Camillo Langone, Libero 25/9/2012, 25 settembre 2012
DAMMI TRE PAROLE: DIO, PATRIA, FAMIGLIA
Fosse la volta buona. Aspettavo da tempo, insieme a molti amici e lettori, che il centrodestra partorisse un programma immediatamente comprensibile e immediatamente sintetizzabile in un’idea forte, in un grido di battaglia con il quale affrontare gli elettori e il mondo. Aspettavo e ormai disperavo. Leggevo di richieste di azzeramento: quella di Alemanno, quella di Daniela Santanchè... Richieste sacrosante, motivate dal sano terrore di trovarsi nel mezzo di una violentissima campagna elettorale armati solo di vecchie promesse, guidati da vecchi generali sotto una vecchia bandiera: quel Pdl scolorito e lacero il cui nome non piace e non è mai piaciuto (chissà perché, a suo tempo, qualcuno l’ha scelto...).
Ma la tabula rasa da sola non è un programma, anzi: può sembrare la confessione di non avercelo, un non sapere quali pesci pigliare, il tentativo di occultare la disperazione con una mano di vernice bianca. Leggevo anche di ipotetici, nostalgici ritorni a Forza Italia: nome bellissimo, nome epocale, nome indimenticabile se non fosse che gli anni Novanta sono morti insieme alla lira e che alla rivoluzione liberale non crede più nessuno. Per meglio dire: alla rivoluzione liberale non anela più nessuno e se (metti il caso) apparisse vicina a realizzarsi gli italiani le voterebbero contro, perché il liberismo può piacere a un popolo giovane che spera di diventare ricco e non a quello che oggi siamo in realtà, un popolo vecchio che ha paura di diventare ancora più povero. Mi dispiace per gli amici dei Tea Party, per Oscar Giannino e anche per me stesso che, contro ogni logica, contro ogni evidenza, sogno ancora di fare i soldi con un’idea, ma le cose stanno così.
Stanno male, ovvio, però non malissimo, non al punto da dover ripartire da zero. Possiamo benissimo ripartire da tre, per dirla con Massimo Troisi e pure con Marcello Veneziani, il cui Dio, patria, famiglia, oltre a essere un libro Mondadori in uscita, è precisamente il programma, l’idea, lo slogan di cui il centrodestra aveva bisogno. Certo, non contiene nulla di nuovo, ma al posto del vecchio è meglio l’antico, come sapeva quel genio di Giuseppe Verdi quando scrisse a un collega: «Torniamo a Palestrina e sarà un progresso ». Palestrina era un compositore di tre secoli prima, evidentemente insuperato come insuperati sono i tre pilastri evocati dallo scrittore di Bisceglie.
Tre pilastri della società e contemporaneamente tre pilastri della destra, ovvio. Com’è stato possibile dimenticarsene? Da quant’è che non sentiamo pronunciare questa formula entusiasmante? Da quand’è che abbiamo cominciato a vergognarcene? La usò Giulio Tremonti nel 2008 al Meeting di Rimini e nello stesso anno Mara Carfagna in una trasmissione di Daria Bignardi. Purtroppo l’ex ministro dell’Economia non si è dimostrato un trascinatore di folle, purtroppo l’ex ministra delle Pari opportunità era appunto una ministra delle Pari opportunità e quindi un’importatri - ce di legislazione europea antimaschio, partigiana quasi zapateriana dell’omosessualismo e nemica acerrima dei padri di famiglia. Bisogna essere un tantino credibili quando si pronunciano certe frasi. Non è indispensabile chiamarsi Giovanardi o Mantovano, per citare un paio di politici sulle cui bocche non stonerebbero affatto.
Non è indispensabile nemmeno essere cattolici praticanti, conoscere l’Inno di Mameli a memoria e avere quattro figli, ma certamente parole così impegnative funzionano solo se chi le pronuncia non ha più di una moglie, non si sdilinquisce per il Dalai Lama e non è solito fare vacanze alle Maldive. «Dio, patria, famiglia» non deve sembrare un’imposizione ma una costellazione da seguire, una bussola per orientarsi nel caos del mondo e della vita (qualcosa di più affidabile di quei Tom-tom impazziti o forse obsoleti che indirizzano contromano automobilisti troppo fiduciosi). Assolutamente da evitare ogni confusione col fascismo: è vero che anche il Ducione utilizzava la triade fatidica, però in modo assolutamente strumentale, essendo innanzitutto un ateo oltre che un dichiaratore di guerre per la patria disastrose. Ricordarsi magari che a raccordare per primo le tre parole all’interno di una sola frase fu Giuseppe Mazzini: un personaggio per nulla cattolico e, ovviamente, per nulla fascista. Forse avrete capito il mio timore: che «Dio, patria, famiglia » diventino le parole d’ordine della componente ex An del Pdl. Sarebbe miope ingrossare una singola corrente quando, con lo stesso apporto, si potrebbe ingrossare un intero grande fiume. E per finire consentitemi una nota personale: alla triade di valori eterni pensavo anch’io quando scrissi il Manifesto della destra divina, ma «Difendi, conserva, prega!» (il sottotitolo di quel libro Vallecchi) era uno slogan un tantino elitario mentre «Dio, patria, famiglia» si presentamolto più pop e popolare. O almeno così spero: non tanto per Marcello Veneziani ma per l’Italia.