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 2012  settembre 23 Domenica calendario

FIAT-MONTI: MARCHIONNE VINCE AI PUNTI

«Immagino che incontrerò Passera, Fornero. Ma poi?». È la domanda che, meno di una settimana, si poneva Sergio Marchionne. È la domanda che è lecito porsi dopo un incontro durato più di cinque ore dove, si può supporre, non sono mancati i colpi bassi.
Marchionne ha respinto l’ultimatum: Fiat ha confermato «la volontà dell’azienda a investire in Italia, nel momento idoneo, nello sviluppo di nuovi prodotti per approfittare pienamente della ripresa del mercato europeo». Ma il «momento idoneo » non arriverà prima del 2014.
Il governo, dal canto suo, non ha allargato i cordoni della borsa: non ci sono né i soldi né le condizioni politiche per garantire la cassa straordinaria agli stabilimenti Fiat fino a quando non ripartirà il mercato.
E allora? Il compromesso è stato raggiunto con la costituzione dell’ennesimo gruppo di lavoro che, presso il ministero di Corrado Passera, lavorerà per «individuare gli strumenti per rafforzare ulteriormente le strategie di export del settore automotive ». Al di là dell’involontaria ironia di quel «ulteriormente» (mica si vede questo trionfo dell’export italiano a quattro ruote), viene fuori la sostanza dell’intesa: il governo cercherà, con opportuni ritocchi alla fiscalità e (meno probabile) alla busta paga di rendere convenienti le esportazioni di auto commissionate dalla Chrysler agli impianti Fiat per essere poi esportate e vendute negli Stati Uniti. In cambio, Marchionne darà un po’ di ossigeno all’occupazione in casa Fiat.
Chi ha vinto? Probabilmente Marchionne, ai punti. Anche perché già a febbraio Marchionne aveva individuato questa soluzione quale l’unica possibile per far lavorare gli impianti Fiat. Si sono persi sette mesi, senza prendere il toro per le corna. Oggi il ministro Passera, tra un annuncio e l’altro, dovrà darsi da fare.
Resta, al termine di una giornata interminabile, la domanda spuntata su un cartello agitato da un operaio davanti a palazzo Chigi: «Perché Monti aiuta le banche e non aiuta noi?». Il bersaglio della protesta operaia, più che il nemico Sergio Marchionne, è stato per tutta la giornata il governo dei tecnici. Forse perché sono ben poche le tute blu che «vedono la luce in fondo al tunnel», come continua a ripetere speranzoso il premier. Anzi, i lavoratori stressati da tasse, tagli alla previdenza e nuove tasse temono che non abbia tutti i torti il manager dal maglione blu che liquida così l’ottimismo del governo: «Forse è la luce del treno che ci viene addosso...».
La novità del caso Fiat è che stavolta non si tratta di «salvare la Fiat» grazie ad un piano di aiuti mirati: l’azienda italo-americana sta bene, come fa sapere Marchionne, lo stratega che ha sganciato la nave del Lingotto dalle regole sindacali e confindustriali di casa nostra. È l’Italia che sta male, a causa di una politica suicida che ha provocato una caduta del pil ben più grave del previsto: la crisi dell’auto, italiana e non, costerà quest’anno almeno 5-6 miliardi di mancati introiti per il fisco, con ricadute pesanti sull’occupazione ed i consumi. Se si va avanti così, come teme la tuta blu che manifesta a Palazzo Chigi, il calo dello spread sarà una boccata d’ossigeno solo per le banche.