Stefano Carrer, Il Sole 24 Ore 26/9/2012, 26 settembre 2012
LA CITY ROTTAMA L’INDICE DELLE MANIPOLAZIONI
Mancherà all’affetto dei sui cari (i trader che lo manipolavano). L’ormai imminente scomparsa del 26enne Libor, però, più che rimpianti lascia uno strascico di inchieste in tre continenti e di cause giudiziarie in continua espansione numerica. Oltre a un insopprimibile sgomento nel constatare come il «numero più importante del mondo» sia stato un prodotto artigianale e svincolato da controlli esterni, anche nell’era dei computer e della moltiplicazione degli organismi di regolamentazione.
C’è il senso della fine di un’epoca nata nel 1986, quando la British Bankers’ Association (Bba) coniò il Libor come tasso benchmark per le contrattazioni tra banche, per vederlo crescere fino a diventare il riferimento per swaps e prestiti di ogni tipo in tutto il mondo. Eppure è sempre rimasto fuori da ogni regolamentazione: ogni giorno alcune banche – le stesse che pagano le maggiori quote di associazione alla Bba – comunicano una cifra (nemmeno legata alla sommatoria verificabile di effettive transazioni) a indicazione dei loro costi di finanziamento. In un piccolo ufficio di pochi addetti della Thomson Reuters – neanche localizzato nella City, ma fuori Londra – si scarta il più alto e il più basso 25% e la media risultante fa testo per il globo intero, con il timbro formale della Bba che ne detiene i diritti commerciali. Solo il 27 giugno scorso è scoppiata la tempesta, con il settlement da 290 milioni di sterline accettato dalla Barclays con le autorità Usa e britanniche. Ma il fulmine non è stato certo a ciel sereno per la stessa Bba: i segnali che qualcosa non funzionasse risalgono almeno al 2007, mentre le manipolazioni accertate vanno indietro fino al 2005. La stessa Ceo della Bba, Angela Knight, il 25 aprile 2008 aveva dichiarato ai funzionari della Banca d’Inghilterra che il Libor era diventato troppo importante per poter essere gestito dalla sua privatissima associazione. L’avvertimento fu ignorato, al pari di quello precedente del 15 novembre 2007, quando a una riunione convocata dalla stessa Bank of England da più parti fu espresso il timore che il Libor venisse tenuto artificialmente basso da istituti interessati a mascherare i loro crescenti problemi finanziari. In quella occasione John Ewan – il giovane ricercatore finanziario con una laurea in biologia che la Bba aveva assunto nel 2005 per esplorare tutte le potenzialità commerciali del Libor – aveva assicurato che l’associazione bancaria aveva in essere i controlli necessari ad evitare ogni problema. Né incise più di tanto il "memo" riservato che la Fed di New York inviò alla BoE nel giugno 2008 con sei raccomandazioni per rafforzare la credibilità del Libor. Dopo le dimissioni della Knight, ora la Bba ha come ceo un ex giornalista ed è senza chairman. Non stupisce che Gary Gensler, presidente della americana Cftc, abbia dichiarato al Parlamento europeo che «è tempo per un nuovo o rivisto benchmark, ancorato a effettive e osservabili transazioni di mercato», né che il commissario Ue Joaquín Almunia abbia detto: «È ora di metter fine a quello che molti chiamano capitalismo da casinò». Comunque lo si chiami, il nuovo benchmark dovrà essere improntato a una trasparenza la cui tutela non può più essere delegata in autogestione.