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 2012  settembre 26 Mercoledì calendario

QUANDO L’ELETTRICITÀ FINÌ DI ESSERE UN BENE PRIVATO

L’ Italia uscita dal Risorgimento non era certo una grande potenza economica. Negli anni settanta-ottanta del XIX secolo il suo reddito per abitante era meno della metà di quello inglese, la velocità di crescita molto bassa, l’emigrazione altissima. Eppure, a partire dalla metà degli anni novanta tutto cambia improvvisamente: l’Italia è in prima fila in quasi tutti i settori industriali avanzati, grandi stabilimenti sorgono non solo presso le città ma anche nelle valli alpine, la crescita supera la media europea e si avvicina a quella degli Stati Uniti.

Il colpo di bacchetta magica che produsse un simile mutamento straordinario ha un nome preciso: energia elettrica, anzi idroelettrica. L’inaugurazione della centrale Edison di Porto d’Adda nel 1898 costituì l’ultimo anello di quella che allora era la maggiore rete idroelettrica mondiale, sintesi di un know how elettrico italiano accumulatosi nel corso di oltre mezzo secolo con invenzioni e scoperte da Galileo Ferraris a Pacinotti.

Non dovendo più importare enormi quantità di carbone, l’Italia poté liberare risorse finanziarie per investire in settori nuovi come le ferrovie, gli aerei, le auto, la siderurgia, i prodotti chimici, e le industrie tessili e alimentari. Prese a crescere a tassi molto superiori alla media europea risalendo la classifica non solo della produzione quantitativa ma anche dell’innovazione industriale e diventando la sesta-settima potenza industriale del mondo, una posizione abbandonata solo nell’ultimo decennio.

Gli italiani si resero naturalmente subito conto dell’importanza di quello che chiamavano «carbone bianco», o addirittura «oro bianco», una fonte energetica a quei tempi quasi unica al mondo che, oltre all’economia, modificava la geografia - con la costruzione delle dighe - e provocava ingenti spostamenti di popolazione alla ricerca di lavoro nelle industrie nascenti. Anche, però, una cruciale fonte di potere. E mentre si risolvevano i problemi tecnologici dell’elettricità si poneva il problema politico del suo controllo: l’industria elettrica doveva essere pubblica o privata? Frazionata o raggruppata in un unico grande ente? Chi doveva stabilirne le priorità di investimento, finanziarne l’opera di costruzione in un paese tendenzialmente povero di capitali?

Nel suo saggio più recente, ancora fresco di stampa ( Il gioco delle parti . La nazionalizzazione dell’energia in Italia , edito da Rizzoli) Valerio Castronovo sbroglia con sicurezza l’intricatissima matassa dei rapporti tra elettricità, politica e finanza. Nelle sue pagine si affacciano imprenditori e tecnologi, giornali e partiti, associazioni imprenditoriali e sindacati. E si ripercorre così in maniera avvincente e assolutamente leggibile un itinerario che assomiglia molto a un labirinto.

Tale itinerario può iniziare nel 1902 con Francesco Saverio Nitti, economista e politico pugliese, più volte ministro e poi Presidente del Consiglio nel primo dopoguerra, netto fautore di una dominante presenza pubblica nell’industria. E terminare con le dimissioni del terzo governo Fanfani, nel giugno del 1963, un anno dopo la nazionalizzazione dell’industria elettrica, a seguito di una dura sconfitta elettorale con cui la Democrazia Cristiana e lo stesso Fanfani pagarono la volontà di nazionalizzare ma che sancì definitivamente il passaggio dai governi di centrodestra ai governi di centrosinistra. Un prezzo, quindi, che Fanfani e la maggioranza della Dc, che era pronta per l’alleanza con i socialisti tutto sommato pagarono volentieri.

Questo tuffo nel passato induce ad alcuni confronti con il presente. Le contese erano durissime, assai spesso giornali e associazioni varie erano usati come clave in una battaglia senza quartiere per il potere. Gli uomini sulla scena di allora non avevano alcun pudore a ricercare il potere con tutte le loro forze; ma la posta in gioco era potere vero, nudo, non festicciole in costume alle ostriche a spese del contribuente.

I vincitori hanno potuto nazionalizzare e gestire e hanno certamente portato l’energia elettrica anche nei piccoli comuni senza carenze gravi. Però tutto questo non è bastato, qualcosa non ha funzionato: in Italia l’energia elettrica costa il 20-30 per cento in più del resto d’Europa e l’Italia è scesa nella classifica delle potenze economiche. Il finale della storia ben raccontata da Castronovo non è né lieto né rassicurante.