Andrea Malaguti, la Stampa 26/9/2012, 26 settembre 2012
CAFFÈ, RIVOLUZIONE AMARA SI VA SEMPRE MENO AL BAR
Miti che crollano. Nella foga spaventata di eliminare il superfluo per non farsi schiacciare dalla crisi, gli italiani hanno fatto l’ultimo estremo sacrificio cominciando a razionare il caffè. Meno espressi, meno cappuccini. Una rivoluzione amara.
L’altalena dello spread e l’angoscioso andamento del debito sovrano fanno sparire i clienti dai bar. E anche un mercato che sembrava impermeabile agli incomprensibili salti delle Borse comincia a mostrare crepe così sorprendenti da spingere il «Financial Times» a portare in prima pagina i dati forniti dall’International Coffee Organization, associazione internazionale con sede a Londra che rappresenta la seconda commodity più trattata del Pianeta dopo il petrolio.
«A Roma i consumi sono tornati ai livelli del 2007, 5,6 chili a persona». Pochi? Pochissimi. La curva non solo ha smesso di crescere, ma dà l’impressione di precipitare: -6,5%. «Come se non bastasse si beve sempre di più in casa e sempre di meno nei locali», spiega all’«FT» Max Fabian, direttore esecutivo di Demus, azienda che produce decaffeinati. Il portafoglio leggero spinge alla fuga malinconica da un imperdibile vizio. Brutto segno quando riti secolari finiscono nel sottoscala della depressione.
La tazzina diventa la cartina al tornasole del trambusto europeo, la certificazione di una bancarotta emotiva prima ancora che economica, l’involontaria ultima plastica fotografia dei rapporti di forza nel Vecchio Continente.
Calano i consumi in Spagna e in Italia, crescono in Germania e in Francia. Eppure non è solo la crisi a determinare il restringimento di un mercato che si sentiva al riparo dalle gimcane scomposte della finanza. A complicare il quadro, interviene un nemico sostanzialmente imbattibile: la tecnologia. In questo caso fatta a forma di capsula.
Una novità esaltata dal profilo hollywoodiano di George Clooney. «Nespresso, what else?». Sembrava la formula magica per guardare al futuro con inossidabile fiducia. Non solo per la Nestlé. Per chiunque. «La monodose spingerà i consumatori a moltiplicare gli acquisti». Era questo che doveva succedere.
E in effetti è successo. In Germania, per esempio, questo segmento cresce ogni anno del 30%. Peccato che parallelamente si sia sgonfiata la vendita mondiale dei chicchi di caffè: -5%. Il prezzo dell’Arabica ha perso il 40% del proprio valore nel giro di dodici mesi.
È crollata la domanda. Il motivo è semplice e lo spiega un veterano del settore come Paul Fisher. «Prima della monodose la maggior parte del caffè usato nelle maxi tazze dei pub, dei bar o delle grandi catene, se lo beveva il lavandino». Sprecato insomma. Versato ma mai assaporato. Buttato via. Con la monodose non si spreca più. Di caffè ne serve fisicamente meno. E magari si sostituisce la prestigiosa Arabica con la più plebea Robusta, nuovo e più economico rifugio dallo spaventoso fragore dei tempi.