26 settembre 2012
APPUNTI PER GAZZETTA - SALLUSTI IN CARCERE
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ROMA - La Cassazione ha appena confermato la condanna a 14 mesi di reclusione per diffamazione aggravata nei confronti del direttore del Giornale Alessandro Sallusti. Il ricorso del giornalista è stato rigettato. La V Sezione Penale ha inoltre condannato Sallusti alla rifusione delle spese processuali, a risarcire la parte civile e a pagare 4.500 euro di spese per il giudizio innanzi alla Suprema Corte. È stato così confermato il verdetto emesso dalla Corte d’Appello di Milano il 17 giugno 2011. Ci sarà, invece, un nuovo processo per il cronista Andrea Monticone imputato insieme a Sallusti.
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Confanna definitiva. Condanna definitiva alla libertà di espressione. Oggi pomeriggio la Cassazione ha confermato la condanna a 14 mesi di reclusione per diffamazione aggravata nei confronti del direttore del Giornale Alessandro Sallusti.
La V Sezione Penale ha, inoltre, condannato il direttore del Giornale alla rifusione delle spese processuali, a risarcire la parte civile e a pagare 4.500 euro di spese per il giudizio innanzi alla Suprema Corte. È stato così confermato il verdetto emesso dalla Corte d’Appello di Milano il 17 giugno 2011. Ci sarà, invece, un nuovo processo per il cronista Andrea Monticone imputato insieme a Sallusti.
Dopo la decisione della Cassazione che ha confermato la condanna a Sallusti, la decisione su dove e come il direttore del Giornale dovrà scontare la pena, passa nelle competenze della magistratura di Sorveglianza di Milano. Lo si è appreso da fonti della stessa Cassazione. Al Tribunale di Sorveglianza i legali di Sallusti potranno chiedere le misure alternative al carcere.
In mattinata la procura della Cassazione aveva chiesto per il direttore del Giornale l’annullamento con rinvio della condanna a 14 mesi di reclusione "limitatamente all’aspetto delle attenuanti", ritenendolo "colpevole" di diffamazione, ma ribadendo la necessità di "rivalutare la mancata concessione delle circostanze attenuanti".
"Alla prima occasione utile Libero ha pubblicato due articoli ugualmente diffamatori nei confronti del giudice Cocilovo tacciandolo di essere un abortista perchè nel dicembre 2006 aveva criticato la frequente negazione del consenso all’aborto di minorenni da parte di un assessore della Giunta Chiamparino" ha dichiarato l’avvocato di parte civile Monica Senor, che rappresenta il magistrato Giuseppe Cocilovo, parte civile nel processo a Sallusti, imputato per diffamazione in relazione ad un articolo pubblicato nel 2007 su Libero, quotidiano di cui allora era direttore responsabile. Un articolo, come ha più volte precisato lo stesso Sallusti, neppure scritto da lui.
La Corte di Appello di Milano avrebbe esercitato un "furore condannatorio" applicandogli la pena di 14 mesi di reclusione, senza attenuanti, per un articolo pubblicato sotto pseudonimo, ha sottolineato la difesa di Sallusti, chiedendo l’annullamento della condanna.
Secondo i legali del direttore de il Giornale, ci sarebbe un "errore sulla persona" nell’attribuire a Sallusti la paternità dell’articolo firmato sotto pseudonimo e "si trattava di una convocazione davanti al tribunale della coscienza e l’articolo era coerente con la consueta contrapposizione di opposte fazioni sul tema dell’aborto: in questo schema deve essere considerata l’invocazione, da parte degli antiabortisti, della pena di morte per gli abortisti che danno la morte".
Inoltre - nel ricorso scritto - i legali di Sallusti hanno fatto presente che l’articolo "era rispettoso dei principi di continenza e verità nell’esercizio del diritto di critica nel quale non si può pretendere affetticità. Nel mirino non c’era Cocilovo ma l’intero sistema che consente l’aborto. Tra il rischio di ledere l’onorabilità di qualcuno e quello di non informare l’opinione pubblica bisogna dare precedenza alla libertà di stampa: condannare Sallusti al carcere è una persecuzione politica, perchè un giornalista, anche in carcere, può continuare a scrivere".
Una condanna contro la quale tutto il mondo della politica e della stampa si è espresso in modo unanime. Dopo l’interessamento di Giorgio Napolitano, che ha assicurato nei giorni scorsi di avere a cuore la vicenda, e del ministro della Giustizia Paola Severino oggi, da New York, ha parlato anche il premier Mario Monti.
"Ho seguito il problema direttamente, bisogna trovare - ha dichiarato il primo ministro - un equilibrio tra i due beni della società: la libertà di stampa e la tutela della reputazione". E ricorda che esistono "diverse soluzioni in diversi Paesi". E che l’Italia deve "fare riferimento alle posizioni dell’Unione Europea".
La posizione del governo, che intende "arrivare a formulazioni ben chiare anche per quanto riguarda le pene che siano in linea con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo", sarà spiegata oggi alla Camera dal ministro della Giustizia, Paola Severino.
E proprio il ministro della Giustizia, rispondendo a un’interrogazione presentata da Antonio Di Pietro, ha spiegato che "è praticabile la possibilità di dare impulso a una sollecita calendarizzazione del ddl di iniziativa parlamentare sulla libertà stampa" in modo che, con una riforma "in linea con gli altri paesi europei", sia prevista per il direttore responsabile accusato di diffamazione "la sola pena pecuniaria e non il carcere".
Il titolare dell’interrogazione, Antonio Di Pietro ha poi dichiarato che "di dossieraggi ne ho subiti a decine anche dal diretto interessato ma la galera non è giusta, ci sono altri strumenti come il risarcimento del danno o la pena pecuniaria. In una democrazia evoluta va evitata la pena detentiva, Sallusti mi ha diffamato tante volte, chi diffama deve essere punito ma non con la carcerazione perché si mette il bavaglio all’informazione".
WWW.ILGIORNALE.IT (25 SETTEMBRE): «MA LA MIA LIBERTA’ NON È IN VENDITA»
Ho dato disposizione ai miei avvocati di non chiudere l’ipotesi di accordo con il magistrato che mi ha querelato per un articolo neppure scritto da me e che ha ottenuto da un suo collega giudice la condanna nei miei confronti a un anno e due mesi di carcere.
Il signore voleva altri soldi, oltre i trentamila euro già ottenuti, in cambio del ritiro della querela e quindi della mia libertà. Io penso, l’ho già scritto, che le libertà fondamentali non si scambino tra privati come fossero figurine ma debbano essere tutelate dallo Stato attraverso i suoi organi legislativi e giudiziari.
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Anche perché nel caso specifico c’è un’aggravante, e cioè che a essere disposto a trarre beneficio personale dal baratto è un magistrato.
Vi svelo un particolare inedito della vicenda. In primo grado sono stato condannato a cinquemila euro di multa più diecimila di risarcimento, nonostante l’accusa avesse chiesto per me due anni di carcere. Al momento di stendere le motivazioni della sentenza, il pm si pente: ho sbagliato a non dare a Sallusti anche una pena detentiva, scrive nero su bianco, ma ormai è fatta. Che cosa è intervenuto tra la sentenza e la stesura delle motivazioni? Non è che per caso qualcuno ha privatamente protestato per la mitezza della condanna, che a mio avviso era invece più che equa, non avendo io diffamato nessuno? La risposta arriva in appello: due anni forse sono troppi, ma quattordici mesi ci stanno.
Giudici che ammettano di sbagliare, giudici che cambiano idea, giudici che se la fanno e disfano tra di loro? Ma che giustizia è questa? Una persona, per di più magistrato, in buona fede avrebbe dovuto prendere l’iniziativa una volta appreso il verdetto: mi rifiuto di essere la causa di una carcerazione ingiusta, tengo il risarcimento e ritiro la querela. Non è avvenuto, peccato. Adesso, vi assicuro, il problema non è più mio ma loro. Trovino il modo di uscirne con percorsi trasparenti e legali, altrimenti vadano al quel Paese.
ILGIORNALE.IT - 23/9
Eccomi. Sono quel soggetto «socialmente pericoloso », così è scritto nella sentenza, che mercoledì sarà arrestato se la Cassazione confermerà il verdetto emesso contro di me da un giudice di Milano. Un anno e due mesi di carcere per aver pubblicato, anni fa su Libero che allora dirigevo, un articolo critico nei confronti di un magistrato che aveva autorizzato una tredicenne ad abortire. Non ho precedenti penali ( come tutti i direttori, che in base a una assurda legge rispondono personalmente di tutto ciò che è scritto, sono stato condannato più volte a risarcimenti pecuniari), non ho mai fatto male volontariamente a una mosca né mai lo farei.
Combatto da oltre trent’anni su quel magnifico ed esaltante ring democratico che è l’informazione. Ne ho più prese che date ma non mi lamento, mai ho risposto con querele a insulti e minacce. Ho lavorato al fianco di grandi giornalisti, da Indro Montanelli a Paolo Mieli, da Giulio Anselmi a Giuliano Ferrara. A ognuno ho rubato qualcosa.
Uno di loro, Vittorio Feltri, da tredici anni è anche un fratello maggiore che mi aiuta e protegge e di questo gli sarò per sempre grato. Ho combattuto anche con durezza le idee di tante persone potenti e famose, ma non ho alcun nemico personale.
A volte ho sbagliato? Certo che sì, e ho sempre pagato in tutti i sensi. Sono un liberale, amo e mi batto per la libertà mia e di tutti, e per questo sono orgoglioso di dirigere oggi il quotidiano della famiglia di Paolo Berlusconi, famiglia che la libertà ce l’ha nel sangue, fin troppo direbbero alcuni.
Potrei difendermi dalle accuse sostenendo, come è vero, che quell’articolo non l’ho scritto io, o cose del genere. Non lo farò perché ho la profonda convinzione che nessuno, dico nessuno, debba andare in carcere per una opinione, neppure la più assurda. Se danno c’è stato che venga quantificato e liquidato. Ma nulla di più è dovuto. L’errore ha un prezzo, un principio no. E il principio che non ha prezzo è che nessun giudice può mandare in carcere qualcuno per le sue idee. Se accettassimo questo sarebbe la fine della democrazia, tutti noi saremmo in balia di pazzi, di uomini di Stato in malafede, di ricattatori. Io sono disposto a pagare un equo indennizzo, ma non baratto la mia libertà.
Per questo ho detto no a scorciatoie che i miei nuovi e bravissimi avvocati mi hanno proposto. La classe dei magistrati che ha partorito questo obbrobrio abbia il coraggio di correggersi o l’impudenza di andare fino in fondo. Non ho paura. Io sono un nulla rispetto al problema in questione. Vogliono fare concludere il settennato di Napolitano (l’ho aspramente criticato in passato, se sarà il caso lo rifarò ma lo rispetto e ringrazio per l’interessamento annunciato ieri) che dei magistrati è anche il capo, con una macchia indelebile per le libertà fondamentali? Vogliono mandare Monti in giro per l’Europa come il premier del Paese più illiberale dell’Occidente? Lo facciano, se ne hanno il coraggio. Per questo, non per il mio destino personale, sarebbero dei criminali alla pari di chi ha stilato la sentenza che vuole impedirmi di scrivere ciò che penso per il resto della mia vita. Rinuncio al salvacondotto per rispetto alle persone con le quali condivido la vita, ai lettori, ai miei tre vicedirettori che si fidano di me, dei cento giornalisti che dirigo e che hanno il diritto di lavorare in un giornale secondo i principi non negoziabili stabiliti dal suo fondatore Indro Montanelli.
TITOLO SUL SITO
Da oggi cambia tutto
VERGOGNA
Contro ogni logica la Cassazione conferma la condanna a 14 mesi di reclusione per il direttore del "Giornale"
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ROMA - I giudici della quinta sezione penale della Cassazione hanno confermato la condanna a 14 mesi per Alessandro Sallusti, attuale direttore de Il Giornale, per diffamazione a mezzo stampa nei confronti del magistrato Giuseppe Cocilovo. La Corte, presieduta da Aldo Grassi, dopo una camera di consiglio di circa due ore e mezzo, ha respinto completamente il ricorso presentato dalla difesa di Sallusti. Negate anche le attenuanti generiche come richiesto dal Pg Gioacchino Izzo che avrebbero potuto portare a una riduzione della pena.
Dopo aver deciso di non chiedere una misura alternativa alla pena come i servizi sociali, per il giornalista si aprono ora le porte del carcere. Sallusti è anche stato condannato alla rifusione delle spese processuali, a risarcire la parte civile e a pagare 4.500 euro di spese per il giudizio innanzi alla Suprema Corte. E’ stato così confermato il verdetto emesso dalla Corte d’Appello di Milano il 17 giugno 2011. Dopo la decisione della Cassazione, dove e come il giornalista dovrà scontare la pena, passa nelle competenze della magistratura di Sorveglianza di Milano. Ci sarà, invece, un nuovo processo per il cronista Andrea Monticone imputato insieme a Sallusti.
Dopo avere appreso la notizia della condanna a 14 mesi di carcere, Sallusti ha convocato in riunione straordinaria i caporedattori del Giornale, al terzo piano dell’edificio che ospita il quotidiano. Poi si è dimesso. Sull’edizione online è apparso il titolo a tutta pagina: ’Vergogna’ ( FOTO 1).
Stamane la Procura della Cassazione aveva proposto l’annullamento con rinvio della condanna a 14 mesi di reclusione solo "limitatamente alla mancata valutazione della concessione delle attenuanti generiche". Per il pg della Cassazione, Giovacchino Izzo sarebbe stato necessario "valutare la possibilità di uno sconto di pena". Secondo il pg, il ricorso presentato dai difensori di Sallusti in Cassazione doveva essere dichiarato inammissibile sul punto in cui si contesta che l’allora direttore di Libero fosse l’autore dell’articolo a firma ’Dreyfus’ 3, pubblicato nel 2007 e ritenuto diffamatorio nei confronti del giudice tutelare di Torino, Giuseppe Cocilovo. Anche sul diniego della sospensione della pena, il pg Izzo ha sollecitato il rigetto del ricorso di Sallusti, ritenendo fornita di "tenuta logica" l’argomentazione dei giudici d’appello.
Unico punto, dunque, da accogliere del ricorso dei difensori, sarebbe stato, secondo Izzo, quello sulle attenuanti generiche. Per il Pg, dunque, sarebbe stato necessario un processo d’appello-bis per valutarne la concessione e, qualora fossero state accolte, queste avrebbero portato automaticamente a una riduzione della condanna. Gli articoli al centro della vicenda riguardavano un caso di aborto di una ragazza tredicenne.
Legale parte civile. Per Monica Senor, che rappresenta Cocilovo, parte civile nel processo a Sallusti, "si tratta di una vicenda che coinvolge un magistrato leso nella sua reputazione. Non possiamo prescindere dal considerare la libertà di informazione come un diritto non assoluto, ma da bilanciare con i diritti del privato cittadino", ha detto nella sua arringa davanti ai giudici. L’avvocato Senor ha inoltre voluto sottolineare i toni "particolarmente violenti" dell’articolo al centro del processo per diffamazione, nel quale mancano i requisiti di "veridicità e continenza". Inoltre, ha osservato, "passaggi molto brutti nei confronti del giudice Cocilovo, che viene definito un abortista, ci sono anche nel ricorso".
Trattative. Nei giorni scorsi erano state avviate trattative per risolvere la questione attraverso il ritiro della querela da parte di Cocilovo. I contatti sono però naufragati, come aveva spiegato ieri Sallusti in un editoriale sul suo quotidiano: "Ho dato disposizione ai miei avvocati di non chiudere l’ipotesi di accordo con il magistrato che mi ha querelato per un articolo neppure scritto da me e che ha ottenuto da un suo collega giudice la condanna nei miei confronti a un anno e due mesi di carcere".
Reazioni. "E’ davvero molto grave che si arrivi ad ipotizzare il carcere per un collega su un cosiddetto reato d’opinione", ha detto Ferruccio De Bortoli, "è un momento molto basso della nostra civiltà giuridica", ha sottolineato il direttore del Corriere della Sera. Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera, in una nota: "Una sentenza liberticida che segna una delle pagine più buie della magistratura italiana". Per Franco Siddi, segretario della Federazione Nazionale della Stampa (Fnsi): "E’ sconvolgente. In questo momento siamo tutti Sallusti. E siamo pronti a iniziative straordinarie". "Questo Paese fa schifo e spero che gli italiani scendano in piazza perché abbiamo raschiato il fondo. Sono sotto shock", ha commentato Daniela Santanchè, deputata del Pdl.
In mattinata il premier Mario Monti aveva affrontato il caso Sallusti dal punto di vista legislativo. "Ho seguito il problema direttamente, bisogna trovare un equilibrio tra i due beni della società: la libertà di stampa e la tutela della reputazione delle persone. Ci sono - aveva osservato - diverse soluzioni in diversi Paesi, è naturale per noi italiani fare riferimento alle posizioni dell’Unione europea, il ministro della Giustizia Severino avrà occasione oggi alla Camera di illustrare la posizione del governo". "Verrà utilizzato - ha spiegato il premier - uno dei disegni di legge già presentati e arrivare a una formulazione ben chiara anche per quanto riguarda le pene che sia in linea con la Corte di Strasburgo e le legislazioni vigenti" in tutta Europa.
Del caso nei giorni scorsi si era interessato anche il capo dello Stato Giorgio Napolitano e appelli affinché Sallusti non finisca in carcere per un reato d’opinione sono arrivati anche da politici su posizioni diametralmente opposte a quelle del direttore del Giornale, compreso il leader dell’Idv Antonio Di Pietro.
(26 settembre 2012)
REPUBBLICA E UN CASO DEL 1951
A Parma il caso Sallusti è un amarcord, solletica subito l’ego degli storici. Una mattina di febbraio, nel 1951, Enzo Baldassi venne caricato su una camionetta, ammanettato e chiuso in una cella con stupratori nel carcere di San Giovanni in Monte a Bologna. Era il direttore dell’Eco del Lavoro, settimanale comunista. Dodici anni dopo sarebbe diventato sindaco di Parma, poi deputato. “Mi segua” gli intimò un carabiniere in borghese. In caserma gli venne letto il capo d’accusa: “Incitamento dei militari a disobbedire alle leggi”. Diserzione. C’era la guerra di Corea e l’Italia “secondo noi era succube dell’imperialismo americano…no, sa, come dicevamo allora in maniera un po’ esaltata” ricorda oggi a 88 l’ex sindaco, con una voce viva e il timbro del riso. Sul giornale avevano parlato di cartoline di precetto rispedite al ministero della Difesa.
Baldassi ieri come Alessandro Sallusti oggi, il direttore de Il Giornale: accusati entrambi, sostanzialmente, d’aver espresso delle idee a mezzo stampa. Reato d’opinione. L’Italia sale così sulla macchina del tempo. La clessidra della storia si ribalta a Parma, dove proprio nel 1951 pure Giovannino Guareschi finì in galera: 8 mesi per aveva preso in giro, secondo il tribunale, nientemeno che il presidente della Repubblica Luigi Einaudi. Aveva pubblicato una vignetta satirica sul settimanale il Candido di cui era direttore responsabile. Nel 1954 ancora: nuova condanna per aver diffamato Alcide De Gasperi, altri 12 mesi. “Sallusti non sia trattato come mio padre” è oggi l’appello del figlio Alberto Guareschi.
A Sallusti potrebbe andare meglio, il pg della Cassazione ha ritenuto che vadano accolte le attenuanti generiche chiedendo l’annullamento con rinvio della condanna a 14 mesi di reclusione. Nel 2007, quando era direttore di Libero, Sallusti pubblicò l’articolo di tal Dreyfus poi ritenuto diffamatorio nei confronti del giudice torinese Giuseppe Cocilovo.
Per Baldassi la faccenda fu più complicata, “erano anni cupi e politicamente molto tesi” ricorda al telefono. I comunisti erano comunisti, il mondo era diviso in due: i buoni e i cattivi, visione reciproca, a seconda del punto d’osservazione. Eri italiano ma soprattutto eri un “rosso”. E così, pochi sconti: “A Bologna mi misero in un salone dove dentro c’erano 30 o 40 persone. Cominciai a informarmi, mi accorsi che erano tutti rapinatori, stupratori, banditi”. Lui invece, Baldassi, era direttore del settimanale delle federazione Pci parmense L’Eco del Lavoro. Nelle settimane precedenti aveva pubblicato un articoletto non firmato, di cronaca “mascherata”, in cui si parlava “di alcuni giovanotti che a Parma e provincia, come già nel resto d’Italia, avevano iniziato a rispedire al mittente le cartoline rosa di richiamo appena ricevute da Roma”. Non erano veri ordini di arruolamento. Ma bastarono per accendere la miccia: “Venivamo dalla sconfitta del 18 aprile 1948, gli animi non erano proprio distesi, gli americani facevano la guerra alla Corea, noi eravamo alleati” ricorda Giuseppe Massari.
Massari è l’autore dell’articolo: “Scrissi io il pezzetto sulle cartoline rosa, ma non lo firmai per orgoglio da intellettuale diciamo. Ero universitario, volevo assumere una posa”. Solo che in galera finì Baldassi: oltre dodici mesi di reclusione. “Per carità, appena esplose il caso chiesi subito alla federazione del Pci di mandare avanti me, di scaricare su di me la responsabilità dell’articolo. Ma tutti dissero che no, avremmo avuto due incarcerati invece che uno”. Su Baldassi pesava, comunque, la responsabilità oggettiva in qualità di direttore dell’Eco. “Con quell’articolo – ricorda Massari – volevamo certamente far polemica, ma sapevamo che saremmo andati incontro all’accusa di reato d’opinione. E così scegliemmo, con Baldassi, di raccontare semplicemente i fatti, fare cronaca, riferendo di alcuni casi di cartoline rimandate indietro”.
Ma un carabiniere bussò ugualmente alla porta di Baldassi. “Era un dopopranzo, faceva freddo, c’era la neve. Stavo preparando un comizio, all’ultimo minuto un funzionario del Pci aveva dato forfait e così chiesero a me di parlare ai compagni, al teatro Regio. Ero agitatissimo”. Il carabiniere lo portò in caserma, qui un maresciallo dal tono molto brusco disse “venga venga”. Poi Baldassi venne ammanettato: “Non con le manette, con i ferri. Poi mi portarono a Bologna, dove ne vidi di tutti i colori”. Prima i rapinatori, poi i fascisti: “Nei giorni successivi mi infilarono in una cella con quattro brigatisti neri, volevano farmi la pelle. Mi trattavano peggio di un delinquente”. Fuori, a Parma in particolare, il Pci si diede da fare: manifestazioni, proteste. Ma niente da fare. Trascorsero 12 mesi e 14 giorni: con 12 mesi veniva concessa la condizionale. “Dodici mesi e 14 giorni, invece, era la soglia minima per giustificare la detenzione senza condizionale”. Una perfidia, un accanimento. Era un’altra Italia, c’erano i buoni e i cattivi. O forse no, l’Italia è sempre la stessa.
(26 settembre 2012)
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La Suprema Corte ha rigettato il suo ricorso, condannandolo anche a pagare le spese processuali e a rifondere quelle sostenute dalla parte civile in questa fase di giudizio, per complessivi 4.500 euro. I supremi giudici hanno invece disposto un nuovo processo davanti alla Corte d’Appello di Milano per il cronista Andrea Monticone. Al centro del processo gli articoli, ritenuti diffamatori nei confronti del giudice tutelare di Torino Giuseppe Cocilovo, pubblicati sul quotidiano Libero nel 2007 e riguardanti il caso di un aborto di una ragazza tredicenne. L’accusa per Sallusti era quella di diffamazione aggravata in relazione ad un corsivo, firmato con lo pseudonimo ’Dreyfus’.
"E’ una sentenza sconvolgente, ci sentiamo tutti Sallusti..". E’ il primo commento di Franco Siddi, segretario generale della Federazione nazionale della stampa, alla notizia che la Corte di Cassazione ha confermato la condanna definitiva di Alessandro Sallusti.
"Ci saranno le argomentazioni giuridiche per sostenere una decisione del genere ma le conseguenze della decisione della Cassazione rappresentano un’evidente intimidazione a tutti i giornalisti". Così il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Enzo Iacopino, commenta la decisione della Cassazione che ha confermato la condanna a 14 mesi per il direttore del ’Giornale’ Alessandro Sallusti.
"L’Italia precipita a livelli di quarto mondo. Che si vada in carcere per un’opinione è qualcosa che non avremmo mai immaginato in un Paese che continua a proclamarsi culla del diritto", denuncia Iacopino, che annuncia un’iniziativa forte che l’Ordine valuterà con la Federazione nazionale della Stampa.
Pdl in trincea. "Quando il prossimo rapporto internazionale sulla libertà di stampa collocherà l’italia al livello della corea del nord, voglio vedere se qualcuno avrà il coraggio di prendersela con il centrodestra", ha tuonato il vicecapogruppo vicario dei senatori del pdl Gaetano QUagliariello. "Dopo la pronuncia della cassazione- ha fatto eco il portavoce del partito Daniele Capezzone che altro deve succedere? si intervenga subito a salvaguardia del ’free speech’: un conto è rispondere (e questo è giusto, se io diffamo un altro cittadino), altro conto è il carcere".
L’affaire Sallusti comincia il 18 febbraio 2007 quando su ’Libero’ apparve un corsivo a firma Dreyfuss in cui si attaccava la decisione presa dal giudice torinese, Giuseppe Cocilovo, di concedere a una 13enne di abortire per interrompere una gravidanza indesiderata. La giovane infatti successivamente a quella decisione venne ricoverata in una clinica psichiatrica.
Proprio questo sviluppo della vicenda, raccontato da ’La Stampa’ il 17 febbraio e poi ripreso da ’Libero’ il giorno successivo con un articolo di Andrea Monticone, portò al corsivo, in cui si sosteneva che "se ci fosse la pena di morte e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo, il giudice". Il corsivo non era di Sallusti, che essendo il direttore della testata avrebbe potuto firmarlo. Però il giornalista ne è comunque responsabile. Cocilovo si sentì diffamato e fece causa: in primo grado ottenne un risarcimento di 5mila euro da Sallusti e 4mila da Monticone. In appello le pene sono state aggravate: il 17 giugno il giudice milanese Pierangelo Guerriero ha infatti inflitto 14 mesi a Sallusti e 12 a Monticone.
Oggi la vicenda in Cassazione. Sallusti rischia il carcere in quanto già condannato per fatti simili, a differenza di Monticone cui è stata sospesa la pena. Da più parti si è sostenuto che dietro Dreyfuss si celasse Renato Farina, giornalista radiato dall’Ordine dei giornalisti ed oggi deputato del Pdl, che ammise di aver pubblicato notizie false fornitegli dai servizi segreti in cambio di denaro. Lo pseudonimo Dreyfuss richiama il famoso affaire scoppiato nel 1894, quando l’ufficiale Alfred Dreyfuss fu ingiustamente accusato di tradimento. Fu Emile Zola nel 1898 con il suo famoso ’J’accuse’ titolo di un articolo pubblicato su ’L’aurore’ ad avviare la grazia e la riabilitazione del militare
SALLUSTI NON CHIEDE LA GRAZIA
Milano, 26 set. (Adnkronos) - "Non ho alcuna paura e mi rifiuto di chiedere la grazia al Presidente Napolitano perche’ credo che, in quanto capo della magistratura italiana in questi 7 anni, non abbia difeso i cittadini a sufficienza dall’invadenza e da una giustizia veramente politicizzata". Lo ha affermato Alessandro Sallusti in collegamento in diretta a Pomeriggio Cinque, dopo aver annunciato alla conduttrice Barbara D’Urso le sue dimissioni da direttore del Giornale.
"Alcuni magistrati - ha commentato il giornalista - hanno voluto decidere quali dovevano essere i nostri primi ministri, i nostri ministri, i nostri governatori. Adesso, addirittura, vogliono decidere chi debbano essere i direttori dei giornali. Io a questo gioco non ci sto. Vado in galera, pago la mia pena, ma non accetto nessun compromesso".
TRAVAGLIO
È QUELLO CHE VOLEVA
ROMA - «È quello che voleva Sallusti. L’unica strada decente per chiudere questa partita, come avevo scritto fin dal primo giorno, era che Sallusti chiedesse alla parte offesa di accontentarsi delle sue scuse e del risarcimento e di ritirare la querela. Sallusti ha detto che non aveva commesso nessun reato e non aveva intenzione né di chiedere scusa né di risarcire. Naturalmente il processo è andato avanti». Così Marco Travaglio, vicedirettore del "Fatto quotidiano" commenta la conferma della condanna a 14 mesi di reclusione per il direttore del "Giornale".
«La legge è uguale per tutti e se la legge fa schifo è colpa di chi l’ha fatta e di chi non l’ha cambiata - prosegue Travaglio- certamente né della Corte di Cassazione, né delle Corte d’Appello, né di nessun altro. Ci sono soggetti politici che usano questa legge sulla diffamazione per ricattare i giornalisti, quelli che scrivono opinioni non gradite e quelli che raccontano balle». «Ci vorrebbe una legge che aiuti a distinguere tra quelli che raccontano balle, mentendo sapendo di mentire e quelli che esprimono opinioni sgradite, che oggi purtroppo -conclude il giornalista- sono nello stesso calderone».
TMNEWS
Roma, 26 set. (TMNews) - La Procura di Milano ha sospeso per 30 giorni l’esecuzione della pena nei confronti del direttore de "Il Giornale", Alessandro Sallusti, condannato oggi in via definitiva dalla Cassazione. Una sospensione automatica, prevista in casi come quello del giornalista che non ha cumuli di pena nè recidive: il tempo necessario perché Sallusti possa presentare domanda per la concessione di misure alternative al carcere. Lo ha spiegato il procuratore milanese Edmondo Bruti Liberati.
Il direttore de "Il Giornale" ha comunicato alla redazione del quotidiano le sue dimissioni: "Questa sera mi dimetto. Non ho alcuna intenzione di chiedere misure alternative alla galera", si legge sul sito del quotidiano. Il ministro della Giustizia Paola Severino, appresa la notizia della conferma in via definitiva della condanna del direttore de Il Giornale ha dichiarato che la norma va cambiata.
"Prendo atto della decisione della Corte di Cassazione. Non conosco il merito della vicenda e ho troppo rispetto delle sentenze per poter fare commenti. In merito al profilo normativo confermo quanto oggi detto in Parlamento sulla necessità di intervenire al più presto sulla disciplina della responsabilità per diffamazione del direttore responsabile, omogeneizzandola agli standard europei che prevedono sanzioni pecuniarie e non detentive", ha aggiunto il Guardasigilli.
Sulla home page del sito de "Il Giornale" campeggia una grande scritta blu: ’Vergogna’. Il catenaccio recita: "Una vergogna per tutto il paese, come nelle dittature: la Cassazione ha confermato la condanna al nostro direttore di 14 mesi di reclusione". A breve Sallusti terrà il suo ultimo discorso davanti alla redazione prima di dimettersi.