Non si fiatava, non si poteva obiettare alcunché. Lavora e basta, stronzo di operaio. I più deboli, o coloro che avevano un’alternativa, hanno preso cappello e salutato. Ci abbiamo impiegato anni per formare una coscienza e farci trattare da operai, al modo di tutti gli altri operai. Col tempo ci siamo organizzati, e alla fine abbiamo fatto la nostra lotta di liberazione: anno 2004, ventuno giorni di fila di sciopero”. Emanuele De Nicola è il segretario regionale lucano della Fiom. Quelli della Fiom sono gli unici a parlare. Esclusi da fabbrica Italia, si sono presi la rivincita adesso. “Li vedo i miei compagni, e so che sono con noi, nessuno aveva mai creduto al piano di Marchionne. Solo i giornali e il governo. La Fiom era il primo sindacato a Melfi con ottocento iscritti. Poi ci hanno messi fuori. Stiamo finendo le scorte però, questa è la verità. Tra poco ci mancheranno i soldi anche per fare i volantini”.
Credere e obbedire
A Cassino manca il tempo di parlare e la voglia di fermarsi, di riflettere. Gli autobus sono pronti per ripartire. In un’ora e più li restituiranno alle loro famiglie e ai loro dialetti: casertani e ciociari, molisani, qualcuno da Roma. Tutti in fila e tutti a capo chino. Tutti di corsa e tutti con La Stampa, giornale di Torino, nella tasca del pantalone. “Si, il giornale è gratis, lo distribuiscono all’interno, è sempre stato così”. E’ un grande giornale, ci scrivono fior di cronisti. Ma è il giornale degli Agnelli, il giornale del padrone. La voce di Torino si espande in Ciociaria, registra i pensieri, neutralizza le obiezioni. Credere e obbedire, motto immortale.